2020-05-18
Massimo Fini: «Dopo il virus torneremo alla terra»
L'intellettuale antimoderno: «La pandemia preannuncia il collasso del modello di sviluppo industriale e finanziario. Arriverà un nuovo feudalesimo: giovani, comprate un appezzamento e imparate a lavorarlo».Massimo Fini, una vita da antimoderno, in direzione ostinata e contraria, spesa a demitizzare persino i dogmi più incontestabili. In tempo di pandemia, non delude certo le attese di chi da lui si aspetta una lettura originale del momento storico che stiamo vivendo.Giuseppe Conte ha detto che per le riaperture non si poteva aspettare il vaccino. Ma pure che, fino al suo arrivo, servirà il distanziamento sociale.«L'ha detto?».La prima cosa, sabato sera. L'altra, in Senato, ad aprile. E se il vaccino arrivasse nel 2022, come teme qualcuno? Ci aspettano due anni da distopia?«Sarebbe impossibile continuare con questa situazione, non dico per due anni, ma nemmeno per qualche altro mese».Non reggeremmo a lungo altre restrizioni?«Finirebbe che avremmo più vittime per depressione, ictus e infarti, che non per il Covid-19».Sull'affare vaccino, intanto, ha messo una grossa ipoteca la galassia di organizzazioni che ruotano intorno a Bill Gates. Teme che la pandemia possa accrescere certe concentrazioni di potere un po' opache?«Le concentrazioni di potere aumentano di decennio in decennio. Ora non faranno che seguire lo stesso andamento, vista la portata del fenomeno Covid. Ma questo è un problema più generale, legato al modello di sviluppo che abbiamo adottato».Cosa intende?«Il coronavirus ci rivela che il modello di sviluppo occidentale, che ha ormai sfondato anche in culture molto diverse, come quella cinese, è fragilissimo. La pandemia è il preannuncio di un collasso».È il cigno nero? L'imprevisto che distrugge un equilibrio apparentemente stabile, svelandone la precarietà?«Esattamente. Forse il sistema non crollerà adesso, ma basterà anche solo un altro piccolo colpo. O almeno, io me lo auguro».Se lo augura? Ma che conseguenze avrebbe un collasso?«Si creerà una situazione simile a quella del crollo dell'impero romano, che portò alla nascita del feudalesimo europeo. Naturalmente, non sarà un processo indolore».Appunto.«Lo so, sarà un bagno di sangue. Chi vive nelle metropoli si renderà conto che non può mangiare le automobili e bere il kerosene».E allora?«Si riverserà in campagna».L'incastellamento feudale?«Ma dalle campagne costoro saranno respinti da coloro che, molto più provveduti, ci si erano già rifugiati conservando un bel po' di Kalashnikov».Un quadro angosciante. Forse una prospettiva più pacifica la offre il cosiddetto smart working: si potrebbe lavorare per le grandi aziende con sede nelle megalopoli, restando a vivere in provincia.«Può darsi sia una soluzione, però in misura molto limitata».Perché?«Da dove viene il cibo? Dalla terra, mica dai lavori da remoto. E dunque bisognerà che alla terra si torni».Lo crede davvero?«È il consiglio che do ai giovani che mi seguono: comprate un casale, un appezzamento e imparate a lavorarlo e a mungere le mucche».Come ai tempi del Decameron? Con la gente che fugge dalla Firenze appestata per rifugiarsi sulle colline?«In quel caso, a ritirarsi in campagna erano persone di ceto elevato».E stavolta?«Il modello è quello di certe correnti di pensiero americane, come il bioregionalismo e il neocorporativismo».Cosa sostengono? «Propugnano un ritorno graduale, limitato e ragionato a forme di autoproduzione e autoconusmo, che passano per il recupero della campagna e per un ridimensionamento drastico del modello industriale e finanziario».Insomma, dovremo riscoprire il valore della frugalità?«Da questo punto di vista, il Covid può avere un effetto positivo».Cioè?«In queste situazioni, come in guerra, le persone sono portate a rivedere la loro gerarchia dei valori. Forse marito e moglie la smetteranno di litigare perché uno schiaccia il tubetto del dentifricio dal basso e l'altra lo schiaccia dall'alto».Lei ha scritto che in Occidente siamo diventati «eunuchi». Per paura di perdere la salute, abbiamo rinunciato a troppa libertà?«Certamente. La cultura occidentale ha eliminato il concetto di morte biologica. Non la si nomina nemmeno nei necrologi».Nei necrologi?«Si usano altre perifrasi: “È mancato", “è scomparso"».Prima non era così?«Nel mondo agricolo, il ciclo dei semi insegnava che la morte è la precondizione della vita. Noi ce lo siamo dimenticato».Quindi?«Siamo stati colti da un panico sproporzionato».Convivere con il virus significa accettare il rischio di morire per non diventare schiavi delle misure di contenimento?«Per non morire, rinunciamo a vivere. Meglio vivere un giorno in piedi, che una vita in ginocchio».Che pensa delle app di tracciamento?«È un problema minore».Crede?«Tanto siamo controllati lo stesso, anche senza le app».Walter Ricciardi, in un'intervista, ha detto che occorre un «cambiamento culturale permanente». È allarmante che di simili programmi politici si facciano latori personaggi svincolati da qualsiasi forma di controllo democratico?«Sul Fatto Quotidiano ho scritto un pezzo: “La scienza è più pericolosa dell'Isis"».Una provocazione?«Il punto è che la scienza tecnologicamente applicata è sfuggita a ogni controllo. Nessuno osa criticarla».Per quale motivo?«Si crede che la scienza possa e debba fare tutto ciò che ha la possibilità di fare. Non è così».Occorre un diverso senso del limite?«I greci avevano matematici, come Pitagora e Filolao, che avrebbero potuto realizzare macchine simili alle nostre».Addirittura? «Non come gli smartphone, certo, ma simili a quei modelli di cellulare che giravano fino a un po' di anni fa».E perché non le avrebbero costruire, allora?«Intuirono che manipolare la natura è pericoloso. Ora la scienza lo fa persino con il Dna. È la scienza di Frankestein».Visti i tanti errori commessi, il rapporto tra cittadini e scienziati, che s'era già incrinato, entrerà in una crisi irreversibile?«Spero che gli scienziati comincino a porsi dei dubbi sull'infallibilità della scienza stessa. Se abbasseranno un po' la cresta, anche noi torneremo ad avere più fiducia in loro».Secondo alcuni filosofi, come Giorgio Agamben, la pandemia ha scatenato al massimo grado la modalità di governo tipica della postmodernità: esercitare il potere attraverso il dispositivo dell'emergenza. Che ne pensa?«L'emergenza era oggettiva. Si potevano prendere due strade: lasciare libero corso all'epidemia, oppure varare misure di contenimento. E quest'ultima è una via insidiosa».In che senso?«Se confini troppo una molla, all'improvviso questa risalta fuori in modo più violento: e ciò riguarda il pericolo di una seconda ondata di contagi».Gli allarmi sull'uso distorto del potere sono esagerati?«Be', è stato comunque dimostrato un fatto: che i cittadini sono disposti a subire praticamente di tutto».E ciò cosa comporta?«Non credo che il governo Conte abbia intenzioni simili, ma questo fatto può incoraggiare chi abbia ambizioni dittatoriali».Come cambierà il nostro modo di concepire la vecchiaia?«Bella domanda. La vecchiaia è una delle grandi trappole della ragione».Che significa?«La scienza medica ha lavorato per l'allungamento maggiore possibile della vita, con il consenso di tutti».Indubbiamente.«Ma che l'allungamento della vita in sé sia un bene è discutibile. Già Max Weber aveva posto questo problema».Vivere a lungo è un problema?«Cesare Musatti, che aveva più di 90 anni, disse: “Vivere in un mondo di vecchi mi farebbe orrore". E poi c'è la questione economica».Ovvero?«Un gruppo ristretto di giovani deve mantenere una moltitudine di vecchi».Lei che pensa? È un bene o no?«È un mito, se non da sfatare, su cui si dovrebbe per lo meno ragionare. Come dice il biblista, “70 sono gli anni della vita dell'uomo"».Ma mica possiamo eliminare chi vive «troppo» a lungo...«No. Ma credo pure che sia sbagliato che si protraggano vite dimidiate, senza senso. E questo glielo dice uno che ha una certa età...».La vecchiaia ha tanti lati positivi. I nostri nonni sono un deposito di conoscenze e saggezza.«Questo era vero solo nella società agricola. Oggi, con i rapidissimi cambiamenti tecnologici, sono i giovani ad avere le conoscenze. Lo spiegava bene lo storico Carlo Maria Cipolla».Cosa diceva?«Che nella società agricola il vecchio è saggio, in quella industriale è un relitto».
Chiara Appendino (Imagoeconomica)