2020-04-24
L’Oms in crisi lancia l’operazione simpatia
Tedros Adhanom Ghebreyesus (Ansa)
Il direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità pubblica tweet rassicuranti per fare dimenticare la catena di errori degli ultimi mesi. Ma nel mondo continua l'ondata di contestazioni culminata nella «class action» promossa dal Missouri.Compassione. Speranza. Perdono. Onestà. Quattro parole per altrettanti lapidari tweet pubblicati nella notte italiana tra martedì e mercoledì da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità. Un'uscita piuttosto insolita, tanto che più di un utente ha pensato a un attacco hacker al profilo del medico etiope. Macché, l'autore di quei messaggi criptici era proprio lui. Rimane da chiarire se i quattro lemmi scagliati in rete da Adhanom rappresentino un invito a rimanere positivi nel bel mezzo della pandemia, oppure siano in realtà frutto della sua coda di paglia.Tornata sotto tiro, negli ultimi giorni l'agenzia ha deciso di mettere le mani avanti. «L'Oms ha dichiarato il Covid-19 un'emergenza pubblica di rilevanza internazionale il 30 gennaio 2020, quando c'erano meno di 100 casi, e nessun morto, fuori dalla Cina»: è questo il tweet appuntato mercoledì in cima al profilo dell'organizzazione, in modo da risultare ben visibile a tutti, e corredato da un breve filmato nel quale Ghebreyesus annuncia l'allarme in conferenza stampa. Un tentativo piuttosto goffo di giustificarsi. «Già il 31 dicembre alcuni funzionari taiwanesi avevano avvertito della possibilità della trasmissione interumana, ma l'agenzia si è inginocchiata a Pechino e non ha ascoltato Taiwan», ha scritto il Wall Street Journal in un durissimo editoriale pubblicato il 5 aprile scorso, in cui parla di «marciume» all'Oms. Ancora il 14 gennaio, New York annunciava che «le indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno fornito prove chiare della trasmissione del virus da uomo a uomo». Nella riunione del 23 gennaio, poi, i burocrati dell'organizzazione si sono rifiutati di proclamare l'emergenza a livello globale. Tempo prezioso sprecato. Nel momento in cui scriviamo, la petizione lanciata a febbraio su Change.org per chiedere le dimissioni di Ghebreyesus sfiora il milione di firme. E dire che nel mondo l'organizzazione si erge a paladina della verità sul virus. Solo due giorni fa, l'amministratore delegato di Youtube, Susan Wojcicki, ha annunciato che l'algoritmo della piattaforma è stato modificato in modo da rimuovere i video che contraddicono le raccomandazioni dell'Oms.Nel mirino dei detrattori c'è il rapporto privilegiato dell'agenzia con Pechino. La scelta iniziale di chiudere non uno, ma entrambi gli occhi di fronte all'avanzata del contagio sarebbe stata condizionata dalla necessità di non danneggiare il capodanno cinese. Tanto che, nell'annunciare l'emergenza globale, ancora il 30 gennaio l'agenzia non raccomandava alcuna restrizione sui viaggi e sul commercio. Solo due giorni prima, nel corso di un incontro avuto nella capitale cinese con Xi Jinping, Ghebreyesus lodava il Dragone per «l'impegno della massima leadership e la trasparenza che hanno dimostrato, inclusa la condivisione dei dati e la sequenza genetica del virus». La relazione finale della visita a Wuhan dei delegati dell'Oms, svoltasi durante la terza settimana di febbraio, è un lungo canto di lode nei confronti di Pechino: «È vero, i casi stanno scendendo, la Cina ha messo in campo il più ambizioso, agile e aggressivo piano di contenimento della storia nei confronti di questa malattia». Ma oggi come allora quei numeri continuano a non convincere. Troppo bassi. Uno studio pubblicato martedì su The Lancet da un gruppo di ricercatori di Hong Kong ha calcolato che, proprio in quei giorni, in realtà in Cina ci sarebbero stati almeno 232.000 casi - pressappoco un terzo di quelli effettivamente certificati dall'Oms - metà dei quali solo a Wuhan. «Il governo cinese ha mentito al mondo sul pericolo e sulla natura contagiosa del Covid-19, ha messo a tacere gli informatori e ha fatto ben poco per fermare la diffusione della malattia», ha tuonato pochi giorni fa Eric Schmitt, procuratore generale del Missouri, primo Stato americano a fare causa alla Cina per le conseguenze nefaste del virus. E sempre negli Stati Uniti, l'ex procuratore del Dipartimento di giustizia Larry Klayman ha lanciato una gigantesca class action per chiedere i danni a Pechino. Raggiunto telefonicamente dalla Verità, Klayman ha spiegato che «gli aderenti per adesso sono 2.000, ma ne aspettiamo molte altre migliaia». Obiettivo? «Ottenere un risarcimento, perché non sono i contribuenti americani a doversi fare carico della distruzione dell'economia causata dal virus, ma chi ha nascosto al mondo la sua pericolosità». Scettico sull'esito di queste azioni legali Luigi Crema, docente all'Università Statale di Milano, dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale: «Ogni Stato è sovrano e indipendente dalle altre giurisdizioni, perciò nessuno può chiamare a processo la Cina se non nel contesto di fori internazionali, ai quali però Pechino non ha aderito». E invece l'Oms può essere considerata responsabile per le linee guida errate e per il ritardo nell'annuncio dell'epidemia? «In realtà l'agenzia non solo è immune, ma non è uno Stato, perciò le regole che ci siamo dati finora sono dai contorni più incerti», spiega Crema, «ma è un campo vergine, e in un certo senso più passibile di iniziative da parte dei giudici». Come dire, su questo versante la partita è totalmente aperta.