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2019-02-17
L’inchiesta sui preti gay punta al «liberi tutti» della Chiesa sulla dottrina
Ansa
Pubblicato in otto lingue diverse e in una ventina di Paesi, il libro Sodoma (in Italia per Feltrinelli), di cui La Verità ha anticipato prima degli altri giornali i principali contenuti, ha un obiettivo preciso, pienamente dichiarato dallo stesso autore: liberare l'ultimo bastione. Lo scrive papale papale il giornalista e studioso omosessuale francese, Frédéric Martel: per lui «il Vaticano è l'ultima roccaforte da liberare» dal pregiudizio gay. L'ultima cittadella da conquistare per la gioiosa macchina da guerra dell'omosessualismo internazionale. Secondo il cronista infatti «un sacerdote o un cardinale non dovrebbe vergognarsi di essere omosessuale; penso anche che dovrebbe essere uno status sociale possibile, tra gli altri».
A parte questo dettaglio, Sodoma in un certo senso scopre una dolorosa acqua calda dicendo che molti in Vaticano sarebbero omosessuali. Martel si accanisce contro i «conservatori» e i «tradizionalisti» che si ostinerebbero su posizioni omofobe e in realtà sarebbero omosessuali criptici o magari repressi. Il sottotesto non è troppo implicito: venite alla luce, e state allegri. Una delle chiavi per capire di cosa stiamo parlando è sintetizzata da quella che l'autore chiama la quarta regola: «Più un prelato è pro gay, meno facilmente è gay; più un prelato è omofobo, più è probabilmente omosessuale». Un postulato di cui si ignorano le basi scientifiche, e quindi al lettore non resta che un atto di fede sul «metodo Martel».
L'autore francese viene indicato come perfezionista, sistematico ricercatore, implacabile raccoglitore di prove. Senza dubitare del lungo lavoro di collazione, sfogliare le oltre 500 pagine di Sodoma è un esercizio un po' deludente. Chi cerca prove e resta più che altro con tante chiacchiere in mano. L'ex nunzio negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò, nella testimonianza - pubblicata nell'agosto scorso su queste colonne - tacciata di macchinazione politico mediatica, almeno forniva una serie di circostanze abbastanza precise. Date, nomi, riferimenti a documenti, al luogo in cui si trovano, filiere e nomine precise. In Sodoma c'è il racconto di quattro anni di incontri, in diversi casi sotto anonimato.
Per esempio, il cardinale Raymond Burke, indicato all'autore da padre Antonio Spadaro come il capo della fronda contro papa Francesco, viene ridicolizzato per il modo di vestire, per l'appartamento lussuoso, perché tramerebbe, si dice, con Donald Trump e Steve Bannon, ma oltre a questo ammiccare non si va. Però, chissà perché, si deduce che dalle parti di Burke e Bannon, appunto, «è oggettivamente nata un'alleanza tra l'estrema destra americana e l'ultradestra vaticana» e, poi, tra parentesi, si ricorda che il cardinale osa anche incontrare i ministri italiani Matteo Salvini e Lorenzo Fontana. Nel frattempo si confeziona un florilegio di aggettivi riservati al prelato americano che culmina in un raffinatissimo «sembra proprio una drag queen!».
Del memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, Martel riconosce il valore di «prova importante e inconfutabile della cultura del segreto e dell'omosessualizzazione della Chiesa». Poi resta fedele alla sua linea, per la quale l'errore di Viganò sarebbe quello di non aver capito che «in Europa ci siamo mossi, dagli anni Ottanta, dalla condanna dell'omosessualità alla condanna dell'omofobia!». E così, ma risulta scontato a questo punto, anche Viganò è più o meno incasellato alla voce omofobi repressi, magari con qualche problema personale da adulto non risolto.
Peraltro la posizione del «chi sono io per giudicare un gay…», celebre frase di papa Francesco sul tema omosessuali, viene strumentalizzata in maniera plateale e artatamente riferita ai preti omosessuali in particolare, e quindi ricondotta alla «regola aurea» inventata dall'autore. Secondo questa interpretazione, Bergoglio fustigherebbe la doppia vita di rigidi dottrinari omofobi che in realtà sarebbero tra i primi membri della nota lobby chiamata «la parrocchia». Che prove ci sarebbero di ciò? Nessuna. È ovvio che l'appartenenza «alla parrocchia» non può ridursi a etichette «progressisti» o «conservatori», ma è chiaro anche da quale parte si metta Martel, a cui il Catechismo pare interessare soltanto nella misura in cui vorrebbe cambiarlo. L'importante è abbattere l'ultimo bastione. I prelati che hanno fatto resistenza durante il doppio sinodo sulla famiglia 2014 e 2015 sarebbero, dice un sacerdote inglese apertamente gay, James Alison, «cardinali omosessuali che volevano tenere gli scheletri nell'armadio» e così «hanno dichiarato guerra a Francesco che incoraggiava l'uscita dei gay dal segreto!». I cardinali dei dubia (Burke, Walter Brandmüller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, due dei quali defunti) sono classificati alla voce «veri torturatori» con «idee medievali sulla morale sessuale». Due di loro, scrive l'autore, sarebbero «closeted» (cioè gay velati) secondo imprecisate fonti da Europa e Stati Uniti, rigorosamente anonime.
Martel poi non ha problemi a divulgare un'altra «regola» altrettanto apodittica: quella per cui anche tra gli insabbiatori di abusi ci sarebbero in realtà dottrinari che celano la propria omosessualità. La dottrina, sempre lei, questa pericolosa pietra d'inciampo che ostacola il love is love e crea perfino protettori di mostri. Il «buon figlio della laicità francese», come Martel si definisce nel libro mentre si diverte nel farsi beffe dei titoli ecclesiastici, ha dunque fatto il suo compito. Un corposo libro usato per massacrare un po' la Chiesa la quale, probabilmente, ai suoi occhi ha una terribile colpa, riportata al numero 2.357 del Catechismo. Qui, per ora, si legge che «appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale».
In Sodoma si leggono solo nomi e cognomi, fatti più o meno noti, ma nulla di assolutamente eclatante che il gossip intorno alle sacre stanze non avesse già rimasticato. Come accade spesso, in questo tipo di pubblicazioni si miscelano forse verità e falsità. L'autore dichiara candidamente che per lui «una sola pagina di Rimbaud vale più di tutte le opere di Joseph Ratzinger», ma che la sua non vuole essere un'opera anticlericale (per carità!). Del resto, non si cura di eventuali danni poiché, afferma, «lentamente, il cattolicesimo va scomparendo». Forse l'innegabile crisi di fede che attraversa la Chiesa non si arresterà domani, e nemmeno con il prossimo raduno dei vescovi del mondo, radunati in Vaticano proprio per affrontare la piaga degli abusi. Del resto, non è nell'uomo che pone la sua fiducia. Forse anche per questo è sopravvissuta, nella storia, a problemi perfino più rilevanti del libro di Martel.
Abusi, ridotto allo stato laicale l’ex cardinale Theodore McCarrick
La squallida parabola di Theodore Edgar McCarrick si chiude così: ridotto allo stato laicale. Come si dice in gergo, «spretato».
Con un bollettino, ieri la sala stampa vaticana ha annunciato «il decreto conclusivo del processo penale» a carico dell'ex cardinale e arcivescovo emerito di Washington, reo di aver abusato sessualmente di molti seminaristi durante il suo ministero episcopale. Il congresso della Congregazione per la dottrina della fede ha dichiarato McCarrick colpevole di delitti gravissimi: sollecitazione in confessione (in pratica, una profanazione di questo sacramento), violazioni del sesto comandamento (leggere rapporti sessuali) con minori e adulti, con l'aggravante dell'abuso di potere. E la severissima punizione, la pena più grave che possa essere comminata dal congresso, è stata dichiarata dal Papa res iudicata. Francesco, dunque, «ha riconosciuto la natura definitiva, a norma di legge», della sanzione nei confronti dell'ex chierico. Sentenza inappellabile. Roma locuta, causa soluta.
Il nome di McCarrick, nel luglio 2018, era finito al centro di ampie inchieste del New York Times, che avevano documentato non solo le sue molestie sessuali, sia su adulti sia su minori, ma anche le coperture ecclesiastiche di cui aveva goduto nel tempo. Per questi motivi, il 27 luglio McCarrick aveva rinunciato alla porpora cardinalizia, venendo sospeso dal Pontefice dall'esercizio di qualsiasi ministero pubblico.
Ma in un poderoso memoriale, pubblicato in esclusiva dalla Verità ad agosto, l'ex nunzio apostolico a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò, accusava esplicitamente Jorge Mario Bergoglio di non aver preso subito provvedimenti contro il porporato, sebbene fosse stato informato delle sue malefatte. Secondo Viganò, anzi, McCarrick era rimasto il vero e proprio dominus delle nomine ecclesiali degli Stati Uniti. Avrebbe suggerito al Pontefice di creare cardinali i suoi protetti, Blaise Cupich (arcivescovo di Chicago) e Joseph William Tobin (arcivescovo di Newark), sostenitori del gesuita pro Lgbt, James Martin. Non solo. La Santa Sede avrebbe fatto affidamento proprio su McCarrick per intrattenere rapporti con l'amministrazione Obama, evidentemente per nulla allineata al magistero cattolico sui temi etici.
In tanti, attraverso i media vicini al nuovo corso di Bergoglio, hanno provato a confutare le tesi di Viganò. Ma proprio nel giorno in cui la Chiesa lo riduce a semplice laico, il predatore sessuale McCarrick sembrerebbe aver piazzato un'altra pedina. Come ha osservato Marco Tosatti sulla Nuova bussola quotidiana, infatti, il cardinale Kevin Farrell, da sempre vicino a McCarrick, è stato nominato Camerlengo. Un incarico delicatissimo, che la morte del predecessore di Farrell, Jean Louis Tauran, il 5 luglio scorso, aveva lasciato scoperto. Il cardinale Camerlengo, infatti, alla morte del Papa è chiamato ad amministrare tutti i beni e i diritti temporali della Santa Sede.
Farrell fu Legionario di Cristo negli anni di Marcial Maciel Degollado, presbitero messicano, considerato fondatore di quella congregazione, che nel 2006, in seguito a numerose accuse di abusi sessuali, fu costretto a rinunciare al ministero pubblico e obbligato a una vita riservata di preghiera dalla Congregazione per la dottrina della fede. Farrell visse per diversi anni insieme a McCarrick ed era il più alto in grado tra i chierici che orbitavano intorno alla «corte» dell'ex cardinale americano. Non solo: da prefetto del Dicastero per i laici, istituito da papa Francesco nel 2016, ha firmato la prefazione del libro Building a bridge. Una sorta di manifesto «cattolgbt», redatto dal solito gesuita arcobaleno, James Martin.
Alla vigilia del vertice sugli abusi, che si terrà la prossima settimana, il Vaticano prova a fare pulizia. Ma nelle sacre stanze resta ancora uno strato di polvere.
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Nel libro dominano le allusioni. L'autore di «Sodoma» dichiara il suo scopo: sdoganare l'omosessualità tra i sacerdoti per abbattere la morale cristiana.Spretato l'ex porporato Theodore Edgar McCarrick, giudicato colpevole di atti gravissimi, resi più atroci dal potere che aveva sulle vittime. Intanto il suo ex collaboratore Kevin Farrell è stato nominato Camerlengo.Lo speciale contiene due articoli.Pubblicato in otto lingue diverse e in una ventina di Paesi, il libro Sodoma (in Italia per Feltrinelli), di cui La Verità ha anticipato prima degli altri giornali i principali contenuti, ha un obiettivo preciso, pienamente dichiarato dallo stesso autore: liberare l'ultimo bastione. Lo scrive papale papale il giornalista e studioso omosessuale francese, Frédéric Martel: per lui «il Vaticano è l'ultima roccaforte da liberare» dal pregiudizio gay. L'ultima cittadella da conquistare per la gioiosa macchina da guerra dell'omosessualismo internazionale. Secondo il cronista infatti «un sacerdote o un cardinale non dovrebbe vergognarsi di essere omosessuale; penso anche che dovrebbe essere uno status sociale possibile, tra gli altri».A parte questo dettaglio, Sodoma in un certo senso scopre una dolorosa acqua calda dicendo che molti in Vaticano sarebbero omosessuali. Martel si accanisce contro i «conservatori» e i «tradizionalisti» che si ostinerebbero su posizioni omofobe e in realtà sarebbero omosessuali criptici o magari repressi. Il sottotesto non è troppo implicito: venite alla luce, e state allegri. Una delle chiavi per capire di cosa stiamo parlando è sintetizzata da quella che l'autore chiama la quarta regola: «Più un prelato è pro gay, meno facilmente è gay; più un prelato è omofobo, più è probabilmente omosessuale». Un postulato di cui si ignorano le basi scientifiche, e quindi al lettore non resta che un atto di fede sul «metodo Martel».L'autore francese viene indicato come perfezionista, sistematico ricercatore, implacabile raccoglitore di prove. Senza dubitare del lungo lavoro di collazione, sfogliare le oltre 500 pagine di Sodoma è un esercizio un po' deludente. Chi cerca prove e resta più che altro con tante chiacchiere in mano. L'ex nunzio negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò, nella testimonianza - pubblicata nell'agosto scorso su queste colonne - tacciata di macchinazione politico mediatica, almeno forniva una serie di circostanze abbastanza precise. Date, nomi, riferimenti a documenti, al luogo in cui si trovano, filiere e nomine precise. In Sodoma c'è il racconto di quattro anni di incontri, in diversi casi sotto anonimato.Per esempio, il cardinale Raymond Burke, indicato all'autore da padre Antonio Spadaro come il capo della fronda contro papa Francesco, viene ridicolizzato per il modo di vestire, per l'appartamento lussuoso, perché tramerebbe, si dice, con Donald Trump e Steve Bannon, ma oltre a questo ammiccare non si va. Però, chissà perché, si deduce che dalle parti di Burke e Bannon, appunto, «è oggettivamente nata un'alleanza tra l'estrema destra americana e l'ultradestra vaticana» e, poi, tra parentesi, si ricorda che il cardinale osa anche incontrare i ministri italiani Matteo Salvini e Lorenzo Fontana. Nel frattempo si confeziona un florilegio di aggettivi riservati al prelato americano che culmina in un raffinatissimo «sembra proprio una drag queen!».Del memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, Martel riconosce il valore di «prova importante e inconfutabile della cultura del segreto e dell'omosessualizzazione della Chiesa». Poi resta fedele alla sua linea, per la quale l'errore di Viganò sarebbe quello di non aver capito che «in Europa ci siamo mossi, dagli anni Ottanta, dalla condanna dell'omosessualità alla condanna dell'omofobia!». E così, ma risulta scontato a questo punto, anche Viganò è più o meno incasellato alla voce omofobi repressi, magari con qualche problema personale da adulto non risolto.Peraltro la posizione del «chi sono io per giudicare un gay…», celebre frase di papa Francesco sul tema omosessuali, viene strumentalizzata in maniera plateale e artatamente riferita ai preti omosessuali in particolare, e quindi ricondotta alla «regola aurea» inventata dall'autore. Secondo questa interpretazione, Bergoglio fustigherebbe la doppia vita di rigidi dottrinari omofobi che in realtà sarebbero tra i primi membri della nota lobby chiamata «la parrocchia». Che prove ci sarebbero di ciò? Nessuna. È ovvio che l'appartenenza «alla parrocchia» non può ridursi a etichette «progressisti» o «conservatori», ma è chiaro anche da quale parte si metta Martel, a cui il Catechismo pare interessare soltanto nella misura in cui vorrebbe cambiarlo. L'importante è abbattere l'ultimo bastione. I prelati che hanno fatto resistenza durante il doppio sinodo sulla famiglia 2014 e 2015 sarebbero, dice un sacerdote inglese apertamente gay, James Alison, «cardinali omosessuali che volevano tenere gli scheletri nell'armadio» e così «hanno dichiarato guerra a Francesco che incoraggiava l'uscita dei gay dal segreto!». I cardinali dei dubia (Burke, Walter Brandmüller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, due dei quali defunti) sono classificati alla voce «veri torturatori» con «idee medievali sulla morale sessuale». Due di loro, scrive l'autore, sarebbero «closeted» (cioè gay velati) secondo imprecisate fonti da Europa e Stati Uniti, rigorosamente anonime.Martel poi non ha problemi a divulgare un'altra «regola» altrettanto apodittica: quella per cui anche tra gli insabbiatori di abusi ci sarebbero in realtà dottrinari che celano la propria omosessualità. La dottrina, sempre lei, questa pericolosa pietra d'inciampo che ostacola il love is love e crea perfino protettori di mostri. Il «buon figlio della laicità francese», come Martel si definisce nel libro mentre si diverte nel farsi beffe dei titoli ecclesiastici, ha dunque fatto il suo compito. Un corposo libro usato per massacrare un po' la Chiesa la quale, probabilmente, ai suoi occhi ha una terribile colpa, riportata al numero 2.357 del Catechismo. Qui, per ora, si legge che «appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale».In Sodoma si leggono solo nomi e cognomi, fatti più o meno noti, ma nulla di assolutamente eclatante che il gossip intorno alle sacre stanze non avesse già rimasticato. Come accade spesso, in questo tipo di pubblicazioni si miscelano forse verità e falsità. L'autore dichiara candidamente che per lui «una sola pagina di Rimbaud vale più di tutte le opere di Joseph Ratzinger», ma che la sua non vuole essere un'opera anticlericale (per carità!). Del resto, non si cura di eventuali danni poiché, afferma, «lentamente, il cattolicesimo va scomparendo». Forse l'innegabile crisi di fede che attraversa la Chiesa non si arresterà domani, e nemmeno con il prossimo raduno dei vescovi del mondo, radunati in Vaticano proprio per affrontare la piaga degli abusi. Del resto, non è nell'uomo che pone la sua fiducia. Forse anche per questo è sopravvissuta, nella storia, a problemi perfino più rilevanti del libro di Martel.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/linchiesta-sui-preti-gay-punta-al-liberi-tutti-della-chiesa-sulla-dottrina-2629157973.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="abusi-ridotto-allo-stato-laicale-lex-cardinale-theodore-mccarrick" data-post-id="2629157973" data-published-at="1765425962" data-use-pagination="False"> Abusi, ridotto allo stato laicale l’ex cardinale Theodore McCarrick La squallida parabola di Theodore Edgar McCarrick si chiude così: ridotto allo stato laicale. Come si dice in gergo, «spretato». Con un bollettino, ieri la sala stampa vaticana ha annunciato «il decreto conclusivo del processo penale» a carico dell'ex cardinale e arcivescovo emerito di Washington, reo di aver abusato sessualmente di molti seminaristi durante il suo ministero episcopale. Il congresso della Congregazione per la dottrina della fede ha dichiarato McCarrick colpevole di delitti gravissimi: sollecitazione in confessione (in pratica, una profanazione di questo sacramento), violazioni del sesto comandamento (leggere rapporti sessuali) con minori e adulti, con l'aggravante dell'abuso di potere. E la severissima punizione, la pena più grave che possa essere comminata dal congresso, è stata dichiarata dal Papa res iudicata. Francesco, dunque, «ha riconosciuto la natura definitiva, a norma di legge», della sanzione nei confronti dell'ex chierico. Sentenza inappellabile. Roma locuta, causa soluta. Il nome di McCarrick, nel luglio 2018, era finito al centro di ampie inchieste del New York Times, che avevano documentato non solo le sue molestie sessuali, sia su adulti sia su minori, ma anche le coperture ecclesiastiche di cui aveva goduto nel tempo. Per questi motivi, il 27 luglio McCarrick aveva rinunciato alla porpora cardinalizia, venendo sospeso dal Pontefice dall'esercizio di qualsiasi ministero pubblico. Ma in un poderoso memoriale, pubblicato in esclusiva dalla Verità ad agosto, l'ex nunzio apostolico a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò, accusava esplicitamente Jorge Mario Bergoglio di non aver preso subito provvedimenti contro il porporato, sebbene fosse stato informato delle sue malefatte. Secondo Viganò, anzi, McCarrick era rimasto il vero e proprio dominus delle nomine ecclesiali degli Stati Uniti. Avrebbe suggerito al Pontefice di creare cardinali i suoi protetti, Blaise Cupich (arcivescovo di Chicago) e Joseph William Tobin (arcivescovo di Newark), sostenitori del gesuita pro Lgbt, James Martin. Non solo. La Santa Sede avrebbe fatto affidamento proprio su McCarrick per intrattenere rapporti con l'amministrazione Obama, evidentemente per nulla allineata al magistero cattolico sui temi etici. In tanti, attraverso i media vicini al nuovo corso di Bergoglio, hanno provato a confutare le tesi di Viganò. Ma proprio nel giorno in cui la Chiesa lo riduce a semplice laico, il predatore sessuale McCarrick sembrerebbe aver piazzato un'altra pedina. Come ha osservato Marco Tosatti sulla Nuova bussola quotidiana, infatti, il cardinale Kevin Farrell, da sempre vicino a McCarrick, è stato nominato Camerlengo. Un incarico delicatissimo, che la morte del predecessore di Farrell, Jean Louis Tauran, il 5 luglio scorso, aveva lasciato scoperto. Il cardinale Camerlengo, infatti, alla morte del Papa è chiamato ad amministrare tutti i beni e i diritti temporali della Santa Sede. Farrell fu Legionario di Cristo negli anni di Marcial Maciel Degollado, presbitero messicano, considerato fondatore di quella congregazione, che nel 2006, in seguito a numerose accuse di abusi sessuali, fu costretto a rinunciare al ministero pubblico e obbligato a una vita riservata di preghiera dalla Congregazione per la dottrina della fede. Farrell visse per diversi anni insieme a McCarrick ed era il più alto in grado tra i chierici che orbitavano intorno alla «corte» dell'ex cardinale americano. Non solo: da prefetto del Dicastero per i laici, istituito da papa Francesco nel 2016, ha firmato la prefazione del libro Building a bridge. Una sorta di manifesto «cattolgbt», redatto dal solito gesuita arcobaleno, James Martin. Alla vigilia del vertice sugli abusi, che si terrà la prossima settimana, il Vaticano prova a fare pulizia. Ma nelle sacre stanze resta ancora uno strato di polvere.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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