
Uno studio di Tax Justice (esperti di offshore) boccia il lavoro della Commissione. L'elenco delle nazioni messe al bando rappresenta solo l'1% di segretezza finanziaria, contro il 34% prodotto dai membri dell'Unione, Olanda e Germania in testa.I Paesi inseriti all'interno della lista dei paradisi fiscali, decisa dalla Commissione europea a fine 2017, forniscono l'1% di servizi di segretezza finanziaria. A dirlo è il nuovo studio «Eu tax havens blacklist blocks just 1% of financial secrecy services threatening Eu economies» (la lista dei paradisi fiscali evita solo l'1% della segretezza finanziaria che colpisce le economie dell'Ue) pubblicato ieri da Tax Justice Network, coalizione di ricercatori che studia i temi dell'evasione fiscale. Stando ai dati pubblicati dal report, il maggior livello di segretezza finanziaria è prodotta all'interno dei Paesi dell'Unione europea. Il 34% di servizi che forniscono segretezza finanziaria sono infatti prodotti direttamente dai Paesi membri dell'Unione europea. I primi della classifica sono: l'Olanda, il Lussemburgo, la Germania e la Francia. I territori alle dipendenze dell'Olanda forniscono il 2% di servizi dannosi, mentre i territori d'oltremare della Gran Bretagna il 12%. Il 52% è invece prodotto da Paesi extra Unione europea. In questo caso i primi in classifica sono gli Stati Uniti, seguiti dalla Svizzera, dal Giappone, dagli Emirati Arabi e Hong Kong. Da segnalare che la lista dei paradisi fiscali dell'Ue è andata a colpire solo i paesi extra Unione europea, senza comprendere nessuna delle giurisdizioni sopra citate. I Paesi europei sono stati esclusi, perché più volte è stato detto come questi siano «compliant» alle normative fiscali europee. La Germania, sottolinea lo studio, fornisce più del doppio dei servizi di segretezza finanziaria ai Paesi Bassi, rispetto a Panama. E contemporaneamente, i Paesi Bassi forniscono il triplo dei servizi alla Germania, rispetto a Panama. Poco più del 4% del segreto finanziario che colpisce la Svezia è fornito dalle Isole Cayman, dove i residenti svedesi hanno accumulato beni per 11 miliardi di dollari. Mentre quasi il 6% del segreto finanziario della Svezia è fornito dagli Usa, dove gli svedesi hanno accumulato 144 miliardi di dollari. La segretezza finanziaria è un elemento nocivo per le economie perché scherma le informazioni e le rende inaccessibili a chiunque, dando vita a un'asimmetria informativa a favore di «chi sa». Esistono dei trattati bilaterali, siglati tra Paesi, con i quali si cerca di porre un rimedio alla scarsità di informazioni, ma la segretezza resta sempre. Gli Stati Uniti d'America, per esempio, hanno un livello di segretezza finanziaria talmente elevata, che nonostante i vari tratti, il 22% delle informazioni resta schermata. E questo va a colpire direttamente 27 Paesi dell'Ue. La Turchia, all'undicesimo posto nella classifica di «fornitori di servizi di segretezza finanziaria», rende illeggibile il 10% dei dati, danneggiano 27 Paesi dell'Ue, Taiwan il 9% colpendo 17 Paesi Ue, Israele il 4 % con conseguenze per 25 Paesi Ue e Il Venezuela il 3% con ripercussioni su 24 stati dell'Unione europea. L'Italia, grazie a 88 trattati, è riuscita a «scoprire» l'84% delle informazioni nascoste dai vari Stati. Il 16% resta però ancora sconosciuto. Mentre tutti gli Stati dell'Ue, tra loro, hanno stipulato accordi sullo scambio reciproco di informazioni, nessun membro europeo ha stretto accordi con gli Usa. Non è infatti un mistero che gli Usa, da sempre, hanno la volontà di ricevere più informazioni possibili da tutti i Paesi e di fornirne il minimo indispensabile. Il Fatca, Foreign account tax compliance act, ne è la prova vivente. Con questa normativa gli Usa chiedono infatti a tutte le Autorità fiscali nazionali estere di inviare all'Irs (Agenzia delle entrate Usa) le informazioni del caso sui cittadini americani che vivono e lavorano all'estero. Lo scambio è univoco. Gli altri Paesi non ricevono nulla in cambio. La lista dei paradisi fiscali redatti dall'Unione europea non è dunque in grado di proteggere gli stati membri dagli schermi prodotti dal segretario finanziario. Eppure, tra i criteri usati dalla Commissione, quando si è deciso quali Paesi inserire all'interno della lista e quali no, uno dei criteri usati è stata proprio la trasparenza fiscale. Si è andati dunque a verificare se un Paese aveva un livello di trasparenza buona oppure no. Il giudizio era stato fornito dall'Ocse. Secondo la ricerca quasi la metà (il 49%) dei servizi di segretezza finanziaria, che colpiscono gli stati dell'Unione europea, sono forniti proprio da quei Paesi «esaminati» dall'Ocse.
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