2022-11-01
L’Occidente fa festa per Lula, l’alleato di Pechino e Mosca
Luis Inàcio Lula da Silva (Ansa)
Il presidente scettico sulla guerra: «Zelensky sta troppo in tv». Dalla condanna alla protezione di Cesare Battisti: le sue zone d’ombra.Il tweet poi cancellato. Elon Musk licenzia il Cda e chiede soldi per la spunta blu.Lo speciale contiene due articoli.Inacio Lula da Silva tornerà alla guida del Brasile. Il candidato di sinistra ha vinto il ballottaggio di domenica scorsa aggiudicandosi il 50,9% dei consensi. Il presidente uscente, Jair Bolsonaro, si è invece fermato al 49,1%, registrando comunque una performance assai migliore di quanto preconizzato da alcuni recenti sondaggi (secondo cui sarebbe stato indietro di quattro o cinque punti). Il Paese si conferma quindi fondamentalmente spaccato a metà. «Hanno cercato di seppellirmi vivo, ma ho avuto un processo di resurrezione nella politica brasiliana. Sono qui per governare il Paese in un momento molto difficile, ma riusciremo a trovare le risposte», ha dichiarato il vincitore. «Non è una vittoria mia o del mio partito, ma di un immenso movimento democratico, oggi c’è un solo vincitore: il popolo brasiliano», ha proseguito. «Se siamo il terzo produttore di cibo al mondo e il primo di carne, abbiamo il dovere di garantire che ogni brasiliano possa fare colazione, pranzo e cena ogni giorno. Non possiamo accettare come una cosa normale che intere famiglie siano costrette a dormire per strada», ha aggiunto, promettendo poi di combattere la deforestazione amazzonica. Bolsonaro, dal canto suo, si è chiuso nel silenzio. Fino alla serata italiana di ieri, il presidente uscente non aveva rilasciato dichiarazioni né – sembra – ammissioni di sconfitta. A tal proposito, c’è chi crede che, visto lo stacco inferiore al 2% nel risultato finale, Bolsonaro abbia intenzione di intentare un ricorso. Tra l’altro, non va dimenticato che, alle ultime elezioni parlamentari, il Partito liberale del presidente uscente ha rafforzato la propria posizione: un fattore, questo, che potrebbe rivelarsi problematico per Lula. Congratulazioni al vincitore sono arrivate dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e da Emmanuel Macron. «Mando le mie congratulazioni a Luiz Inacio Lula da Silva per la sua elezione a prossimo presidente del Brasile dopo elezioni libere, eque e credibili. Non vedo l’ora di lavorare insieme per continuare la cooperazione tra i nostri due Paesi nei mesi e negli anni a venire», ha twittato Joe Biden. Congratulazioni sono pervenute anche dal Commissario europeo, Paolo Gentiloni, e dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. «Confido in una collaborazione attiva con un amico di lunga data dell’Ucraina», ha dichiarato quest’ultimo. «Sincere congratulazioni» sono state espresse a Lula anche da Vladimir Putin. «Oggi in Brasile ha trionfato la democrazia», ha dichiarato invece il presidente venezuelano, Nicolas Maduro. «Sono disposto a lavorare con il presidente eletto Lula, da una prospettiva strategica e a lungo termine, per pianificare e promuovere congiuntamente a un nuovo livello la partnership strategica globale tra Cina e Brasile, a beneficio dei due paesi e dei suoi popoli», ha dichiarato Xi Jinping. In questo profluvio di congratulazioni, emerge chiaramente un paradosso. Un paradosso che è tutto occidentale. Anche perché, alle nostre latitudini, non solo molti esponenti politici ma anche gran parte dell’establishment mediatico ha sempre avuto un debole per Lula in questa campagna elettorale. Addirittura, lo scorso settembre, Reuters riferì che l’amministrazione Biden stesse strizzando l’occhio al candidato di sinistra (non è d’altronde un mistero che l’attuale presidente americano rimproveri a Bolsonaro la sua amicizia con Donald Trump). Ora, cominciamo col dire che nessuno nega gli aspetti controversi dello stesso Bolsonaro: dalla criticatissima gestione pandemica alla questione amazzonica (che comunque precede di molto la sua ascesa al potere nel 2019). Il punto tuttavia è un altro. Era maggio scorso, quando Lula, intervistato da Time, disse che la responsabilità della crisi ucraina era tanto di Vladimir Putin quanto di Volodymyr Zelensky. «Putin», dichiarò, «non doveva invadere l’Ucraina ma non è l’unico colpevole. Vedo il presidente ucraino parlare in tv ed essere applaudito in tutti i parlamenti del mondo ma questa persona è colpevole quanto Putin. In guerra non c’è mai un solo responsabile». Non solo: Lula ha storicamente sostenuto delle posizioni filoiraniane. Nel gennaio 2020, criticò Trump per aver fatto uccidere il generale Qasem Soleimani, accusando Bolsonaro di servilismo nei confronti dell’allora inquilino della Casa Bianca. Era inoltre l’anno scorso, quando Lula espresse di fatto sostegno al governo di Maduro: spietata dittatura che intrattiene stretti legami con Mosca, Pechino e Teheran. Invece, secondo Reuters, «le relazioni tra Cina e Brasile, due dei maggiori Paesi in via di sviluppo del mondo, sono peggiorate sotto il presidente di destra Jair Bolsonaro». Tutto questo, senza dimenticare che Lula fu condannato per corruzione nel 2017: condanna che fu poi annullata lo scorso anno per motivi procedurali. «La sentenza», riferì France24 il 16 aprile 2021, “non ritiene Lula innocente. Ma essenzialmente rimette i pubblici ministeri al punto di partenza inviando i casi a un altro tribunale». Non solo: fu proprio Lula che, da presidente, si oppose, nel 2010, all’estradizione in Italia di Cesare Battisti, salvo poi chiedere (un po’ ipocritamente) scusa nel 2020. Alla luce di tutto questo, non si capisce che cosa abbia da festeggiare oggi gran parte dell’establishment politico e mediatico occidentale. La vittoria di Lula porta l’America Latina a scivolare ancora più a sinistra. E così, mentre gli Stati Uniti perdono progressivamente influenza sull’area, Mosca e Pechino brindano. Il prossimo presidente brasiliano punterà a consolidare ulteriormente i Brics, allontanando man mano Brasilia dall’Occidente. Un fattore, questo, che rafforzerà indirettamente Cina e Russia. Quindi ricapitolando: mentre mette le sanzioni a Mosca, buona parte dell’establishment occidentale sta esultando per la vittoria di un candidato brasiliano funzionale agli interessi della stessa Mosca e di una Pechino che finora non ha mai condannato l’aggressione russa dell’Ucraina. Una vera e propria perla di logica, non c’è che dire. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lula-rapporti-cina-russia-2658578519.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fake-news-e-affari-musk-fa-il-botto-nessun-raid-un-gigolo-con-pelosi" data-post-id="2658578519" data-published-at="1667300362" data-use-pagination="False"> Fake news e affari, Musk fa il botto. «Nessun raid, un gigolò con Pelosi» Polemiche si sono abbattute sul neo proprietario di Twitter, Elon Musk. Domenica scorsa, il magnate aveva twittato (e successivamente cancellato) una notizia infondata riguardante la recente aggressione subita da Paul Pelosi, il marito della speaker della Camera, Nancy Pelosi. In particolare, Musk aveva condiviso un articolo del Santa Monica Observer, secondo cui il consorte della speaker si sarebbe trovato assieme a un gigolò e non si sarebbe verificato alcun attacco. Nel rilanciare l’articolo, il magnate aveva twittato: «C’è una piccola possibilità che ci possa essere di più di quanto sembri in questa storia». Un post, quello di Musk, che era stato pubblicato in risposta a un tweet di Hillary Clinton, dedicato all’aggressione subita da Paul Pelosi. «Il Partito repubblicano e i suoi portavoce ora diffondono regolarmente odio e teorie del complotto squilibrate. È scioccante, ma non sorprendente, che la violenza sia il risultato. Come cittadini, dobbiamo ritenerli responsabili per le loro parole e le azioni che ne conseguono», aveva scritto l’ex first lady. Ora, che Musk dovesse stare più attento, è fuor di dubbio. Anche perché pare proprio che il Santa Monica Observer non risulti il massimo dell’attendibilità come fonte (una volta riportò che la Clinton sarebbe stata sostituita da una controfigura dopo essere morta l’11 settembre). Tutta questa indignazione non si è però registrata quando – fino a pochissimo tempo fa – il colosso tecnologico di San Francisco risultava (neppur troppo velatamente) assai ben disposto nei confronti dei democratici. Ricordiamo, per esempio, quando, a ottobre del 2020, bloccò di fatto – in piena campagna elettorale per le presidenziali di allora – la condivisione e la diffusione dello scoop del New York Post su Hunter Biden: uno scoop basato sui contenuti di un laptop che, pochi mesi fa, il Washington Post e il New York Times hanno riconosciuto essere autenticati. Lascia inoltre perplessi il fatto che Twitter abbia bloccato l’account dell’ex presidente americano, Donald Trump, mentre figure non esattamente liberaldemocratiche del calibro di Nicolas Maduro e Ali Khamenei continuano a cinguettare come se niente fosse. In tutto questo, secondo quanto riferito dalla testata The Verge, il nuovo proprietario di Twitter starebbe pensando di far pagare maggiormente i profili verificati con la spunta blu, passando da 4,99 dollari a 19,99 dollari al mese. Gli utenti in questione avrebbero circa 90 giorni per effettuare l’iscrizione, dopodiché perderebbero la spunta. Non solo: sembra che il magnate abbia anche intenzione di portare avanti un poderoso piano di licenziamenti interni. Come riportato ieri dal New York Post, già giovedì scorso, Musk ha silurato il ceo Parag Agrawal, il cfo Ned Segal, il consigliere generale Sean Edgett e il direttore legale Vijaya Gadde (colei, cioè, che ebbe un ruolo decisivo nel bloccare l’account di Trump l’anno scorso). Ieri, invece, ha azzerato l’intero Cda in carica, restando amministratore unico della piattaforma. Al momento, non è ancora del tutto chiaro se l’ex presidente americano farà ritorno sulla piattaforma (va tra l’altro tenuto presente il fatto che costui ha lanciato, alcuni mesi fa, il suo social network Truth). Non si può tuttavia escludere che Trump possa riaprire il proprio account, soprattutto qualora decidesse di ricandidarsi alla Casa Bianca dopo le elezioni di metà mandato del prossimo 8 novembre. Per ora, l’unica cosa certa è che Musk sembra puntare a recidere i «legami» tra Twitter e il mondo progressista statunitense. Vedremo se proseguirà su questa strada e se sarà in grado di farlo.