2023-06-08
L’Europa va in pressing sull’Italia: dica sì ai campi profughi a pagamento
Incontro dei ministri dell’Interno in Lussemburgo: sul tavolo il patto sui migranti. Chi non accetta la sua quota dovrà versare 20.000 euro per ogni persona respinta. Serve la maggioranza qualificata, Giorgia Meloni è scettica.Il nuovo patto in materia di migrazione e asilo, che renderebbe la solidarietà tra Paesi obbligatoria, visto che il meccanismo su base volontaria è stato un flop colossale, potrebbe trovare un accordo oggi, a otto anni dalla crisi migratoria del 2015 che provò l’inconsistenza del sistema di Dublino. I ministri dell’Interno dell’Unione europea si incontreranno in Lussemburgo. La bozza, stando a chi l’ha proposta, ovvero la Presidenza svedese, prevede un equilibrio tra solidarietà e responsabilità. In realtà il meccanismo di solidarietà diventerebbe, di fatto, obbligatorio, visto che i Paesi che decideranno di non accettare i ricollocamenti dovranno mettere a disposizione equipaggiamenti utili a controllare i flussi migratori, oppure pagare 20.000 euro a migrante per aiutare economicamente gli Stati che se ne faranno carico. A conti fatti, insomma, la solidarietà diventa obbligatoria, ma non i ricollocamenti. In parole povere, si andranno a creare campi profughi a pagamento. È quella che un tempo i Paesi mediterranei bollavano come «solidarietà à la carte», ipotesi che non piace al governo italiano, la cui posizione, però, è sotto i riflettori, come dimostra il pressing messo in campo negli ultimi giorni dai Paesi del blocco per il «sì». Gli schieramenti non risultano ancora particolarmente scolpiti: alcuni Paesi sono favorevoli al compromesso sul tavolo, pochi sono contrari (quelli di Visegrad, tra i quali Ungheria e Polonia) e la maggioranza sarebbe per un «ni», ovvero accetterebbe, ma a fronte di ulteriori concessioni. Fonti diplomatiche Ue, riportate dalle agenzie di stampa italiane, danno l’Italia come inserita in quest'ultimo gruppo. Ma potrebbe trattarsi di una delle azioni di pressing sul governo di Giorgia Meloni. Una cosa è certa: la posizione italiana sarà cruciale per l’esito del Consiglio di oggi, tenendo conto delle dimensioni del Paese e della sua centralità sul tema dell’immigrazione. La Presidenza, che vede difficile l’unanimità, punta a raggiungere la maggioranza qualificata, che contempla due condizioni: il 55 per cento degli Stati membri vota a favore (in pratica ciò equivale a 15 paesi su 27), oppure gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65 per cento della popolazione totale dell’Ue. La decisione, se approvata, poi andrà negoziata con il Parlamento europeo. «Arrivare a una maggioranza qualificata senza l’Italia su questo dossier è possibile, ma di certo non è desiderabile», spiega una fonte diplomatica Ue. Le trattative sono andate avanti anche ieri, fino a tarda sera. Con Budapest e Varsavia che dimostrano di essere degli ossi molto duri. Per trovare il dossier sufficientemente attraente, molti ministri vorrebbero far entrare elementi importanti sui punti ritenuti «caldi», come la situazione tunisina, nei confronti della quale si attende un'attenzione maggiore dalla Commissione europea. Dovrebbe far parte del «pacchetto» anche un tetto annuo sull’accoglienza. E c’è anche il nodo sulle «procedure di frontiera più severe». Prevista pure la creazione di centri di raccolta dei migranti (nei quali verrebbero detenuti in attesa di decidere se accogliere la domanda di asilo o se procedere al rimpatrio) alle frontiere degli Stati membri o in territorio di transito. La durata delle responsabilità in capo al Paese di primo arrivo è un altro dei punti controversi del pacchetto: la proposta più recente è di farla durare «due anni». Ma anche su questo punto ci sono visioni diametralmente opposte. Nel frattempo l’Italia continua a lavorare sulla diplomazia del Mediterraneo. Ieri Meloni (che a giorni tornerà in Tunisia insieme al presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen) ha ricevuto il primo ministro del governo di unità nazionale della Libia, Abdul Hamid Dbeibah, accompagnato da una delegazione di ministri libici (Esteri, Interno, Trasporti, Comunicazione), per un vertice intergovernativo focalizzato su migranti ed energia, al quale hanno partecipato anche i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro del made in Italy Adolfo Urso e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Meloni ha sottolineato che la stabilizzazione della Libia è una priorità per l’Italia, per la sicurezza nazionale e per la diversificazione energetica. I due leader hanno discusso anche dell’importanza di indire elezioni libiche il prima possibile, anche con la mediazione delle Nazioni Unite e del Rappresentante Onu Abdoulaye Bathily. Poi Meloni ha espresso apprezzamento per gli sforzi delle autorità libiche nelle operazioni di salvataggio in mare e nel contenimento delle partenze irregolari. E si è passati alla cooperazione nel settore energetico, che rappresenta un tassello fondamentale per la stabilizzazione e la crescita della Libia. Un accordo è stato firmato tra l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e la Noc (National Oil Corporation) su iniziative congiunte per la riduzione delle emissioni. Firmato anche un memorandum tra Telecom Sparkle e l’Ente per le poste e telecomunicazioni libiche in vista della costruzione di un cavo dati sottomarino. Siglata, infine, un’intesa sulla costruzione di impianti per il trattamento delle acque reflue in Libia con la società Termomeccanica di La Spezia.
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