2023-02-04
Liguria, inno d’amore del gastronarratore
Mario Soldati vi ha vissuto metà della sua vita. Per lui era la Regione regina, cui ha dedicato anche un libro. Curioso dei piatti più poveri come la fainà, «che i competenti chiamano umile e forse disprezzano perché costa poco, ma è più raffinata della fonduta».È stato il pioniere dei Goethe gastronomici del Novecento. Mario Soldati, nato a Torino, cittadino del mondo, una vita eclettica, vissuta sempre con la passione del primo giorno spalmata tra giornalismo, letteratura, cinema e televisione. Una grande dote lo ha sempre accompagnato. Saper esplorare, spesso con originalità, terreni sconosciuti con una grande capacità divulgativa, e quindi coinvolgente, verso quel pubblico che si avvicinava al nuovo media che, dotato d’antenna, si avviava a riunire il Paese, dalle Alpi alle isole. Le dodici puntate de Viaggio nella valle Po, alla ricerca dei cibi genuini sono un documento che ha lasciato a noi una grande testimonianza della nostra storia, le nostre radici. Partiamo idealmente dai titoli di coda, ovvero da quella Tellaro dove ha scelto di vivere gli ultimi capitoli della sua vita avventurosa. Chissà come mai Il Soldati dalla lunga militanza gourmet scelse Tellaro. Vuoi mai per la storica Sagra del polpo, omaggio a una leggenda che accompagna il borgo marinaro con splendida vista sul golfo di La Spezia. Una notte i pirati saraceni tentarono lo sbarco galeotto, ma un polpo gigante emerse dalle acque e allarmò i tellaresi suonando a martello le campane della chiesa. Per il piemontese Soldati, metà della sua vita trascorsa a Roma, la Liguria era la Regione regina, cui ha dedicato anche un libro. Diversi i galloni a renderle merito. Ad esempio la fainà, un apparentemente semplice tortino di ceci. Leggenda racconta che sia nato per caso, nel 1284, quando Genova sconfisse Pisa nella battaglia della Meloria. Al ritorno in patria le galee genovesi, cariche di prigionieri legati ai remi, furono prese dai vortici di una tempesta. Nel trambusto conseguente alcuni barilotti d’olio si rovesciarono mischiandosi ai ceci usciti dai loro sacchi. Il tutto in mix imprevisto con l’acqua salata del mare. Dovendo rinviare lo sbarco a riva, ai marinai vennero servite delle scodelle con l’inconsueta poltiglia. Alcuni la rifiutarono, sdegnati. Con il sole del nuovo giorno l’inedita miscela divenne una sorta di frittella, stavolta gradita ai reduci, vuoi per fame, vuoi perché dai sapori intriganti. Giunti a terra i marinai genovesi dettero il tocco in più. Conciata la purea la misero in forno, e così nacque la fainà come la conosciamo noi. Ma è il momento di passare la cronaca a Soldati, mentre si aggira per i carrugi della sua Zena. Il fiuto curioso lo porta davanti ad un forno vicino a Porta Soprana, uno dei simboli della città, nei pressi della casa museo di Cristoforo Colombo. Si ferma ad ammirare la padrona che «con un grosso coltello ritaglia con incredibile prestezza triangoli e triangoli della sottilissima focaccia e li depone su fogli di carta oleata». Per molti dei residenti è la cena da portare poi a casa, o parte della stessa. Qui arriva il Soldati pungente, quello che vede la sostanza oltre l’apparenza. «È un cibo che i competenti chiamano umile e forse disprezzano perché costa poco. Ma se, improvvisamente, i ceci diventassero rari, bisognerebbe convenire che la fainà è più raffinata della fonduta o di una mousse di jambon». Proseguiamo a passo soldatesco, l’occhio curioso. Ecco apparire dietro l’angolo la vetrina di una macelleria, quelle della trincea quotidiana con la ciccia vera, senza etichette cellophanate sui bancali della Gdo. «Mi affascinano le macellerie. Dalla loro architettura e arredo, e dall’aspetto delle carni in mostra, ho l’abitudine di giudicare, in un attimo, il grado di civiltà e il benessere che godono una città o un villaggio». È vero, siamo in un’altra epoca, vicina nella storia, ma oramai lontana, spesso troppo lontana, dalle realtà quotidiane che per molti di noi sono considerate scontate normalità. Torniamo a vedere il mondo con gli occhi di Mario narratore. «Entro nella macelleria. Il banco di marmo, spesso forse venti centimetri, è un vero e proprio altare. Le gambe, anch’esse di marmo, scolpite ad altorilievo, di gusto rinascimentale... La bottega è come deve essere una macelleria, quasi vuota, salvo che, sui marmorei piani inclinati, ci guardano freschissime carni di ogni specie. Ogni cosa in bell’ordine e in piccola quantità, esempi di quanto contengano le ghiacciaie». I quadretti narrativi di Mario Soldati si muovono con passo spigliato su fondali diversi, che siano di città o di campagna. Li si respira nella bella antologia Da leccarsi i baffi curata da Silverio Novelli. Un esempio l’Osteria della vice regina. Siamo a Roverano, piccola frazione di Borghetto di Vara, la Lunigiana a due passi oltre la collina. È una storia da godere come un cortometraggio con la voce di sottofondo che la accompagna. Il Santuario dedicato alla Madonna. Lo zoom si spinge lontano, a metà del XIV secolo. Leggenda vuole che tra queste colline si aggirassero due giovani pastorelle, una delle quali muta. All’improvviso appare loro una Signora vestita di azzurro. Si rivolse alla più piccola, quella senza voce, invitandola ad andare a chiamare il parroco. «Vado subito» rispose questa, accorgendosi solo dopo di aver pronunciato le sue prime parole. Ma vi è un altro che si ricollega al Soldati gastronarratore, avvenuto il 30 agosto 1823. In quella assolata giornata estiva c’erano degli operai addetti alla costruzione della strada che portava al Santuario poi eretto in onore della Vergine. Ma il barilotto di conforto, oramai, era quasi prosciugato, e la prima osteria per il rifornimento conseguente troppo lontana. Impietosita la Madonna fece in modo che il fondo del barile non avesse mai fine per dare degno conforto a chi, in fondo, si adoperava per portare a lei fedeli e pellegrini. Era conseguente che, attorno alla chiesa, aprisse un’osteria, con degna ostessa che accoglie il Soldati viandante. L’incontro è degno di una pellicola girata a Cinecittà, dove Mario regista aveva passato una vita fino a qualche anno prima. Quando si presenta con i suoi amici per chiedere un tavolo la risposta conseguente. «Da mangiare? Se si contentano». Lui annota sul notes a futura memoria «sappiamo per lunga esperienza che solo “dove ci si contenta” il cibo è davvero genuino». A seguire la cronaca in diretta. Arrivano due uova al tegame, un filo d’olio «splendono come due coppie di soli rossi, al tramonto sul mare». Prosegue l’accontentarsi con una formaggetta «pastosa come una fontina, asciutta e gradevolmente amara come un asiago». Ma Soldati Mario non era certo nato ieri e con l’occhio dell’investigatore di storie, appena terminati i due «soli rossi» scodellati dalla galassia del vicino pollaio, aveva visto un pretino uscire svelto dalla canonica con un sacchettino appena celato. Entrare dalla porta di servizio della cucina per poi uscirne subito dopo, a mani vuote, lo sguardo volutamente al cielo. Gatta ci cova, pensò il nostro, e magari sa di vacca. Non servì il terzo grado da Maigret dei fornelli perché l’ostessa andò subito al sodo. «Quello è mio cugino e le nostre formagelle si conservano meglio nelle sane umidità della cantina sotto la canonica». Un modo molto pratico per l’assoluzione senza penitenze di sorta da questi innocenti peccati di gola. «Lei è la Regina di Roverano». «No» replica l’ostessa mentre sparecchia la tavola «sono solo la vice Regina, la Regina è la Madonna che protegge tutti noi». Ed è così che il laico Soldati sottoscrive come, in tale contesto, «si creda ancor più volentieri ai miracoli della Madonna».
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)