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2019-02-17
L’inchiesta sui preti gay punta al «liberi tutti» della Chiesa sulla dottrina
Ansa
Pubblicato in otto lingue diverse e in una ventina di Paesi, il libro Sodoma (in Italia per Feltrinelli), di cui La Verità ha anticipato prima degli altri giornali i principali contenuti, ha un obiettivo preciso, pienamente dichiarato dallo stesso autore: liberare l'ultimo bastione. Lo scrive papale papale il giornalista e studioso omosessuale francese, Frédéric Martel: per lui «il Vaticano è l'ultima roccaforte da liberare» dal pregiudizio gay. L'ultima cittadella da conquistare per la gioiosa macchina da guerra dell'omosessualismo internazionale. Secondo il cronista infatti «un sacerdote o un cardinale non dovrebbe vergognarsi di essere omosessuale; penso anche che dovrebbe essere uno status sociale possibile, tra gli altri».
A parte questo dettaglio, Sodoma in un certo senso scopre una dolorosa acqua calda dicendo che molti in Vaticano sarebbero omosessuali. Martel si accanisce contro i «conservatori» e i «tradizionalisti» che si ostinerebbero su posizioni omofobe e in realtà sarebbero omosessuali criptici o magari repressi. Il sottotesto non è troppo implicito: venite alla luce, e state allegri. Una delle chiavi per capire di cosa stiamo parlando è sintetizzata da quella che l'autore chiama la quarta regola: «Più un prelato è pro gay, meno facilmente è gay; più un prelato è omofobo, più è probabilmente omosessuale». Un postulato di cui si ignorano le basi scientifiche, e quindi al lettore non resta che un atto di fede sul «metodo Martel».
L'autore francese viene indicato come perfezionista, sistematico ricercatore, implacabile raccoglitore di prove. Senza dubitare del lungo lavoro di collazione, sfogliare le oltre 500 pagine di Sodoma è un esercizio un po' deludente. Chi cerca prove e resta più che altro con tante chiacchiere in mano. L'ex nunzio negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò, nella testimonianza - pubblicata nell'agosto scorso su queste colonne - tacciata di macchinazione politico mediatica, almeno forniva una serie di circostanze abbastanza precise. Date, nomi, riferimenti a documenti, al luogo in cui si trovano, filiere e nomine precise. In Sodoma c'è il racconto di quattro anni di incontri, in diversi casi sotto anonimato.
Per esempio, il cardinale Raymond Burke, indicato all'autore da padre Antonio Spadaro come il capo della fronda contro papa Francesco, viene ridicolizzato per il modo di vestire, per l'appartamento lussuoso, perché tramerebbe, si dice, con Donald Trump e Steve Bannon, ma oltre a questo ammiccare non si va. Però, chissà perché, si deduce che dalle parti di Burke e Bannon, appunto, «è oggettivamente nata un'alleanza tra l'estrema destra americana e l'ultradestra vaticana» e, poi, tra parentesi, si ricorda che il cardinale osa anche incontrare i ministri italiani Matteo Salvini e Lorenzo Fontana. Nel frattempo si confeziona un florilegio di aggettivi riservati al prelato americano che culmina in un raffinatissimo «sembra proprio una drag queen!».
Del memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, Martel riconosce il valore di «prova importante e inconfutabile della cultura del segreto e dell'omosessualizzazione della Chiesa». Poi resta fedele alla sua linea, per la quale l'errore di Viganò sarebbe quello di non aver capito che «in Europa ci siamo mossi, dagli anni Ottanta, dalla condanna dell'omosessualità alla condanna dell'omofobia!». E così, ma risulta scontato a questo punto, anche Viganò è più o meno incasellato alla voce omofobi repressi, magari con qualche problema personale da adulto non risolto.
Peraltro la posizione del «chi sono io per giudicare un gay…», celebre frase di papa Francesco sul tema omosessuali, viene strumentalizzata in maniera plateale e artatamente riferita ai preti omosessuali in particolare, e quindi ricondotta alla «regola aurea» inventata dall'autore. Secondo questa interpretazione, Bergoglio fustigherebbe la doppia vita di rigidi dottrinari omofobi che in realtà sarebbero tra i primi membri della nota lobby chiamata «la parrocchia». Che prove ci sarebbero di ciò? Nessuna. È ovvio che l'appartenenza «alla parrocchia» non può ridursi a etichette «progressisti» o «conservatori», ma è chiaro anche da quale parte si metta Martel, a cui il Catechismo pare interessare soltanto nella misura in cui vorrebbe cambiarlo. L'importante è abbattere l'ultimo bastione. I prelati che hanno fatto resistenza durante il doppio sinodo sulla famiglia 2014 e 2015 sarebbero, dice un sacerdote inglese apertamente gay, James Alison, «cardinali omosessuali che volevano tenere gli scheletri nell'armadio» e così «hanno dichiarato guerra a Francesco che incoraggiava l'uscita dei gay dal segreto!». I cardinali dei dubia (Burke, Walter Brandmüller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, due dei quali defunti) sono classificati alla voce «veri torturatori» con «idee medievali sulla morale sessuale». Due di loro, scrive l'autore, sarebbero «closeted» (cioè gay velati) secondo imprecisate fonti da Europa e Stati Uniti, rigorosamente anonime.
Martel poi non ha problemi a divulgare un'altra «regola» altrettanto apodittica: quella per cui anche tra gli insabbiatori di abusi ci sarebbero in realtà dottrinari che celano la propria omosessualità. La dottrina, sempre lei, questa pericolosa pietra d'inciampo che ostacola il love is love e crea perfino protettori di mostri. Il «buon figlio della laicità francese», come Martel si definisce nel libro mentre si diverte nel farsi beffe dei titoli ecclesiastici, ha dunque fatto il suo compito. Un corposo libro usato per massacrare un po' la Chiesa la quale, probabilmente, ai suoi occhi ha una terribile colpa, riportata al numero 2.357 del Catechismo. Qui, per ora, si legge che «appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale».
In Sodoma si leggono solo nomi e cognomi, fatti più o meno noti, ma nulla di assolutamente eclatante che il gossip intorno alle sacre stanze non avesse già rimasticato. Come accade spesso, in questo tipo di pubblicazioni si miscelano forse verità e falsità. L'autore dichiara candidamente che per lui «una sola pagina di Rimbaud vale più di tutte le opere di Joseph Ratzinger», ma che la sua non vuole essere un'opera anticlericale (per carità!). Del resto, non si cura di eventuali danni poiché, afferma, «lentamente, il cattolicesimo va scomparendo». Forse l'innegabile crisi di fede che attraversa la Chiesa non si arresterà domani, e nemmeno con il prossimo raduno dei vescovi del mondo, radunati in Vaticano proprio per affrontare la piaga degli abusi. Del resto, non è nell'uomo che pone la sua fiducia. Forse anche per questo è sopravvissuta, nella storia, a problemi perfino più rilevanti del libro di Martel.
Abusi, ridotto allo stato laicale l’ex cardinale Theodore McCarrick
La squallida parabola di Theodore Edgar McCarrick si chiude così: ridotto allo stato laicale. Come si dice in gergo, «spretato».
Con un bollettino, ieri la sala stampa vaticana ha annunciato «il decreto conclusivo del processo penale» a carico dell'ex cardinale e arcivescovo emerito di Washington, reo di aver abusato sessualmente di molti seminaristi durante il suo ministero episcopale. Il congresso della Congregazione per la dottrina della fede ha dichiarato McCarrick colpevole di delitti gravissimi: sollecitazione in confessione (in pratica, una profanazione di questo sacramento), violazioni del sesto comandamento (leggere rapporti sessuali) con minori e adulti, con l'aggravante dell'abuso di potere. E la severissima punizione, la pena più grave che possa essere comminata dal congresso, è stata dichiarata dal Papa res iudicata. Francesco, dunque, «ha riconosciuto la natura definitiva, a norma di legge», della sanzione nei confronti dell'ex chierico. Sentenza inappellabile. Roma locuta, causa soluta.
Il nome di McCarrick, nel luglio 2018, era finito al centro di ampie inchieste del New York Times, che avevano documentato non solo le sue molestie sessuali, sia su adulti sia su minori, ma anche le coperture ecclesiastiche di cui aveva goduto nel tempo. Per questi motivi, il 27 luglio McCarrick aveva rinunciato alla porpora cardinalizia, venendo sospeso dal Pontefice dall'esercizio di qualsiasi ministero pubblico.
Ma in un poderoso memoriale, pubblicato in esclusiva dalla Verità ad agosto, l'ex nunzio apostolico a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò, accusava esplicitamente Jorge Mario Bergoglio di non aver preso subito provvedimenti contro il porporato, sebbene fosse stato informato delle sue malefatte. Secondo Viganò, anzi, McCarrick era rimasto il vero e proprio dominus delle nomine ecclesiali degli Stati Uniti. Avrebbe suggerito al Pontefice di creare cardinali i suoi protetti, Blaise Cupich (arcivescovo di Chicago) e Joseph William Tobin (arcivescovo di Newark), sostenitori del gesuita pro Lgbt, James Martin. Non solo. La Santa Sede avrebbe fatto affidamento proprio su McCarrick per intrattenere rapporti con l'amministrazione Obama, evidentemente per nulla allineata al magistero cattolico sui temi etici.
In tanti, attraverso i media vicini al nuovo corso di Bergoglio, hanno provato a confutare le tesi di Viganò. Ma proprio nel giorno in cui la Chiesa lo riduce a semplice laico, il predatore sessuale McCarrick sembrerebbe aver piazzato un'altra pedina. Come ha osservato Marco Tosatti sulla Nuova bussola quotidiana, infatti, il cardinale Kevin Farrell, da sempre vicino a McCarrick, è stato nominato Camerlengo. Un incarico delicatissimo, che la morte del predecessore di Farrell, Jean Louis Tauran, il 5 luglio scorso, aveva lasciato scoperto. Il cardinale Camerlengo, infatti, alla morte del Papa è chiamato ad amministrare tutti i beni e i diritti temporali della Santa Sede.
Farrell fu Legionario di Cristo negli anni di Marcial Maciel Degollado, presbitero messicano, considerato fondatore di quella congregazione, che nel 2006, in seguito a numerose accuse di abusi sessuali, fu costretto a rinunciare al ministero pubblico e obbligato a una vita riservata di preghiera dalla Congregazione per la dottrina della fede. Farrell visse per diversi anni insieme a McCarrick ed era il più alto in grado tra i chierici che orbitavano intorno alla «corte» dell'ex cardinale americano. Non solo: da prefetto del Dicastero per i laici, istituito da papa Francesco nel 2016, ha firmato la prefazione del libro Building a bridge. Una sorta di manifesto «cattolgbt», redatto dal solito gesuita arcobaleno, James Martin.
Alla vigilia del vertice sugli abusi, che si terrà la prossima settimana, il Vaticano prova a fare pulizia. Ma nelle sacre stanze resta ancora uno strato di polvere.
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Nel libro dominano le allusioni. L'autore di «Sodoma» dichiara il suo scopo: sdoganare l'omosessualità tra i sacerdoti per abbattere la morale cristiana.Spretato l'ex porporato Theodore Edgar McCarrick, giudicato colpevole di atti gravissimi, resi più atroci dal potere che aveva sulle vittime. Intanto il suo ex collaboratore Kevin Farrell è stato nominato Camerlengo.Lo speciale contiene due articoli.Pubblicato in otto lingue diverse e in una ventina di Paesi, il libro Sodoma (in Italia per Feltrinelli), di cui La Verità ha anticipato prima degli altri giornali i principali contenuti, ha un obiettivo preciso, pienamente dichiarato dallo stesso autore: liberare l'ultimo bastione. Lo scrive papale papale il giornalista e studioso omosessuale francese, Frédéric Martel: per lui «il Vaticano è l'ultima roccaforte da liberare» dal pregiudizio gay. L'ultima cittadella da conquistare per la gioiosa macchina da guerra dell'omosessualismo internazionale. Secondo il cronista infatti «un sacerdote o un cardinale non dovrebbe vergognarsi di essere omosessuale; penso anche che dovrebbe essere uno status sociale possibile, tra gli altri».A parte questo dettaglio, Sodoma in un certo senso scopre una dolorosa acqua calda dicendo che molti in Vaticano sarebbero omosessuali. Martel si accanisce contro i «conservatori» e i «tradizionalisti» che si ostinerebbero su posizioni omofobe e in realtà sarebbero omosessuali criptici o magari repressi. Il sottotesto non è troppo implicito: venite alla luce, e state allegri. Una delle chiavi per capire di cosa stiamo parlando è sintetizzata da quella che l'autore chiama la quarta regola: «Più un prelato è pro gay, meno facilmente è gay; più un prelato è omofobo, più è probabilmente omosessuale». Un postulato di cui si ignorano le basi scientifiche, e quindi al lettore non resta che un atto di fede sul «metodo Martel».L'autore francese viene indicato come perfezionista, sistematico ricercatore, implacabile raccoglitore di prove. Senza dubitare del lungo lavoro di collazione, sfogliare le oltre 500 pagine di Sodoma è un esercizio un po' deludente. Chi cerca prove e resta più che altro con tante chiacchiere in mano. L'ex nunzio negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò, nella testimonianza - pubblicata nell'agosto scorso su queste colonne - tacciata di macchinazione politico mediatica, almeno forniva una serie di circostanze abbastanza precise. Date, nomi, riferimenti a documenti, al luogo in cui si trovano, filiere e nomine precise. In Sodoma c'è il racconto di quattro anni di incontri, in diversi casi sotto anonimato.Per esempio, il cardinale Raymond Burke, indicato all'autore da padre Antonio Spadaro come il capo della fronda contro papa Francesco, viene ridicolizzato per il modo di vestire, per l'appartamento lussuoso, perché tramerebbe, si dice, con Donald Trump e Steve Bannon, ma oltre a questo ammiccare non si va. Però, chissà perché, si deduce che dalle parti di Burke e Bannon, appunto, «è oggettivamente nata un'alleanza tra l'estrema destra americana e l'ultradestra vaticana» e, poi, tra parentesi, si ricorda che il cardinale osa anche incontrare i ministri italiani Matteo Salvini e Lorenzo Fontana. Nel frattempo si confeziona un florilegio di aggettivi riservati al prelato americano che culmina in un raffinatissimo «sembra proprio una drag queen!».Del memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, Martel riconosce il valore di «prova importante e inconfutabile della cultura del segreto e dell'omosessualizzazione della Chiesa». Poi resta fedele alla sua linea, per la quale l'errore di Viganò sarebbe quello di non aver capito che «in Europa ci siamo mossi, dagli anni Ottanta, dalla condanna dell'omosessualità alla condanna dell'omofobia!». E così, ma risulta scontato a questo punto, anche Viganò è più o meno incasellato alla voce omofobi repressi, magari con qualche problema personale da adulto non risolto.Peraltro la posizione del «chi sono io per giudicare un gay…», celebre frase di papa Francesco sul tema omosessuali, viene strumentalizzata in maniera plateale e artatamente riferita ai preti omosessuali in particolare, e quindi ricondotta alla «regola aurea» inventata dall'autore. Secondo questa interpretazione, Bergoglio fustigherebbe la doppia vita di rigidi dottrinari omofobi che in realtà sarebbero tra i primi membri della nota lobby chiamata «la parrocchia». Che prove ci sarebbero di ciò? Nessuna. È ovvio che l'appartenenza «alla parrocchia» non può ridursi a etichette «progressisti» o «conservatori», ma è chiaro anche da quale parte si metta Martel, a cui il Catechismo pare interessare soltanto nella misura in cui vorrebbe cambiarlo. L'importante è abbattere l'ultimo bastione. I prelati che hanno fatto resistenza durante il doppio sinodo sulla famiglia 2014 e 2015 sarebbero, dice un sacerdote inglese apertamente gay, James Alison, «cardinali omosessuali che volevano tenere gli scheletri nell'armadio» e così «hanno dichiarato guerra a Francesco che incoraggiava l'uscita dei gay dal segreto!». I cardinali dei dubia (Burke, Walter Brandmüller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, due dei quali defunti) sono classificati alla voce «veri torturatori» con «idee medievali sulla morale sessuale». Due di loro, scrive l'autore, sarebbero «closeted» (cioè gay velati) secondo imprecisate fonti da Europa e Stati Uniti, rigorosamente anonime.Martel poi non ha problemi a divulgare un'altra «regola» altrettanto apodittica: quella per cui anche tra gli insabbiatori di abusi ci sarebbero in realtà dottrinari che celano la propria omosessualità. La dottrina, sempre lei, questa pericolosa pietra d'inciampo che ostacola il love is love e crea perfino protettori di mostri. Il «buon figlio della laicità francese», come Martel si definisce nel libro mentre si diverte nel farsi beffe dei titoli ecclesiastici, ha dunque fatto il suo compito. Un corposo libro usato per massacrare un po' la Chiesa la quale, probabilmente, ai suoi occhi ha una terribile colpa, riportata al numero 2.357 del Catechismo. Qui, per ora, si legge che «appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale».In Sodoma si leggono solo nomi e cognomi, fatti più o meno noti, ma nulla di assolutamente eclatante che il gossip intorno alle sacre stanze non avesse già rimasticato. Come accade spesso, in questo tipo di pubblicazioni si miscelano forse verità e falsità. L'autore dichiara candidamente che per lui «una sola pagina di Rimbaud vale più di tutte le opere di Joseph Ratzinger», ma che la sua non vuole essere un'opera anticlericale (per carità!). Del resto, non si cura di eventuali danni poiché, afferma, «lentamente, il cattolicesimo va scomparendo». Forse l'innegabile crisi di fede che attraversa la Chiesa non si arresterà domani, e nemmeno con il prossimo raduno dei vescovi del mondo, radunati in Vaticano proprio per affrontare la piaga degli abusi. Del resto, non è nell'uomo che pone la sua fiducia. 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Il congresso della Congregazione per la dottrina della fede ha dichiarato McCarrick colpevole di delitti gravissimi: sollecitazione in confessione (in pratica, una profanazione di questo sacramento), violazioni del sesto comandamento (leggere rapporti sessuali) con minori e adulti, con l'aggravante dell'abuso di potere. E la severissima punizione, la pena più grave che possa essere comminata dal congresso, è stata dichiarata dal Papa res iudicata. Francesco, dunque, «ha riconosciuto la natura definitiva, a norma di legge», della sanzione nei confronti dell'ex chierico. Sentenza inappellabile. Roma locuta, causa soluta. Il nome di McCarrick, nel luglio 2018, era finito al centro di ampie inchieste del New York Times, che avevano documentato non solo le sue molestie sessuali, sia su adulti sia su minori, ma anche le coperture ecclesiastiche di cui aveva goduto nel tempo. Per questi motivi, il 27 luglio McCarrick aveva rinunciato alla porpora cardinalizia, venendo sospeso dal Pontefice dall'esercizio di qualsiasi ministero pubblico. Ma in un poderoso memoriale, pubblicato in esclusiva dalla Verità ad agosto, l'ex nunzio apostolico a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò, accusava esplicitamente Jorge Mario Bergoglio di non aver preso subito provvedimenti contro il porporato, sebbene fosse stato informato delle sue malefatte. Secondo Viganò, anzi, McCarrick era rimasto il vero e proprio dominus delle nomine ecclesiali degli Stati Uniti. Avrebbe suggerito al Pontefice di creare cardinali i suoi protetti, Blaise Cupich (arcivescovo di Chicago) e Joseph William Tobin (arcivescovo di Newark), sostenitori del gesuita pro Lgbt, James Martin. Non solo. La Santa Sede avrebbe fatto affidamento proprio su McCarrick per intrattenere rapporti con l'amministrazione Obama, evidentemente per nulla allineata al magistero cattolico sui temi etici. In tanti, attraverso i media vicini al nuovo corso di Bergoglio, hanno provato a confutare le tesi di Viganò. Ma proprio nel giorno in cui la Chiesa lo riduce a semplice laico, il predatore sessuale McCarrick sembrerebbe aver piazzato un'altra pedina. Come ha osservato Marco Tosatti sulla Nuova bussola quotidiana, infatti, il cardinale Kevin Farrell, da sempre vicino a McCarrick, è stato nominato Camerlengo. Un incarico delicatissimo, che la morte del predecessore di Farrell, Jean Louis Tauran, il 5 luglio scorso, aveva lasciato scoperto. Il cardinale Camerlengo, infatti, alla morte del Papa è chiamato ad amministrare tutti i beni e i diritti temporali della Santa Sede. Farrell fu Legionario di Cristo negli anni di Marcial Maciel Degollado, presbitero messicano, considerato fondatore di quella congregazione, che nel 2006, in seguito a numerose accuse di abusi sessuali, fu costretto a rinunciare al ministero pubblico e obbligato a una vita riservata di preghiera dalla Congregazione per la dottrina della fede. Farrell visse per diversi anni insieme a McCarrick ed era il più alto in grado tra i chierici che orbitavano intorno alla «corte» dell'ex cardinale americano. Non solo: da prefetto del Dicastero per i laici, istituito da papa Francesco nel 2016, ha firmato la prefazione del libro Building a bridge. Una sorta di manifesto «cattolgbt», redatto dal solito gesuita arcobaleno, James Martin. Alla vigilia del vertice sugli abusi, che si terrà la prossima settimana, il Vaticano prova a fare pulizia. Ma nelle sacre stanze resta ancora uno strato di polvere.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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