2023-08-20
Dicono alle donne di non fare più figli e vogliono darne a chi non può averne
Il generale Roberto Vannacci e la cover del suo libro «Il mondo al contrario» (Ansa)
Proseguiamo con la pubblicazione di estratti dal libro Il mondo al contrario, scritto ed edito dal generale Roberto Vannacci. Dai marxisti alle femministe fino agli animalisti: tutti contro il modello sociale tradizionale. Che tuttavia, se vige da millenni, vorrà dire che funziona. Le eccezioni esistono, ma non possono stravolgere la norma consolidata.Sono figlio di una famiglia tradizionale: un padre che lavorava e che spesso non era presente proprio per motivi legati alla sua professione e una madre casalinga che, quasi da sola, si è occupata di tutte le faccende domestiche e ha allevato, cresciuto e seguito me e i miei due fratelli sino alla nostra maggiore età. Come la mia, molte delle famiglie dei miei amici e dei miei compagni di scuola che, felicemente, sono cresciuti insieme a me. Nulla di strano, dunque, perché nella mia situazione si sono ritrovati moltissimi altri giovani che, tra gli anni ‘60 e oggi, hanno condiviso la bellezza di un nucleo familiare tradizionale in cui uno dei genitori, generalmente la madre, si è essenzialmente preso cura della famiglia, anche senza rinunciare al lavoro, e l’altro si è occupato primariamente del sostegno economico pur condividendo, quando poteva, la vita e i bellissimi momenti del focolare domestico. [...]Ricordando il detto «squadra che vince non si cambia», stupiscono gli attacchi e le critiche a cui la famiglia tradizionale è stata sottoposta negli ultimi cinquanta anni da una moltitudine di soggetti che propongono modelli diversi, a volte originali e stravaganti, che dovrebbero soppiantare un’istituzione che invece, per secoli, si è dimostrata più che all’altezza del proprio compito. Il primo attacco proviene dal socialismo reale che brama di «comunizzare» la società e di assegnare alle sole istituzioni statali l’educazione dei giovani che devono essere, sin dai primi anni d’età, sottratti alle grinfie familiari che ne potrebbero alterare i valori di riferimento. Questa stessa matrice ideologica impone inoltre che il lavoro, severamente gestito dallo Stato, debba coinvolgere tutti i membri della società, rigorosamente tutti, ivi compresi i neo genitori per i quali non deve esistere un’alternativa che esuli dall’impiego protratto e continuo in un’attività produttiva, come se quella dell’educazione della prole non lo fosse. Altra incredibile bordata proviene dal movimento femminista che si batte per l’emancipazione della donna. Oltre a promuovere istituzioni come il divorzio e l’aborto al suon dello slogan «tremate, tremate, le streghe son tornate» si oppone alla figura femminile intesa come madre. Le moderne fattucchiere sostengono che solo il lavoro e il guadagno possono liberare le fanciulle dal padre padrone e dal marito che le schiavizza condannandole ad una sottomessa, antiquata, involuta ed esecrabile vita domestica. Si aggiungono i movimenti lgbtq+ che introducono il concetto di fluidità sessuale, di percezione del sesso e di transgender e che classificano come famiglia l’unione tra due persone di sesso uguale o, non importa quale sesso, anzi, il sesso non esiste è solo una percezione! «L’importante è che ci sia l’amore» – tuonano indignati! Quando poi si rappresenta che una coppia omosessuale non può fisicamente procreare la risposta ormai ciclostilata è che ci sono tante coppie eterosessuali che non hanno figli, quindi, perché scandalizzarsi. Arrivano poi gli animalisti che sostengono che l’amore, che assolutamente non può definirsi affetto, è possibile anche nei confronti di una tenera bestiolina e che, quindi, pretendono esteso il concetto di famiglia a chi vive con un gatto, un cane, un porcellino d’India o, addirittura, un maiale. Non si spiegano il perché, dunque, alla scomparsa del padroncino l’adorato essere peloso non debba avere il diritto di percepire la pensione di reversibilità come invece l’avrebbe un coniuge o un figlio minorenne. Il risultato è che la famiglia ha subito durissimi colpi, che il termine stesso di famiglia naturale o tradizionale viene messo in discussione, che le donne, per quanto lavorino, non sono spesso contente e realizzate, che le situazioni di disagio minorile sono incrementate, che la natalità è incredibilmente diminuita e che gli anziani, spesso non autosufficienti, non trovano più una collocazione se non in squallide case di riposo in attesa di raggiungere la pace eterna. Quando ripercorro la mia esistenza mi rendo conto che l’unico ed insostituibile punto forza, l’unica certezza, il più solido dei supporti capace di resistere a qualsiasi avversità è stata proprio la mia famiglia. Qualsiasi cosa succedesse sapevo di poter contare su qualcuno che avrebbe compreso o che, anche senza capire o condividere le mie azioni o le mie scelte, mi avrebbe comunque aiutato. Sapevo di poter essere ascoltato e di poter trovare compassione o dissenso, ma mai una condanna. Per uno come me veder mettere in dubbio la famiglia tradizionale sembra quasi un attentato all’unica cosa di indiscutibilmente positiva che la società possa offrire. Sono convinto che nulla nasca per caso e se la famiglia esiste da millenni sotto la forma tradizionale un motivo ci sarà. Il nucleo familiare esiste da quando l’uomo esiste. Senza scomodare gli antropologi sappiamo che l’unione di un uomo e una donna ha garantito il prosperare della specie umana, la sua evoluzione e il suo benessere. All’origine non vi è stato alcun inventore del nucleo familiare, non esiste alcun copyright o, almeno, non ve ne è traccia all’ufficio brevetti. È stata semplicemente l’espressione della Natura che, attraverso i severi processi di selezione e adattamento ha individuato l’organizzazione più efficace per garantire la sopravvivenza della specie. Ancora prima che esistesse il matrimonio, la legge, la politica, lo Stato, il codice civile, forse ancora prima che si disquisisse tra il bene e il male la famiglia garantiva la vita del sapiens. Se Madre Natura ha percorso altri itinerari quello che si evince è che questi tentativi hanno portato a risultati caratterizzati da eccezionalità e da scarsa rilevanza. [...] Nel nostro bel Mondo al Contrario siamo arrivati al paradosso dei paradossi: chi potrebbe avere dei figli non li fa e viene dissuaso dal farli sia per ragioni economiche ma anche perché ormai si è socializzata l’idea che avere una prole significa rinunciare alla libertà, all’emancipazione, alla carriera e ad una vita cosiddetta «moderna»; chi invece i figli non li può avere, come le coppie omosessuali, è pronto a qualsiasi espediente per ottenere un paio di pargoli sostenuto in questa assurda tenzone da una pletora di finti moralisti che, mentre accostano alla maternità l’idea di schiavitù, si inventano il «diritto alla genitorialità» e giustificano pratiche come l’utero in affitto per soddisfare i desideri biologicamente contronatura delle coppie arcobaleno. D’altra parte, seguendo lo stesso criterio potremmo affermare, con un ragionevole grado di certezza, che non è nella natura dell’uomo essere cannibale, pur accettando il fatto che in alcune circostanze eccezionali ed in particolari e specifiche condizioni anche il sapiens abbia sviluppato forme di cannibalismo per garantirsi la sopravvivenza. Che il Conte Ugolino, chiuso tra le mura della Torre della Muda, si sia mangiato i suoi figli non giustifica la naturalezza di tale comportamento. Analogamente, se alcuni gruppi di individui che la Natura ha relegato in ambienti impossibili finiscono per mangiarsi tra di loro ciò non ammette la banalità di una tale condotta in condizioni usuali. Questa chiara evidenza non ci porta a definire l’antropofagia come naturale e normale e non credo potrebbe mai giustificare la vendita di carne umana nei nostri supermercati. Né questa particolarità ci porta a elidere il significato, o addirittura il termine, di normalità.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)