2025-07-13
Export di formaggi, superata Parigi
Nel 2024 l’Italia è diventata il secondo Paese al mondo per vendite all’estero. Meglio di noi solo la Germania. Su il prezzo del latte: ruolo chiave per grana e parmigiano.Dopo la lettera di Donald Trump forse si dovranno fare i conti, anche se il presidente del Consorzio parmigiano reggiano Nicola Bertinelli predica calma: «Se non ci conviene un mercato non si serve, il mondo è grande. Fino a un certo livello di aumenti il nostro formaggio che è un prodotto premium potrebbe non avere rilevanti contraccolpi». I numeri dicono che per i nostri formaggi gli Usa sono una piazza fondamentale. Sono serviti per mettere a segno un risultato che indica come l’agroalimentare sia il vero motore del Paese e ora conviene tenere la situazione sotto controllo. Per la Giornata dei formaggi (e del latte) voluta dal ministro della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida l’Ismea - è l’istituto che tiene sott’occhio gli andamenti economici del comparto - spande con i suoi dati ottimismo come fosse panna montata. L’Italia - a consuntivo 2024- si è issata al secondo posto nel mondo come Paese esportatore di formaggi surclassando la Francia e l’Olanda e ponendosi subito dietro la Germania. Ma c’è un dato ancora più rilevante: i 5,4 miliardi di fatturato estero sono stati ottenuti piazzando 658.000 tonnellate di prodotto, il che significa che i nostri formaggi sono stati venduti (è una media statistica) a 8,2 euro al chilo, praticamente il doppio del valore delle cagliate tedesche che assicurano il primato in termini di fatturato estero alla Germania. Un risultato davvero sorprendente che si riverbera positivamente su tutta la filiera. Sempre leggendo i dai Ismea si ricava che nei primi cinque mesi di quest’anno i prezzi medi del latte alla stalla sono aumentati del 16% con prezzi che vanno oltre i 60 centesimi al litro. A tenere alte le quotazioni del latte contribuiscono gli ottimi andamenti dei nostri due «colossi», grana padano e parmigiano reggiano, che a giugno hanno spuntato prezzi assai remunerativi: rispettivamente 11 e 13,3 euro al chilo (+14% e +21% rispetto a giugno 2024). Ma anche nel comparto dei formaggi di pecora e capra si sono avuti buoni risultati. Frutto sia dell’espansione dei mercati esteri - nei primi tre mesi di quest’anno la domanda si è mantenuta positiva: +13,8% in valore e +3,4% in quantità e qui per i prossimi mesi c’è appunto da considerare l’effetto Trump - sia di un incremento di consumo nazionale: tra gennaio e aprile le vendite lattiero-casearie sono aumentate del 7,7% frutto di un calo del latte (0,8% in meno) e di una crescita di formaggi (+4,1%) e yogurt (+5,4%). Commentando questi risultati Lollobrigida - in Europa si batte per l’etichettatura d’origine, per la reciprocità sui prodotti a marchio e contro il cosiddetto latte da laboratorio creato con la fermentazione di funghi in bioreattori - sostiene: «I risultati del settore sono buoni, ma soprattutto cresce la fiducia tra gli allevatori. Il nostro sistema delle indicazioni geografiche permette di sviluppare valore e distribuirlo su tutta la filiera. La qualità, riconosciuta sia in Italia che all’estero permette di guardare con più serenità al futuro del settore. Siamo il secondo Paese al mondo per esportazioni, e anche i consumi interni crescono, segno che le aziende italiane», sottolinea Lollobrigida, «investono, innovano senza dimenticare la tradizione, e rispondono alle richieste del mercato». Questo successo dei formaggi peraltro chiude una settimana molto positiva per l’agroalimentare italiano. La Ferrero - una delle poche multinazionali alimentari italiane visto che il comparto è caratterizzato da piccole e medie imprese - ha acquisto in Usa la Kellogg’s (affare da 3 miliardi), mentre Heinz (un colosso delle salse quotato a Wall Street), ha ceduto i biscotti Plasmon alla Newlat di Reggio Emilia che riporta in Italia questo storico marchio di alimenti per l’infanzia. E si fanno sempre più insistenti le voci di un ritorno in mani italiani anche di Sanpellegrino e Panna (le acque minerali gourmet) ora in portafoglio a Nestlé - possiede anche le francesi Perrier e Vittel - che vuole uscire da questo segmento. Segno evidente che l’Italia in tavola è davvero un piatto ricco.