2020-06-23
Il triplo azzardo dell’Italia sul vaccino
Oltre all'accordo con Astrazeneca, dai costi ignoti, il governo partecipa alla ricerca Ue con 324 milioni Altri 381 andranno alla raccolta fondi di Bill Gates sponsorizzata dalla Cyrus. Senza garanzie sull'esito.Cinque esperti lontani dalla galassia No vax: la profilassi obbligatoria è costosa e non scongiura le diagnosi sovrapposte.Lo speciale contiene due articoliNella grande ammucchiata del vaccino contro il Covid-19, ormai è un furibondo «tutti contro tutti». Organizzazioni internazionali, singoli Stati, organismi sovranazionali alla stregua dell'Unione europea, cordate di Paesi come la neonata «Alleanza europea del vaccino», dal primo all'ultimo terrorizzati dall'arrivo della temutissima seconda ondata di contagi, si sono buttati a capofitto per scovare uno strumento utile a prevenire un possibile ritorno del virus. Unica costante, case farmaceutiche e produttori che sullo sfondo si sfregano le mani in vista dell'arrivo di una montagna di profitti. Ma come si posiziona l'Italia nella corsa globale per il vaccino? Sono almeno tre le piste che l'esecutivo sta battendo in questa partita. Su tutte però gravano forti perplessità e pesantissimi caveat. La prima riguarda la firma di un accordo con Astrazeneca, multinazionale biofarmaceutica che lavora in partnership con l'Università di Oxford. L'intesa è stata salutata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, come un «primo promettente passo avanti per l'Italia e per l'Europa». La firma del contratto ha fatto seguito alla nascita, annunciata ai primi di giugno, di un sodalizio stretto insieme ai governi di Germania, Francia e Paesi Bassi. Sulle cifre messe in campo da questo consorzio c'è ancora nebbia fitta. L'unico dato certo riguarda l'entità della fornitura prenotata ad Astrazeneca, pari a 300 milioni di dosi, con la possibilità di incrementare il numero fino a 400 milioni. Purtroppo, a discapito della trasparenza, il testo del «memorandum of understanding» sottoscritto dai quattro Paesi non è rintracciabile né sul sito del ministero della Salute, né tantomeno su quello del governo italiano. Per trovarlo, la Verità ha dovuto consultare il sito dell'esecutivo dei Paesi Bassi. Quattro articoli piuttosto asciutti, più un'appendice dedicato alle policy sulle trattative con le aziende che producono i vaccini, tutto all'interno di tre paginette. Scopo dell'Alleanza, «garantire l'approvvigionamento alla popolazione dell'Ue ma non solo, a un prezzo equilibrato». Degno di nota il punto relativo all'organizzazione: l'Alleanza verrà governata e amministrata da un «gruppo ristretto» in rappresentanza dei membri, affiancati da un team di esperti nel campo legale e in quello della finanza. Quasi a chiarire che quella del vaccino, prima che sanitaria, è una questione di natura economica. Voci preoccupate arrivano proprio dai Paesi Bassi, dove esperti e politici hanno sollevato dubbi sulla scelta di Astrazeneca. Oltre alla lunga serie di controversie collezionate negli anni dall'azienda britannico-svedese, legate perlopiù a contenziosi sulla durata dei brevetti e sul prezzo dei farmaci messi in commercio, alcuni mettono in dubbio la bontà stessa della scelta fatta dai quattro Paesi. «È un po' come comprare casa da un venditore con precedenti penali», ha dichiarato a proposito del vaccino il deputato Henk van Gerven (che tra l'altro di professione fa il medico), «non abbiamo in mano i progetti, e non sappiamo nemmeno se verrà effettivamente costruita, ma nel frattempo dobbiamo firmare il contratto». Parlando domenica da Barbara d'Urso, il ministro della Salute Roberto Speranza si è comunque detto certo che il vaccino di Astrazeneca arriverà «entro fine anno». Ma che succede se il cavallo sul quale il nostro governo sembra aver puntato tutto o quasi dovesse rivelarsi un bluff? Qua si apre la seconda pista. Qualche giorno in un'intervista pubblicata su Repubblica, Walter Ricciardi, che di Speranza è consigliere, ha dichiarato: «Punteremo sugli altri vaccini, come quelli su cui la Ue sta per investire 2 miliardi». Come annunciato il 17 giugno in occasione della presentazione della strategia dell'Ue, «la Commissione concluderà accordi con singoli produttori di vaccini a nome degli Stati membri» finanziando «una parte dei costi sostenuti dai produttori». Tutto grazie ai fondi dello Strumento per il sostegno di emergenza (Esi), attivato lo scorso aprile con una dotazione di 2,7 miliardi di euro finanziati dal bilancio Ue. Considerato che l'Italia contribuisce al budget dell'Unione per il 12%, si tratta in definitiva di 324 milioni di soldi nostri. Curiosità: a negoziare i prezzi dei vaccini con i produttori ci sarà un'italiana, Sandra Gallina, appena approdata in qualità di vicedirettore generale alla Direzione generale salute e sicurezza alimentare dalla Direzione generale del commercio. «Con il trasferimento della Gallina», si legge nel comunicato, «la Commissione si avvale di un forte negoziatore allo scopo di rafforzare il lavoro sulle numerose priorità sanitarie nel contesto attuale, inclusa la strategia di acquisto anticipato di vaccini». Arriviamo alla terza pista, quella che riguarda la raccolta fondi lanciata dalla Commissione europea a fine aprile e che culminerà con l'evento-concerto del 27 giugno organizzato in collaborazione con l'Ong Global citizen, di cui è partner Bill Gates. Per capirci, l'appuntamento oggetto dell'affettuoso scambio di tweet tra Conte e la cantante Myley Cyrus. È in quella data che Ursula von der Leyen batterà cassa per tramutare le promesse di donazioni, pari a 9,8 miliardi di euro, in finanziamenti concreti. L'assegno a sei zeri in partenza dall'Italia riporta la considerevole cifra di 381 milioni di euro. Certo, esiste il pericolo concreto che il vaccino non si trovi mai, o peggio che le formulazioni sviluppate non si rivelino efficaci, ma grazie alla mole di finanziamenti già stanziati le aziende coinvolte sono sicure di cadere in piedi. E alla fine il prezzo di questo fallimento rischia di ricadere, come spesso accade, sulle spalle degli onesti contribuenti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/litalia-fa-scommesse-su-tre-tavoli-ma-sul-vaccino-niente-paracadute-2646235592.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-studio-avverte-lantinfluenzale-aggrava-il-covid" data-post-id="2646235592" data-published-at="1592864460" data-use-pagination="False"> Lo studio avverte: «L’antinfluenzale aggrava il Covid» Il Lazio di Nicola Zingaretti e la Calabria di Jole Santelli hanno prescritto la vaccinazione antinfluenzale a over 65 e personale sanitario dal 15 settembre; la Giunta pugliese di Michele Emiliano ha approvato un regolamento per imporla agli operatori sanitari. Ma stando a uno studio pubblicato da Giovanni Fioriti editore, questo provvedimento non faciliterà la diagnosi differenziale del Covid-19. L'antinfluenzale non ci aiuterà a riconoscere più facilmente un caso di coronavirus e potrebbe pure aggravare il quadro clinico di un'infezione da Sars-Cov-2. Vaccinazione antinfluenzale: che cosa dicono le prove scientifiche, è il saggio firmato da Alberto Donzelli, specialista in igiene e medicina preventiva, già in servizio presso la Asl di Milano; Daniele Agostini, epidemiologo; Paolo Bellavite, già prof di patologia generale all'Università di Verona; Adriano Cattaneo, epidemiologo esperto di salute dell'infanzia; Piergiorgio Duca, ordinario di statistica medica all'Università di Milano; ed Eugenio Serravalle, specialista in pediatria. Le conclusioni della loro indagine sono chiare. Primo: la vaccinazione antinfluenzale ha un'efficacia moderata nella prevenzione dell'influenza, ma «non è efficace verso le ben più numerose sindromi influenzali», causate da virus diversi da quelli della classica stagionale. Secondo: il vaccino potrebbe aumentare l'incidenza di altre infezioni respiratorie, incluse quelle da coronavirus, anche se «mancano prove rispetto al Sars-Cov-2». Terzo: la vaccinazione non permette «di distinguere sindromi influenzali da forme iniziali di Covid-19». Quarto: dato il costo economico e organizzativo di una campagna di somministrazione obbligatoria, essa si dimostra meno utile dei tamponi a tappeto. Lo scorso 24 maggio, La Verità aveva già evidenziato che l'ipotesi al vaglio dell'Iss e del ministero della Salute, di vaccinare contro l'influenza bambini e anziani, avrebbe comportato grossi dispendi e difficoltà logistiche. Il dicastero di Roberto Speranza ha poi corretto il tiro, con una circolare in cui si parla di «opportunità di raccomandare la vaccinazione» per i piccoli tra i 6 mesi e i 6 anni. La strada della «raccomandazione», per ora, è la stessa battuta dalla Campania, nonostante gli annunci roboanti di Vincenzo De Luca sull'obbligatorietà. La ricerca del team di studiosi, in ogni caso, alimenta dubbi che oltrepassano l'aspetto economico. Dubbi scientifici. Il punto più importante, visto che lo menzionano tutte le ordinanze regionali, riguarda la possibilità di usare la vaccinazione per accelerare le diagnosi di Covid-19. Gli autori ricordano che una soluzione simile era già tramontata nella stagione 2003-2004, quando si pensò di vaccinare tutti i bambini contro l'influenza a causa delle somiglianze, allo stadio iniziale, con la Sars. Si desistette perché le sindromi simil influenzali (Ili), «clinicamente indistinguibili, ma certo molto più frequenti sia dell'influenza che della Sars» e non coperte dal vaccino, «avrebbero reso di fatto irrilevante il ruolo della vaccinazione antinfluenzale per una definizione della diagnosi differenziale». Una situazione destinata a riproporsi con il Covid-19. Su 100 pazienti, 85 potrebbero ammalarsi a causa di virus influenzali per i quali il vaccino non offre protezione. Dal che si comprende che «la pregressa vaccinazione non aggiungerebbe nulla di sostanziale a una corretta diagnosi eziologica, che necessita inevitabilmente di effettuare comunque un test rapido». Insomma, i tamponi rimangono un metodo «molto più razionale e preciso rispetto al tentare diagnosi “per esclusione"». L'altro capitolo cruciale riguarda le interferenze virali: «Nei vaccinati contro l'influenza», spiegano i sei scienziati, «può esserci un rischio di eccesso di altre malattie virali». Un'indagine condotta su militari Usa ha rilevato un incremento del 36% di patologie legate ai coronavirus (prima del Sars-Cov-2), mentre in Spagna sarebbe stata individuata «una relazione diretta tra vaccinazioni antinfluenzali» e «decessi da Covid-19». È presto per trarre conclusioni sul loro impatto sul morbo cinese. Ma il solo sospetto di interferenze virali è motivo sufficiente per evitare decisioni avventate. Tanto più che proprio sulle categorie oggetto delle ordinanze, over 65 e sanitari, il vaccino non garantisce miglioramenti. Gli studi randomizzati controllati hanno dimostrato che l'antinfluenzale reca benefici ai pazienti attempati solo se hanno cardiopatie croniche. Una ricerca britannica, invece, ha rilevato una tendenza al peggioramento dei dati su ricoveri e mortalità negli anziani non cardiopatici vaccinati. Risultati non incoraggianti si sono registrati altresì su bimbi e puerpere. Ciò mette in questione anche la costituzionalità di un obbligo vaccinale: mancano le prove, richieste in virtù di una sentenza della Consulta, che il trattamento possa «migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato»; e non si può affermare neppure che «esso non incida negativamente sullo stato di salute». Nel suo ultimo libro, Ilaria Capua azzarda: se gli italiani vaccinati per l'influenza fossero stati di più, «i numeri del contagio da Sars-Cov-2 sarebbero stati più contenuti». L'ex montiana ammette di non avere «ancora a disposizione informazioni tali da poter suffragare» la sua tesi. Però, ribadisce, «ne sono convinta». Per una scelta politica così delicata può bastare un atto di fede?