2021-05-03
Mario Moretti Polegato: «Draghi metta fine agli aiuti a pioggia»
Mario Moretti Polegato (Ansa)
L’inventore delle scarpe con i buchi: «Sono cerotti che non garantiscono la ripresa. Bisogna vaccinare a raffica e puntare sui giovani cambiando la scuola. L’Italia è piena di geni creativi ma è incapace di investire su di loro»Galeotto fu il caldo del deserto, tremendo al punto da essere insopportabile. Lì inizia la storia di Mario Moretti Polegato, classe 1952, diventato in un attimo il signor Geox. Si trovava a Reno nel Nevada: per ovviare al problema del surriscaldamento dei piedi fora le suole di gomma delle proprie scarpe con un coltellino svizzero. Rientrato in Italia, sviluppa l’idea mettendo a punto una nuova tecnologia per le suole in gomma: nasce così la prima «scarpa che respira». Insomma, di necessità virtù.«Sono passati vent’anni. All’inizio ero interessato solo a cedere questa idea a qualche azienda specializzata ma non avendo trovato interesse, sono partito da solo con pochissime persone a Montebelluna in provincia di Treviso e poi da un gruppetto di 4 persone siamo diventati 400, poi 4.000 e oggi il mondo Geox dà lavoro tra diretti e indiretti a 30.000 persone. Siamo diventati un brand mondiale presente in più di 100 Paesi con oltre 800 negozi ubicati nelle vie centrali della moda delle principali città».Un’idea geniale.«Tutto sta nella suola di gomma che grazie ai forellini presenti nel battistrada permettono al calore di uscire senza però fare entrare l’acqua, e quindi mantiene i piedi asciutti». Paghi uno compri due.«Man mano che l’abbiamo sviluppata nel mercato ho scoperto che non era solo una necessità mia personale, ma di tutti. L’interesse su questo progetto è mondiale ed è importante non solo la respirazione del piede ma l’igiene, una parola che con salute ha la maggior attenzione in questo momento. Noi rappresentiamo il futuro. Essendo italiani abbiamo applicato il nostro stile alla calzatura combinando stile e mano italiana a una tecnologia che solo Geox può utilizzare». Perché?«Perché è stata brevettata. Abbiamo ideato un prodotto unico sul mercato, con il tempo abbiamo creato le collezioni per la famiglia trasformandoci in un family brand dove tutti trovano la scarpa adatta dotata della nostra tecnologia. Sono poi seguiti altri 40 brevetti per facilitare la respirazione del corpo umano. E uno dei tanti che stiamo mettendo sul mercato è la giacca che respira, abbiamo bisogno di termoregolare tutto il corpo». Le grandi idee nascono nei laboratori?«Ne sono convinto. Laboratori dove un gruppo di ingegneri cerca di risolvere i problemi. La mia idea non è altro che la soluzione di un problema: volevo far respirare la gomma e loro hanno trovato il modo. Nel mondo più del 90% delle persone usa scarpe con suole di gomma, solo il 10% usa suole di cuoio. S’immagini il potenziale che questa azienda ha avuto e avrà». La sua storia ricorda il sogno americano: da un’idea è diventato un colosso.«Questa è una parte del successo, perché la creatività deve diventare impresa. Spesso grandi idee non hanno avuto la fortuna di trovare uno sviluppo industriale e commerciale tale da renderle famose. Noi ci siamo riusciti, combinando l’idea con capacità di saperla gestire anche sul lato estetico. Oggi la tendenza mondiale della calzatura è confort e salute, con un’esplosione di scarpe casual per ogni momento della vita». Grande creatività sì, ma l’Italia è un Paese che non riesce a decollare.«Le ragioni non sono diverse da quelle che ho detto. Guardiamo le nostre case: nei mobili e l’interior design, per esempio, siamo i migliori del mondo. Poi non abbiamo la cultura di gestire la creatività. La prima cosa è far sì che queste idee rimangano nostre tutelando la proprietà intellettuale, quella che noi chiamiamo il brevetto, uno strumento che crea l’unicità». Il segreto sta nel brevettare?«Nella graduatoria dell’Ufficio brevetti europeo di Monaco di Baviera siamo agli ultimi posti quando dovremmo essere al primo. Di chi è la responsabilità? Bisogna chiederselo, perché c’è una responsabilità sociale e anche formativa. Queste cose dovrebbero essere materia di insegnamento nella scuola per dare speranza ai giovani: anziché mendicare posti di lavoro qua e là nell’ambiente pubblico, potrebbero replicare altre esperienze come la mia per far sì che l’Italia divenga un punto strategico nel mondo anche in campo industriale». Lei ha sempre puntato sulla formazione. «Esatto. L’abbiamo fatto e continuiamo su questa strada. Il 2% del nostro fatturato lo investiamo in ricerca, sviluppo e formazione del personale. Facciamo corsi che durano da 4 a 6 mesi, ai quali partecipano ragazzi di tutta Italia e anche stranieri. La società internazionale ha bisogno di creare un prodotto che sia sì italiano ma che piaccia anche per misura e forma agli stranieri in mercati molto diversi. Dobbiamo essere capaci di portare il nostro stile italiano in Cina come negli Stati Uniti, uno stile abbinato alla tecnologia e alla pelle italiana perché noi abbiamo le migliori concerie del mondo. La formazione è un programma culturale di cui l’azienda ha bisogno e dove l’Italia deve investire ancora di più». Come sceglie i giovani che entrano in azienda?«In base alle nostre necessità. Vengono selezionati in base alle attitudini e alla materia nella quale li vogliamo specializzare. Restano in azienda, sponsorizzati dalla nostra società, e seguono un corso di studio con professori al mattino per la parte teorica mentre al pomeriggio ognuno ha un tutor con il quale lavora al programma. A questi ragazzi facciamo fare esperienze all’estero: è fondamentale che accanto alla materia oggetto di formazione seguano materie come l’inglese e l’italiano, corsi di etica, sostenibilità. Molto spesso lavorano nelle nostre filiali all’estero e devono parlare lo stesso linguaggio dei loro colleghi di altre compagnie, non solo delle scarpe». Al comando di gradi multinazionali straniere ci sono tanti italiani. Pensa che queste persone non siano riuscite a esprimersi nel nostro Paese?«Discorso complesso. Da Bolzano a Palermo, abbiamo ragazzi che sono un vero tesoro. La capacità intellettuale che si manifesta nei giovani, e non solo, è inutilizzata. È come avere un garage con tante Ferrari ferme perché non sappiamo correre in strada. Dobbiamo saper guidare questi ragazzi e far fare loro quello che hanno nel dna. Saltiamo dalla moda al cibo. Se l’Italia è riconosciuta nel mondo per la cucina e il buon gusto, possiamo pensare che nel mondo non si vive solo di finanza e industria ma anche di tempo libero». Dunque che cosa si dovrebbe fare?«Basterebbe prendere un settore dove l’Italia è riconosciuta e investire. L’investimento non è tanto saper fare un certo piatto, ma saper guidare queste persone, dare loro fiducia: è quello che dovrebbe fare la scuola. Al World economic forum di Davos, di cui sono membro, quest’anno è stato molto discusso il rilancio della scuola e dell’insegnamento visti nel futuro come stimoli per far sì che i giovani possano creare ed esprimersi. Questo è importante anche per capire quello che vogliono fare domani. Guai a fermarli. La scuola, così, non è più un elemento passivo ma attivo, un posto di aggregazione e per il ragazzo è un punto di partenza, non più un peso. Succede così in America e questo è uno dei motivi per cui i ragazzi preferiscono studiare all’estero e poi ci rimangono». Diversi brand italiani hanno cambiato proprietario: lei venderebbe la sua azienda?«Il fatto che gli stranieri vengano in Italia per comperare o cercare partecipazioni sulle aziende italiane lo trovo positivo, vuol dire che siamo interessanti. Così come noi possiamo andare all’estero e fare la stessa cosa. Accetto la globalizzazione con tutti i problemi che porta perché non si può più fermare. Oggi si deve raccogliere la sfida mondiale, difendendo comunque il made in Italy e il proprio stile. E qui tiriamo ancora in ballo la proprietà intellettuale che deve essere spiegata ai giovani: che cosa costa, come si fa, come ci si deve muovere. Certe volte, come da una banalissima idea, come la mia, nascono delle fortune. Eppure ricordo che quando proponevo le scarpe forate ero quasi preso in giro da negozianti che si mettevano a ridere». Come ha vissuto la pandemia?«L’abbiamo sentita come gli altri. Non esiste azienda del settore che possa dirsi fortunata, l’importante è avere avuto la capacità di resistere e Geox è sempre stata un’azienda solida, anche da un punto di vista finanziario. Iniziamo a vedere la luce grazie ai vaccini che consentono le riaperture». Lei è un uomo del fare: che cosa consiglierebbe a Draghi?«Tre cose. La prima che continui impegnarsi a vaccinare il più possibile. La gente è stanca e ha bisogno assoluto di garanzie. Secondo: la scuola. Ci vogliono persone che riformino il sistema scolastico con una visione internazionale. Bisogna spingere il 5G in campo industriale ma anche culturale. I ragazzi studiano e fanno tutto con Internet veloce, e purtroppo su questo il nostro Paese è indietro. È anche necessario investire sulla formazione dei docenti, che devono essere acculturati secondo quello che la scuola dovrà essere nel futuro. Bisogna investire sui ragazzi, coinvolgerli in modo che diventino attori e non spettatori della scuola, proporre loro materie e insegnamenti di grande attualità».Terzo?«Rilancio dell’economia. I consumi si rilanciano con i posti di lavoro. Occorre individuare nelle nostre attività produttive artigianali, commerciali, industriali le specialità dove siamo più riconosciuti all’estero: turismo, arte, moda, meccanica di precisione, mobili e design. E puntare lì. Altrimenti dare aiuti a pioggia servirà ben poco. Sono cerotti che non possono garantire la ripresa economica».