L'aggressione anche fisica all'inviato delle Iene, più violenta di quella a Gad Lerner a Pontida, è stata anestetizzata dai media. Nessuno scandalo o allarme democratico. Tace il soccorso rosso social di Roberto Saviano e Chef Rubio. Tutto derubricato a puro folclore.Il Pd è un deodorante alla lavanda, nasconde gli olezzi e purifica gli ambienti. Il destino da Tigotà ha una sua clamorosa conferma a Napoli, alla festa del decennale del Movimento 5 stelle, quando un inviato delle Iene viene aggredito a male parole, spintonato («se non ci fosse stata la Digos non sarei qui a raccontarlo») mentre tenta di intervistare Virginia Raggi sullo scandalo rifiuti. Una scena ripresa da cento telefonini, rilanciata sui social ma curiosamente anestetizzata dai media ufficiali, relegata in quella terra di mezzo abitata dagli «strano ma vero». Cosa vuole che siano, signora mia, due schiaffi minacciati a un molestatore col microfono?Per cogliere la stravaganza basta fare un breve inventario. Decimo scroll nella homepage del Corriere della Sera, accanto a Beppe Grillo pittato da Joker e al paracadutista spagnolo che centra un lampione. Nessuno scandalo, nessun allarme democratico, il governo può continuare a galleggiare tranquillo. Notizia tenuta sottotraccia e subito avviata all'inceneritore algoritmico da La Repubblica e da La Stampa, dove al contrario campeggia quella del professore di francese comasco insultato sul web dai leghisti per aver cantato Bella ciao a Lampedusa. Un link con l'occhiello «Idiozie di casa nostra» ci stava, ma non c'è. Nessuna presa di posizione indignata per Filippo Roma, nessun editoriale col ditino alzato e citazione d'obbligo di Antonio Gramsci, nessun intervento del soccorso rosso social rappresentato da Michela Murgia, Roberto Saviano e Chef Rubio. Il fiume delle notizie scorre, in questo caso lava. Ovviamente in silenzio.Ben diverso impatto aveva avuto esattamente un mese fa l'escursione di Gad Lerner sul pratone di Pontida durante la festa della Lega. Il giornalista era stato contestato, insultato («buffone, fascista, massone, vai a casa»), un videomaker di Repubblica spintonato. Eccessi sconnessi e tribali come all'Arena Flegrea. Ma a differenza dell'insignificanza di oggi, allora per alcuni giorni era sembrato che l'Italia fosse entrata in un tunnel degli orrori, che gli elettori della Lega Nord fossero una genìa a metà strada fra la Hitler Jugend e i Katanga del Movimento studentesco caro a Mario Capanna. Allora gli insulti orobici dimostravano la deriva autoritaria, oggi i vaffa partenopei sono puro folclore della piazza in fermento. Una differenza sostanziale riaffermata non dal peso specifico della contestazione, non dal numero delle persone coinvolte (anche il cameraman delle Iene ha avuto la sua parte), ma da un decisivo particolare: oggi i 5 stelle sono alleati del Pd, quindi vengono ritenuti intoccabili dal circo mediatico naturalmente progressista. Luigi Di Maio pare Olof Palme, la Raggi ha spunti da Golda Meir e gli amici del giaguaro non danno fastidio.Oggi i grillini stanno nel club dei buoni, quindi anche gli insulti sono profumati, hanno il deodorante ideologico incorporato e vengono ridotti a fenomeno meteorologico. Lampi di bel tempo. E in fondo - questo dicono i rarissimi commenti di sinistra alla vicenda - l'inviato delle Iene se l'è cercata. Filippo Roma continua a non essere convinto di questo doppiopesismo all'Italiana perché oltre la recinzione ha visto altro. «Volevo intervistare la Raggi, manco mi sono avvicinato e appena mi hanno visto, mi hanno aggredito dicendomi di tutto. Da venduto a Berlusconi a figlio di...» ha detto in un'intervista all'agenzia AdnKronos. «Poi qualcuno è passato alle mani, una spinta, un cazzotto che mi ha sfiorato. È stato un vero e proprio tentativo di linciaggio di manzoniana memoria, direi. So bene che gli attivisti del Movimento 5 stelle da sempre mi odiano per le inchieste che ho fatto, una su tutte quella delle false firme. Dimenticano però come tante altre ne abbia fatte sui membri del Pd e di Forza Italia e pensano che sia un venduto al soldo di Silvio Berlusconi».Il giornalista voleva solo intervistare la sindaca di Roma, con la quale si era accordato in precedenza. La violenta contestazione degli attivisti è un segnale di intolleranza, una manifestazione di fanatismo e ha in sé il germe dell'estremismo. Se non altro per proprietà transitiva; se valeva allora dovrebbe valere adesso. Poiché il tono dopo Pontida era questo, si faticano a cogliere le differenze, a meno che i grandi giornali non siano convinti che Dario Franceschini da Pompei ed Enrico Letta da Parigi riescano a normalizzare il popolo grillino. Compagni che sbagliano, vale sempre la formula? Ancora Filippo Roma: «Ero circondato da 100 persone, chi si faceva sotto con pugni, chi urlava insulti pesanti. È stato davvero incredibile. Gli attivisti avevano gli occhi venati di odio, nella storia politica italiana non c'è mai stato questo atteggiamento, neanche nei momenti più bui».Una volta salita sul palco, Virginia Raggi ha spiegato che «Questa è l'era della maturità» e che «si raccolgono i frutti di quanto si è seminato». Ce l'aveva scritto su un foglio, ha tirato dritto senza rendersi conto di quanto fosse surreale quell'incipit dopo il preambolo squadrista. Ma è tutto digerito, tutto superato. E anche la protesta di Vittorio Sgarbi («L'episodio di intolleranza contro Gad Lerner è stato stigmatizzato da chiunque, oggi però si minimizza la violenza fascista dei 5 stelle. L'establishment di sinistra e l'omertà proteggono Grillo e i grillini») cade nel vuoto pneumatico. Filippo Roma si accomodi fuori, non ha la patente.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





