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Lo ha dichiarato Alfonso Santagata, Manager di Enit-Italian National Tourist Board Brussels, durante l'evento sulla settimana della Cucina italiana nel mondo.
Lo ha dichiarato Alfonso Santagata, Manager di Enit-Italian National Tourist Board Brussels, durante l'evento sulla settimana della Cucina italiana nel mondo.
Verrebbe da dire: Ursula, spiegaci questa. Perché nei palazzi dell’Ue si spaccia una poltiglia in vasetto definita Carbonara che è a metà strada tra un omogeneizzato e una crema da notte? Va bene che la baronessa von der Leyen pecca per abitudine in fatto di trasparenza - dai messaggini sui sieri anti-Covid con Albert Bourla della Pfizer costati una valanga di miliardi fino alla corrispondenza con i generali tedeschi, senza contare il silenzio sulla corruzione in Ucraina - ma arrivare a vendere nel «suo» supermarket il falso cibo italiano pare troppo. Anche se sappiamo da tempo che l’Ue è tutta chiacchiere e distintivo, in questo caso falso.
Il nostro ministro per la Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, al termine di Agrifish - il Consiglio europeo dei ministri agricoli - dove ha respinto, a nome anche di altri Paesi e dell’Eurocamera, la proposta della Commissione europea di tagli e di riscrittura della Pac, s’è fatto un giro nel market del Parlamento europeo dove gli onorevoli, ma anche migliaia di euroburocrati, fanno la spesa. E si è trovato nella galleria degli orrori. Sugli scaffali s’invita a comprare questa improbabile maionese con in etichetta un pezzo di (forse) pecorino e due cubetti di pancetta - eresia: la carbonara si fa col guanciale! - e la scritta Carbonara «sauce cremeuse carbonara» con tanto di tricolore e la dicitura italianiske pancetta.
A Francesco Lollobrigida questa scoperta è rimasta particolarmente indigesta e ha affidato ai social, corredandolo con la fotografia del «mostro in vasetto», questo post: «Sorvolando sulla pancetta nella Carbonara... tutti questi prodotti rappresentano il peggio dell’italian sounding. È inaccettabile vederli sugli scaffali del market del Parlamento europeo. Ho chiesto di avviare subito le verifiche». La faccenda è seria assai, perché insieme a questa Carbonara si vendono anche un’Arrabbiata sauce sempre con «italian calabrese sausage» e una «Napoletana» con bandiera tricolore e italian tomato. La carbonara viene via a 5 euro e 24 cent per 340 grammi, il sugo all’arrabbiata (ma il più arrabbiato è Lollobrigida) viene 3 euro 49 cent e il sugo alla napoletana 2 euro e 61 cent.
Il fatto è che questi vasetti stanno in bella mostra nel reparto sughi pronti dove c’è un «Bolognaise» a 5 euro e 6 centesimi confezionato dalla Manna foods di Anversa, e gli unici prodotti italiani sono il pesto alla genovese e quello calabrese (un po’ pallidino per la verità) prodotti dalla Bertolli di proprietà però del colosso mondiale degli oli, la Deoleo spagnola. Il fatto è - nota il ministro - che esporre prodotti che richiamano l’Italia senza esser italiani è contro ogni regolamento europeo. Sostiene Lollobrigida: «Serve un’immediata verifica perché ogni forma di evocazione impropria dell’italianità danneggia la reputazione del vero made in Italy agroalimentare». Del resto le leggi europee parlano chiaro: quando un prodotto venduto in un Paese europeo usa bandiera tricolore o richiami all’Italia pur non essendo italiano, si configura - lo dice il regolamento 1196/27 dell’Ue - una presentazione ingannevole e teoricamente ci dovrebbe essere un intervento di autorità per vietarne la commercializzazione.
È lecito dubitare che accadrà per una ragione molto semplice. La società che commercializza la falsa Carbonara è la Ahold Delhaize, un colosso della grande distribuzione nato in Belgio e ora basato in Olanda, che è una di quelle che applaudiva al Nutri-score, l’etichetta a semaforo e che a Bruxelles ha buone entrature e un’ottima capacità di pressione anche perché fattura oltre 23 miliardi di euro.
La baronessa Ursula von der Leyen è sempre molto attenta quando ci sono di mezzo i colossi dell’economia, a maggior ragione se nordici. Ma proprio la nazionalità della Delhaize rilancia l’assoluta indispensabilità di portare in Italia l’Autorità europea delle dogane per intensificare i controlli sulle merci che entrano soprattutto dal porto colabrodo di Rotterdam dove s’ispeziona solo il 3% dei prodotti.
Lo sottolinea Coldiretti: «Lo scandalo dei falsi prodotti italiani costa al nostro Paese 120 miliardi di euro all’anno», affermano Ettore Prandini e Vincenzo Gesmundo, presidente e segretario generale di Coldiretti, «col paradosso che i maggiori falsificatori sono i Paesi industrializzati. Proprio la carbonara è una delle ricette più “taroccate”: dall’uso della panna in Belgio o del bacon al posto del guanciale nei Paesi anglosassoni, fino al formaggio romano al posto del pecorino in Usa. Desta curiosità la presenza sugli scaffali del sugo alla bolognese, una specialità “acchiappa turisti” che nel nostro Paese non ha di fatto una tradizione. Per colpa del cosiddetto “italian sounding” nel mondo - conclude la Coldiretti - più di due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi senza alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese».
In testa alla lista delle imitazioni ci sono formaggi, olio extravergine di oliva, salumi, mortadella e prosciutto, seguiti da vino e sughi, soprattutto pesto.
Nuovo approccio dell'istituto di credito rivolto alle imprese pronte ad operazioni di finanza straordinaria. Le interviste a Stefano Barrese, Marco Gianolli e Alessandro Fracassi.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
Formitalia, azienda toscana di Quarrata, ha firmato l’allestimento del Conference Center di Sharm el-Sheikh dove è stato siglato l’accordo di pace per Gaza. Un esempio di eccellenza italiana che porta il design nazionale al centro della diplomazia mondiale. «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico», dice Lorenzo David Overi, ceo del gruppo.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.

