2024-12-28
Ma l’Ue non rallenta sui diktat verdi
La vice della Von der Leyen, Roxana Minzatu, annuncia che la revisione dello stop al motore termico non verrà affrontata prima del 2026. Con buona pace di licenziamenti e ditte chiuse.Non basta la chiusura di stabilimenti e che un Paese come la Germania, leader nell’automotive, viva la più grande crisi della sua storia industriale; non basta la sfilza di segni meno nelle mensili rivelazioni sulle vendite delle auto elettriche; non basta nemmeno la perdita di posti di lavoro, alcuni già operativi e altri da venire a brevissimo. Non basta questo scenario drammatico a far cambiare rotta alle istituzioni europee. Se qualcuno pensava che i nuovi organismi comunitari avrebbero rivisto l’agenda green, ebbene dovranno ricredersi. Nulla è cambiato e il 2025 si preannuncia come un annus horribilis per l’industria dell’auto e tutto l’indotto a essa collegato. La conferma è venuta dalle parole della vicepresidente della Commissione europea Roxana Minzatu che, in risposta a un’interrogazione del Ppe, ha chiuso la porta, in modo netto, a qualsiasi ipotesi di anticipare al prossimo anno la revisione delle norme del Green deal automotive che dovrebbe fare «il tagliando» all’attuazione del passaggio dall’endotermico all’elettrico in vista della scadenza del 2035, quando non potranno essere più vendute le auto a benzina o diesel. La verifica resta quindi fissata al 2026. Nel frattempo si va avanti, chiudendo gli occhi, a quanto pare, al bollettino di guerra delle vendite. A dispetto quindi di un mercato che continua a rifiutare l’addio al motore tradizionale e non ne vuol sapere dei veicoli a batteria, l’agenda green resta un totem indiscutibile. «Il regolamento richiede alla Commissione di presentare una relazione sui progressi entro il 2025. Sulla base di tale relazione, la Commissione procederà con la revisione nel 2026», ha spiegato Minzatu, responsabile per i diritti sociali e il lavoro, difendendo quindi le tappe della transizione energetica. E difendendo il traguardo del 2035, che «garantisce sicurezza a produttori, fornitori e investitori, fornendo un margine temporale adeguato per pianificare una transizione equa». Quindi, secondo la vicepresidente, ci sono condizioni e tempi per far ingoiare «il rospo» del motore a batterie al mercato. Come, non è dato sapere. E soprattutto, a quali costi non sembra interessare la politica europea. Minzatu pone l’accento anche sul ruolo degli e-fuels nel passaggio all’elettrico e assicura che Bruxelles «svilupperà una tabella di marcia per l’occupazione di qualità al fine di garantire una transizione equa per tutti i lavoratori». Belle parole, tanta retorica che cozza con la realtà. Si sgretola pertanto, di fronte all’atteggiamento irremovibile di Bruxelles, l’operazione portata avanti dal governo italiano, cioè di anticipare la revisione delle regole al 2025, sulla quale si era speso, in prima persona, il ministro del Made in Italy Adolfo Urso, raccogliendo anche un vasto consenso tra i partner europei. Urso, prima della pausa natalizia, era salito a Bruxelles per illustrare il «non paper» sottoscritto dall’Italia e dalla Repubblica Ceca, con l’approvazione anche di altri big dell’industria europea, tra cui la Francia. Il documento non intendeva mettere in discussione l’obiettivo del 2035, ma porre alcune modifiche, tra le quali anche la norma sulle multe ai costruttori che rischiano di dover sborsare miliardi di euro in sanzioni se non abbasseranno le emissioni inquinanti dei veicoli prodotti e di inserire i biocarburanti (di cui l’Italia è leader in Europa) nella lista delle alternative pulite, insieme a motore elettrico e carburanti sintetici. Dal prossimo primo gennaio scattano i nuovi standard di emissioni di CO2 con il rischio che se non si immetteranno sul mercato le giuste percentuali di veicoli ibridi ed elettrici, le case automobilistiche dovranno pagare circa 95 euro per ogni grammo di CO2 eccedente il limite imposto per ogni gruppo, moltiplicato per il numero di auto vendute in un anno nell’Unione europea. Un vero e proprio suicidio. L’Acea, l’Associazione europea dei costruttori, che da diversi mesi ha lanciato l’allarme sui rischi che comportano i nuovi limiti alle emissioni, ha ribadito che le vendite di Bev (l’elettrico) sono stagnanti, pari a circa il 13% di quota di mercato, e per questo i suoi membri hanno promesso di investire 250 miliardi nella transizione alla mobilità verde.Ora si attende la parola definitiva di Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione, prima di Natale aveva annunciato l’intenzione di avviare un dialogo strategico col nuovo anno ed era parsa incline a trovare una soluzione di compromesso. Vale la pena di ricordare le sue parole: «L’industria auto è un orgoglio europeo ed è fondamentale per la prosperità dell’Europa. Promuove l’innovazione, sostiene milioni di posti di lavoro ed è il più grande investitore privato in ricerca e sviluppo». Bisogna vedere se la Von der Leyen saprà smentire la sua vice.
Jose Mourinho (Getty Images)