La grancassa ecologista ha incensato gli ultimi dati sulle immatricolazioni. Ma, analizzando i numeri, salta fuori che «tirano» ancora le vetture tradizionali. E Stellantis riesuma le Fiat 500 X e Tipo a gasolio.
La grancassa ecologista ha incensato gli ultimi dati sulle immatricolazioni. Ma, analizzando i numeri, salta fuori che «tirano» ancora le vetture tradizionali. E Stellantis riesuma le Fiat 500 X e Tipo a gasolio.La grancassa dell’auto elettrica ha colpito ancora. E ancora una volta siamo di fronte a una clamorosa bufala. «A giugno balzo del 66% delle vendite di auto green in Europa», titolava ieri un giornalone ad ampia diffusione. E un altro faceva il paio con un altisonante «L’Europa dell’auto diventa green». Di più: ecco apparire, a caratteri cubitali «Auto elettrica, il riscatto italiano» e ancora «Italia sempre più green».Ora, che a giugno le vendite di auto alla spina in Europa e in Italia siano cresciute è innegabile, e anche con una percentuale a due cifre. Ma il dato, se si vuole essere seri, va contestualizzato prendendo in considerazione i numeri di partenza del circolante green e, più in generale, l’intera gamma delle motorizzazioni.Ebbene, fuor di demagogia ambientalista, si scopre che le auto a batteria (elettriche e ibride plug-in) - rappresentano ancora l’1,5% del parco auto totale dell’Ue. Questo significa che solo poco più di una vettura su 100 circolante nei Paesi europei è «green». Percentuale che scende ancora di più se si prendono in considerazione solo le elettriche pure. Considerando che Norvegia (con una quota del 16,2%) e l’Islanda (4,6%) fanno gara a parte, nell’Unione europea solo tre Paesi hanno una quota di auto elettriche a batteria superiore al 2%: Danimarca, Olanda e Svezia.Nell’Europa dei 27, il 51,1% delle automobili va a benzina, il 41,9% a gasolio, lo 0.8% è elettrico mentre le plug-in sono solo lo 0,7% e quelle a metano sono lo 0,6%. Meglio fanno le Ibride (2,3%) e quelle a Gpl (2,5%).Le auto elettriche circolanti in Italia al 30 giugno 2023 sono meno di 200.000 su un parco vetture totale del nostro Paese pari all’incirca a 40 milioni di esemplari. L’incremento nei primi sei mesi dell’anno è stato del 31%, pari a 32.684 unità sullo stesso periodo del 2022. Tradotto in cifre, si tratta di poche migliaia di auto in più. In percentuale, tra alti e bassi (in alcuni mesi c’è stato persino un calo di vendite) ,nei primi mesi 2023 ci si muove attorno al 2,5-3%. Poche auto elettriche, dunque, acquistate, va detto per completezza dell’informazione, principalmente da aziende o società di noleggio. Dati alla mano, questo significa che gli automobilisti italiani, dell’elettrico, ancora non ne vogliono sapere. E, in effetti, la parte del leone nelle immatricolazioni a giugno la fanno le auto a benzina, con una quota di mercato che sfiora il 30%. Percentuale che, sommata a quella dei diesel (peraltro in contrazione del 2,4%) arriva a quasi il 50% del venduto.I dati, quelli veri, non mostrano, dunque, un’Europa (e, soprattutto, un’Italia) convintamente lanciata verso il green. Anzi, i tempi della transizione si stanno rivelando superiori a quanto previsto e la data del 2035 che, per l’Unione europea, deve sancire la fine della vendita di auto endotermiche, appare sempre più irrealistica da rispettare per lo switch off.Non stupisce, dunque, il ripensamento di Stellantis in merito alle tempistiche per eliminare completamente la gamma benzina e diesel. E se John Elkann, almeno pubblicamente, annuncia per Exor un grande piano nel segno del green e della sostenibilità, ecco che il ceo della casa italo-francese, Carlos Tavares decide di rimettere a listino la versione diesel della Fiat 500 X e della Tipo, due modelli campioni di vendite che, nei mesi scorsi, erano scomparsi dalle vetrine delle concessionarie e dai listini. Se Stellantis frena sui tempi verso il «tutto elettrico», ci sono Case che, di lasciare il motore endotermico, proprio non ci hanno mai pensato. A cominciare dal numero 1 mondiale, Toyota, il cui amministratore delegato, Koji Sato, ha dichiarato senza mezzi termini che «il futuro del gruppo non è certo solo elettrico». E come Toyota stanno facendo anche Honda, le altre case giapponesi e coreane.I campioni del green a ogni costo farebbero bene, poi, a guardare anche altri pochi dati. A tutt’oggi, il guadagno lordo per ogni auto prodotta da Tesla è di circa 14.500 euro, che diventano quasi 9.000 euro netti a esemplare. Sceso, poi, a 7-8.000 dopo la recente politica del taglio dei prezzi. La distanza rispetto alle concorrenti è netta: la seconda in classifica, ovvero General Motors, si ferma a poco più di 2.100 euro. Seguono ancora in terreno positivo Toyota, Volkswagen e Hyundai, Ma c’è chi lavora con margini risicatissimi come Ford, Stellantis, Mercedes e Bmw. La situazione, in verità, sta migliorando ma, almeno per ora, ogni percentuale in più di vetture elettriche vendute equivale un buco nei bilanci (e nella forza lavoro) delle Case europee. E tutto ciò senza considerare l’invasione di vetture cinesi a poco prezzo che si fa sempre più massiccia.Ma allora perché c’è chi si ostina a celebrare la rivoluzione verde? Siamo di fronte, probabilmente, a quella «gauche caviar» che non considera, oltre allo scarso impatto del circolante sulla totalità delle sostanze inquinanti, anche i destini dell’industria e neppure il peso delle auto elettriche sul portafoglio delle famiglie. Il costo delle vetture a batteria è, infatti, mediamente il 30% in più degli stessi modelli con motorizzazioni diesel o a benzina.E la questione prezzo emerge chiaramente dalla diretta correlazione tra reddito pro capite e auto elettriche circolanti. Le vetture a spina sono poche negli Stati centro-orientali e meridionali dell’Unione europea, dove il reddito netto medio è di 13.000 euro. Al contrario, le quote più elevate si riscontrano nei cinque Paesi dell’Europa settentrionale e occidentale dove il reddito supera i 32.000 euro. E allora non è sbagliato affermare, come ha fatto il ministro Gilberto Pichetto Fratin che, almeno per ora, «l’auto elettrica è roba da ricchi».
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