2020-03-23
«Le Camere assenti nell’emergenza»
Francesco Cavalla (Massimo Bertolini, NurPhoto via Getty Images)
Il filosofo del diritto Francesco Cavalla: «Conte ha i pieni poteri, ma nell'antica Roma i dittatori dopo sei mesi tornavano nei campi. Gravissimo zittire chi critica il governo. E l'indulto per svuotare le carceri è un pessimo segnale di impotenza».Il professor Francesco Cavalla, 80 anni, è uno dei maggiori filosofi del diritto italiani, docente emerito dell'università di Padova. Giurista liberale, Cavalla analizza dal punto di vista giuridico il comportamento dell'esecutivo di Giuseppe Conte in questa emergenza. E condivide ben poco.Il governo ha fatto un giusto utilizzo delle sue prerogative dal punto di vista giuridico?«Complessivamente l'ho visto agire a tentoni, senza una chiara visione complessiva».Il governo ha tolto libertà, la Chiesa ha sospeso riti: in emergenza le istituzioni vengono meno?«Non le istituzioni, ma la loro articolazione. Il potere si concentra. Il primo esempio di ciò lo troviamo nella culla del diritto occidentale, cioè in Roma Antica. Là era prevista la figura del dittatore. Egli veniva nominato come tale dal Senato, cioè con un provvedimento specifico di delega; in secondo luogo, il dittatore poteva gestire questi suoi poteri straordinari per una durata massima di sei mesi».Dopodiché?«Tornava a zappare i campi, se era un agricoltore, come accade per il ben noto esempio di Cincinnato. Se anche da noi ci fosse un provvedimento che desse per sei mesi i pieni poteri a Conte con la garanzia che poi andasse a zappare i campi, personalmente ci farei un pensierino...».Quindi ci vuole una legittimazione del popolo, o di un organismo rappresentativo del popolo, e una durata prefissata.«Esattamente».Nel nostro caso, Giuseppe Conte è capo del governo ma non è stato eletto dal popolo.«Questo si sa. Conte ha una legittimazione formale ma non sostanziale. Comunque, anche sotto il profilo formale, non si può non rilevare che il suo governo non risponde affatto ai requisiti di compattezza ed efficacia richiesti da Mattarella all'atto del conferimento dell'incarico. Di fronte a una situazione di emergenza come è la nostra, il ricorso al controllo del Parlamento sarebbe più che mai necessario prima di emettere provvedimenti che limitano così pesantemente diritti e libertà personali».A che cosa si possono paragonare i provvedimenti adottati dal presidente del Consiglio?«A una legge di guerra. In casi come questo le restrizioni sono inevitabili».Fa bene l'opposizione parlamentare a disapprovare certe scelte del governo o dovrebbe mostrare più concordia?«Il richiamo alla concordia non può essere un mezzo ricattatorio per chiudere la bocca alle critiche. È giusto l'invito alla prudenza nel criticare, cioè a non fare polemiche inutili; ma se ci sono le ragioni per criticare bisogna farlo». Si sente dire: state zitti perché questo è un momento particolare. «Nemmeno per idea. Tacitare le critiche con un ricatto emotivo: questo sì, sarebbe un atteggiamento degno di uno Stato totalitario. Ci sono tanti modi per togliere il diritto di parola alla gente: con la violenza, con la minaccia, ma anche con la subdola persuasione».Si riferisce anche a Mattarella?«Finché lo fa il presidente della Repubblica si può capire, lui rappresenta l'unità nazionale e in fondo se invita a restare uniti non fa che il suo mestiere. Ma non possono dirlo i membri del governo».È più dittatore uno che toglie la parola rispetto a chi toglie la libertà di movimento.«Assolutamente».Dopo le rivolte scoppiate nelle carceri il governo svuota i penitenziari con un indulto mascherato.«Sarebbe un provvedimento pessimo sotto tutti i profili. Vuol dire che lo Stato italiano alza le mani. È come se dicesse: io dovrei punire, ma non posso».Un bel messaggio per chi delinque.«Certamente questo non aumenta il rispetto, o il timore, dei delinquenti, posto che l'abbiano mai avuto, verso uno Stato che non sa fare il suo mestiere. E pessimo messaggio ai cittadini, che non possono sentirsi tutelati. Su questo non ci possono essere dubbi».Il governo dice che nell'emergenza in corso non esistono alternative all'indulto.«Intanto bisognerebbe verificare se è vero. Ma se così fosse, significherebbe che tutto il sistema è pessimo. Qui si mette in discussione il carcere come sistema punitivo». Pare che ci sia stata una regìa delle proteste proprio per favorire lo svuotamento.«Questo non lo so. Ma è evidente che, visto il risultato, se una regìa non c'è stata questa volta, ci sarà la prossima».Oggi le carceri sono bombe a orologeria.«Temo che sia vero. Ma il fatto di ricorrere a un indulto significa che l'intero sistema non regge più».Che cosa intende?«Il carcere non è di per sé la pena adeguata al delitto secondo ragione. In qualunque manuale di diritto penale si trova questa espressione: la pena è la conseguenza giuridica di un reato. Vuol dire che prima c'è uno Stato il quale stabilisce che cos'è un reato, poi c'è la violazione e quindi la pena. La sequenza logica è chiara: Stato, reato, violazione, pena. Ma non è una sequenza corretta, né nei fatti né nella logica».No?«L'atto violento viene prima dello Stato, indipendentemente da esso, e determina subito una reazione. In chi lo subisce individualmente, le reazioni sono due: o la vendetta o l'esigenza di riparazione. A questo punto interviene lo Stato: per impedire che ci sia la reazione cattiva, cioè la vendetta che è la rottura dei rapporti sociali, e fare intervenire la reazione buona».Cioè la restituzione.«La pena nella sua essenza dovrebbe essere riparatoria. Lo stesso discorso vale per la collettività, lesa da un comportamento asociale: o espelle l'autore della violenza o lo recupera a un atteggiamento cooperativo, cioè teso a restaurare ciò che ha infranto. Finché pensiamo alla pena soltanto come privazione della libertà e non come riparazione, non ne usciamo».Ma ciò significa una radicale riforma del sistema penale.«Me ne rendo conto. E non credo che in questo momento nel governo ci siano persone intenzionate, o semplicemente idonee, a fare una cosa di questo genere. Non mi sembra che il ministro Bonafede abbia una competenza penalistica molto estesa».Il sistema riparatorio andrebbe allargato a tutti i reati?«Bisogna distinguere tra i reati di sangue e gli altri. I reati di sangue non sono riparabili e ci vuole il carcere. Una persona deve restare separata dalla società perché non può riparare». Uno spacciatore di droga come potrebbe scontare la pena?«Facendo l'inserviente in qualche centro di rieducazione per vedere che razza di guai combina».E uno che si mette in tasca soldi pubblici?«Gli si tolgono le ferie per 5 anni e lavora gratis».Il lavoro nelle carceri è utile?«È qualcosa, per carità. Il carcere nella mentalità illuministica doveva essere la privazione di un aspetto della libertà, cioè della libertà di movimento, e basta. Oggi chi va in carcere subisce parecchie altre privazioni. Con il lavoro si possono alleviare sofferenze ingiuste».Oggi siamo tutti in carcere, visto che non possiamo spostarci.«Sì, ma noi capiamo che è per il nostro bene. Chi è dentro può non capirlo».Un tema drammatico emerso in questi giorni è se i medici dovessero scegliere chi curare. Questa questione ha un rilievo giuridico o va lasciata alla coscienza degli operatori sanitari?«Ha rilevanza ma non soluzione giuridica: per questo ci vorrebbe un atto di imperio dello Stato che imponga di curare prima i giovani o i vecchi, che è impossibile perché anticostituzionale, oltre che disumano».Quindi decidono i medici.«Siamo in una situazione gravissima. Come l'indulto mette in discussione tutto il sistema penale, così questo dilemma, se mai vi si dovesse arrivare, significa che andrebbe riformato anche il sistema sanitario».Che dire dei controlli sugli spostamenti delle persone? Non viene violato il diritto alla privacy?«Tema molto dibattuto oggi tra i giuristi, soprattutto di ispirazione liberale. Anche qui è una questione di tempo: se si riesce a fissare un limite preciso, diciamo sei mesi, lo posso capire. Si tratta di tutelare la salute di tutti, sani e malati».Anche in questo caso ci vorrebbe un avallo parlamentare?«Certo. La limitatezza inquadra l'eccezione. Se invece fosse a tempo indeterminato si andrebbe contro la Costituzione».È sorpreso dal fatto che gli italiani non abbiano resistito troppo alla limitazione delle libertà?«Niente affatto, perché gli italiani hanno un profondo senso della libertà. Chi ha il senso della libertà sa anche quando decidere di non usarla. Chi non ce l'ha si ribella a caso. C'è una differenza abissale tra l'uomo libero e il ribelle».Si va verso una forma di Stato più presidenzialista?«Personalmente non sarei contrario, perché favorirebbe lo snellimento del processo decisionale, ma con una limitazione».Quale?«Che se una quota parte dei consigli regionali, diciamo i due terzi o i quattro quinti, decidesse che il governo non va più bene, questo possa valere come voto di sfiducia. Sarebbe un bilanciamento del centralismo».Oggi qualcuno vorrebbe togliere potere alle regioni che prendono provvedimenti diversi da zona a zona. Lei è di parere opposto?«Credo sia giusto affidare alle regioni poteri per calibrare le misure da applicare. Sarebbe comunque auspicabile un coordinamento anche attraverso una conferenza dei governatori».Che pensa dell'intervento dell'esercito?«Nessun problema. Guai se non ci fosse».Finita l'emergenza cambierà davvero qualcosa in Italia?«Purtroppo temo che tutto tornerà come prima. Molta parte della società italiana, anche provvista del senso della libertà, è ottusa dal politicamente corretto e non è in grado di capire le lezioni della storia. Bisogna sperare in quell'altra parte della società...».