2020-12-14
        «La soluzione è il voto, non il governissimo»
    
 
Il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari: «La soluzione migliore per noi è il ritorno alle urne, le condizioni ci sono. Al momento nemmeno sappiamo se si aprirà lo scenario per un un governo tecnico. Nel caso lo valuteremo».Dopo Matteo Renzi, anche Nicola Zingaretti chiede a Giuseppe Conte un rilancio ma «niente crisi al buio». Luigi Di Maio ai suoi: se il governo cade, sarò comunque ministro nel prossimo esecutivo.Lo speciale contiene due articoli.Riccardo Molinari è il capogruppo della Lega alla Camera.Cade o non cade? Non c'è bisogno che le dica a chi mi riferisco.«Bisogna capire se Matteo Renzi farà l'ennesimo penultimatum o se invece per una volta vorrà essere conseguente. In passato, dall'Ilva alla plastic tax, passando per la sugar tax, è sempre tornato sui suoi passi. Stavolta pone un tema anche di assetto istituzionale rispetto alla futura gestione del Recovery plan: vedremo se sarà coerente».Lei stesso ha ricordato che in genere Renzi tende ad alzare tatticamente l'asticella per poi accontentarsi di un compromesso interno al perimetro giallorosso. Perché stavolta dovrebbe andare diversamente?«La novità è che stavolta le sue lamentele sono condivise anche dal Pd, a sua volta insofferente verso Conte…Questo può essere un elemento nuovo, ma l'esito non è ancora chiaro».Nei giorni scorsi, Matteo Salvini ha lasciato intendere una disponibilità della Lega a un'ipotesi di esecutivo ponte verso il voto. Ma quanto deve essere corto questo «ponte»?«La soluzione migliore sarebbe andare al voto al più presto. I piani europei non sono stati ancora presentati, siamo tuttora lontani dall'elezione del nuovo presidente della Repubblica, i collegi sono stati già ridisegnati in base all'avvenuta riduzione del numero dei parlamentari. Dunque, le condizioni per votare ci sono. Se però…».Se però?«Il punto è capire se si muove o no qualcosa in casa Pd. Non possiamo sapere se si aprirà lo scenario di un governo tecnico o addirittura di un governo con una diversa maggioranza. Al momento, non c'è nulla di questo. Nel caso, valuteremo».Quindi, sgombriamo il campo da equivoci: voi dite sì a una sorta di calendario ragionevolmente serrato verso il voto, e dite no a prospettive confuse di collaborazione indeterminata con chicchessia…«Non siamo ancora entrati in queste valutazioni perché, come ho già detto, non ci sono gli elementi. Ma la storia della Lega parla chiarissimo: è una storia di coerenza. La nostra prima opzione è il voto subito. Se, per arrivarci quanto prima, e per liberare l'Italia da questo governo, ci sarà un'altra ipotesi, la esamineremo a tempo debito».Ma vedendo la fauna di Montecitorio, dove 7-8 deputati su 10 rischiano di non rientrare, lei pensa sia realistica una fine anticipata della legislatura? «Per questo dicevo che purtroppo il rischio è che vadano avanti. Il problema sono i grillini. Tra Camera e Senato, 300 persone sono capitate lì per caso… D'altra parte questa situazione può dare adito a scenari imprevisti: ad esempio sul Mes molti di loro hanno preso posizioni critiche. E da inizio legislatura alla Camera ne hanno persi già 40 per strada».Facciamo allora diversi scenari. Cominciamo dal più spiacevole per gli elettori di centrodestra, e cioè che la legislatura vada avanti fino al 2023. Dunque, sarebbe questo Parlamento a eleggere il presidente della Repubblica. In teoria il centrodestra, con i rappresentanti regionali, avrebbe circa il 46% dei grandi elettori. Come contate di giocare quella partita? «L'attuale maggioranza fa i conti senza l'oste. Il Pd finora ha tenuto in piedi questa coalizione con l'obiettivo di eleggere uno di loro al Quirinale. E hanno una ventina di aspiranti…Ma non hanno calcolato due incognite: la prima è il nostro 45-46%, la seconda è proprio la variante grillina. Chissà che caos e agitazione ci sarà tra loro in quel momento,..».Restiamo nello scenario meno favorevole: la legislatura va avanti, pur traballante. Secondo lei, hanno presente la situazione sociale del Paese o pensano che alle imprese rimaste chiuse bastino i 3.000-4.000 euro di cosiddetto ristoro? Hanno capito che avremo uno tsunami di chiusure e fallimenti? «Da come si stanno muovendo, parrebbe di no. Tra l'altro, oltre ai ristori del tutto insufficienti, c'è anche il tema dei licenziamenti. Quando salterà il blocco, è prevedibile che sarà a rischio 1 milione di posti di lavoro. Siamo a metà dicembre e da parte del governo non solo è ancora in alto mare la legge di bilancio, ma non c'è un credibile piano economico complessivo. Conte è chiuso nella bolla delle sue conferenze-show; il M5s di queste cose non ha consapevolezza; forse invece il Pd di qualcosa si rende conto, di qui l'insofferenza che talora emerge».Il governo ammette che per arrivare a un numero adeguato di italiani vaccinati occorrerà attendere fino ad agosto-settembre. Secondo lei sono così scollegati dalla realtà da pensare che il Paese possa reggere per altri 9-10 mesi con un regime di chiusure e di lockdown strisciante? «Purtroppo mi pare che il loro disegno sia esattamente questo. La tesi del ministro Speranza è: finché non c'è vaccinazione per tutti, la logica è quella delle chiusure mensili o comunque programmate. Adesso, con le chiusure natalizie, pensano di evitare la terza ondata. Ma, se ci sarà, verrà con la riapertura delle scuole a gennaio, esattamente com'è accaduto da metà settembre in poi con la seconda ondata, a causa dell'impreparazione su scuola e trasporti. E allora che si fa, richiudiamo tutto a febbraio? Logica assurda…».Le chiedo di essere anche autocritico. Il centrodestra dice spesso, giorno per giorno, cose condivisibili. Ma ritiene che, a livello sia regionale sia nazionale, siate riusciti a dare l'idea di un'impostazione alternativa al governo? A volte anche le regioni governate dal centrodestra si sono allineate alla logica delle chiusure generalizzate…«Beh, intanto è stata condotta dal governo e da alcuni media un'opera di demonizzazione delle Regioni, cercando di scaricare lì le responsabilità. E invece più si analizzano le cose, più il tema è stato proprio il ruolo negativo del governo: il non aver avuto un piano efficace e aggiornato, l'aver seguito un protocollo inefficace di chiusure generalizzate, il non aver allertato le Regioni già a gennaio, l'aver agito solo a marzo… Per non parlare della seconda ondata e dei 5 mesi persi per organizzare il Paese, o della tendenza ad accentrare tutto in capo al supercommissario…».Detto questo, però?«Sul centrodestra, distinguerei. Forse è vero che durante la prima ondata non siamo stati in grado di dare l'idea di un'alternativa chiara, ma anche perché il pericolo non era conosciuto, e, diversamente dal governo, non avevamo i dati. Nella seconda fase, invece, siamo stati compatti, propositivi, offrendo una visione alternativa a quella del governo».Come sta il centrodestra? La settimana appena trascorsa ha registrato una riunione di tutte le forze da voi promossa. È ragionevole dire che siate più compatti o percepisce ancora rischi di disarticolazione?«Che la sinistra abbia interesse a provarci, rientra nel gioco della politica. Al loro posto, anch'io cercherei di provare a tirar dentro un pezzo di Forza Italia anche per avere più forza contrattuale rispetto ai grillini. Ma…»Ma Fi può caderci?«Altra cosa, e non mi pare accada, è che Forza Italia ci caschi. Le parole del presidente Berlusconi sono state chiare, in Aula siamo compatti come centrodestra anche sulla legge di bilancio. Certo, ci sono delle differenze, in primo luogo sul Mes sanitario: ma le diversità tra noi sono molto meno profonde rispetto a quelle esistenti tra le forze che governano oggi. E in più il centrodestra vince e governa insieme sui territori, è un modello che gli italiani conoscono».È molto pessimistico pensare che questa legislatura lascerà in eredità un'Italia semicommissariata da Bruxelles?«Se si vota nel 2023, purtroppo è uno scenario molto probabile. Abbiamo un debito-monstre, a cui per ora si sono aggiunti 110 miliardi di debito aggiuntivo, un più 6% di disoccupazione, e prima o poi la Bce potrebbe decelerare rispetto al suo piano di acquisti. E c'è il rischio legato al Mes».Contro cui avete fatto una bella battaglia parlamentare.«Il meccanismo è pericolosissimo, un ente tecnico terzo con poteri enormi. Se c'è speculazione sui titoli italiani, e in presenza - per fortuna - di una significativa ricchezza privata nel Paese, il rischio è che, per essere “salvati" dal Mes, attacchino proprio la nostra ricchezza privata, che sia tagliato il valore dei nostri titoli di Stato (l'80% dei quali è in mani italiane), e che ci impongano un memorandum di tasse e tagli. Un pericolo enorme…».Su questo i grillini si sono squagliati.«È stato incredibile sentir dire: votiamo per accedere al Recovery fund ma tanto non lo useremo. Non hanno capito che la partenza del meccanismo, a un certo punto, rischia di non dipendere più dalla tua volontà».A partita chiusa le chiedo un giudizio sulle scelte di fondo dei suoi avversari. L'Italia chiuderà l'anno con un Pil a meno 10% e il rischio di un rapporto debito/Pil al 160%. In questa condizione di fragilità, come può essere venuto loro in mente di collaborare a issare un cappio che potrebbe «ospitare» per primo il collo dell'Italia? Dolo o colpa?«Per il M5s il discorso è quasi disarmante, e riguarda il 27 del mese... Di Maio glielo ha detto: o fate così o vi saltano seggio, stipendio e mutuo in banca. Il Pd invece temo lo abbia fatto scientemente: loro sono storicamente tifosi del vincolo esterno, nella sciocca convinzione che quel vincolo scatterebbe solo contro l'eventuale “cattivo Salvini" al governo. Ma non capiscono che varrebbe anche con loro. Si illudono, purtroppo…».Intanto hanno avuto come priorità l'attacco ai decreti Salvini.«Incredibile. Li abbiamo tenuti bloccati per 13 giorni. Ma è assurdo che, in questa situazione anche economica e sociale, mentre ci avviamo forse alla crisi più grave dal secondo Dopoguerra, vogliano riaprire indiscriminatamente. Se il Mes è una bomba economica, questa rischia di essere una bomba sociale».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lintervista-riccardo-molinari-nuove-maggioranze-meglio-il-voto-2649471530.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-passi-lenti-verso-il-rimpastino" data-post-id="2649471530" data-published-at="1607894356" data-use-pagination="False"> A passi lenti verso il rimpastino Tanto tuonò che alla fine non piovve. A meno di sorprese sempre possibili, ma che oggi appaiono un po' meno probabili, sarà questo ciò che forse si potrà scrivere tra Capodanno e la Befana, qualche giorno dopo la chiusura della legge di bilancio, quando le forze di una maggioranza immobile e sfibrata si troveranno a tirare le somme della cosiddetta «verifica». Si era partiti dalle provocazioni di un Matteo Renzi fiammeggiante, pronto a porre una questione di fondo, e cioè a contestare a Giuseppe Conte l'idea di una specie di task force semitecnica volta a esautorare i ministri nella gestione del Recovery plan italiano. Su questo, lo stesso Renzi fa notare come tutti gli diano ragione. Il punto è che però nessuno comprende dove Italia viva vada a parare. Nei momenti più combattivi, Renzi è arrivato a far pensare a un disarcionamento di Conte. A microfoni spenti, in diversi nella maggioranza insistono sul fatto che Renzi in realtà punti per sé agli Esteri o alla Difesa, considerati dall'ex premier la migliore tappa intermedia per poi ambire nientemeno che alla segreteria generale della Nato. Conte, che nell'immobilismo si trova a proprio agio, punta a decelerare, a far sbollire, a far inghiottire tutto dalle sabbie mobili. Ha promesso che la verifica ci sarà, e per il momento ha espunto la norma contestata (quella sulla struttura per il Recovery plan) dai possibili emendamenti alla legge di bilancio. Dopo di che - ma non è chiaro se l'indiscrezione venga dal Colle o se invece sia la comunicazione di Palazzo Chigi a veicolarla -, negli ambienti di governo circola la voce secondo cui il Quirinale non vorrebbe che fossero toccate le caselle principali del governo: Interni, Esteri, Economia, Difesa, Salute. Il che - automaticamente - derubricherebbe l'operazione a un rimpastino di second'ordine. Con rispetto parlando, non è che sostituendo, ad esempio, Lucia Azzolina o Fabiana Dadone si cambia il profilo del governo. Se alla fine Renzi si acconciasse a una sceneggiata del genere, non farebbe una gran figura. Né sembra facilmente praticabile l'ipotesi di nominare due vicepremier (Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti): un po' perché Zingaretti non sembra disponibile a lasciare la Regione Lazio, un po' perché Conte non gradirebbe il suo stesso ridimensionamento, che a quel punto sarebbe evidente. A proposito di Zingaretti, ha destato sconcerto la sua intervista di ieri al Corriere della Sera: presentata con grande enfasi, ma largamente elusiva. Attestata su formule tardodemocristiane: no alla «crisi al buio», no all'«avventura». Un modo come un altro per scaricare su Renzi l'onere della prima mossa. Quanto a Di Maio, il surreale weekend italiano ha visto sia retroscena in cui il titolare della Farnesina si atteggiava a Marchese del Grillo con i parlamentari pentastellati («Se il governo cade, farò comunque parte del prossimo, come ministro»), sia ricostruzioni che lo vedrebbero addirittura candidato a Palazzo Chigi in caso di sostituzione in corsa di Conte. Intanto, sul lato destro dello schieramento politico, Matteo Salvini, pur senza citarla, sembra aver implicitamente risposto alle parole di Giorgia Meloni, che si era detta «stupita» delle aperture del leader leghista. Il quale, in realtà, aveva provato a disarticolare l'equilibrio fragile su cui Conte si regge. In ogni caso, ieri Salvini, parlando a La7, è stato netto: «C'è un governo in carica? Sì. È in grado di risolvere i problemi? No. Cosa facciamo? Tiriamo a campare? No. O questo governo si mette in riga, ascolta il Paese e scriviamo insieme le regole, oppure si facciano da parte. Non si può votare a San Valentino, nel pieno della vaccinazione. Prima si vota e meglio è. Se per qualche mese ci fosse un altro governo, magari di centrodestra, perché no? Tanti in Parlamento sono stufi delle chiacchiere e delle promesse, darebbero una mano a un governo di centrodestra». Interpellato su un ipotetico Conte ter, il leader leghista ha liquidato la pratica: «Direi proprio di no, gli italiani hanno già dato. A me poi un governo con Cetto La Qualunque non interessa».
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
    
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