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2025-07-16
Ursula vuole i nostri soldi. Come fermare il saccheggio
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Mentre si discute dell’impatto dei dazi statunitensi sui prezzi delle merci europee, Bruxelles, invece di tagliare la burocrazia, è pronta ad aggiungere nuove tasse. La decisione è prevista per oggi, ma secondo le bozze in circolazione, l’Unione europea per finanziare il suo bilancio intende introdurre una nuova tassazione sui prodotti del tabacco, comprese le sigarette elettroniche e le bustine di nicotina. L’impatto sui prezzi per i consumatori sarebbe enorme: si parla di un +139% per le sigarette tradizionali, +258% per i tabacchi trinciati e fino a un +1.090% per i sigari. Anche i prodotti alternativi, come tabacco riscaldato, e-cigarette e bustine di nicotina, subirebbero rincari importanti. Secondo i dati riportati da Adnkronos tutto questo si tradurrebbe in un aumento medio superiore al 20%, l’impatto sull’inflazione sarebbe pari a circa mezzo punto percentuale. Insomma se un pacchetto di sigarette oggi costa 5 euro, arriverà a costarne almeno sei.
Come già scritto su queste colonne però, per quanto l’aumento dei prezzi non non sia nei desiderata di nessuno in questo momento storico, non si tratta solo di questo: il piano europeo si tradurrebbe in una vera rivoluzione fiscale. Per la prima volta infatti questo maggiore gettito invece di finire nelle casse degli Stati, andrà direttamente all’interno del bilancio dell’Unione europea. Una mossa astuta iniziare dal tabacco, nessuno si metterà a fare le barricate per difendere i diritti dei tabagisti, ma questo crea un precedente e apre la strada a nuove tasse comuni. Insomma, se pensavate che la pressione fiscale fosse già abbastanza alta, ad aumentarla di più ci penserà l’Unione europea, dando per scontato che gli Stati difficilmente rinuncerebbero a parte del loro incasso, per molti già insufficiente a tenere i conti in ordine.
Anche se c’è stato il tentativo di far passare la questione sotto traccia sono già parecchi gli Stati membri che si sono messi di traverso: tra questi l’Italia. A opporsi per prima, la Svezia con il ministro delle Finanze, Elisabeth Svantesson, che detto: «Il gettito deve restare ai singoli Paesi, non finire nelle mani della burocrazia europea». Con la Svezia e l’Italia si oppongono anche Repubblica Ceca, Grecia, Romania e Bulgaria.
Euractiv riporta un documento ufficiale tedesco, un rapporto da Bruxelles per il Bundestag, in cui si legge: «Il 16 luglio 2025 verrà inoltre presentata una nuova proposta per nuove risorse proprie. Saranno mantenute alcune proposte dei due precedenti pacchetti di risorse proprie di dicembre 2021 e giugno 2023, come la proposta meno controversa del Consiglio di generare risorse proprie dal Meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera dell’Ue (Cbam). Tuttavia, saranno sviluppate anche nuove fonti di risorse proprie, ove opportuno, ad esempio attraverso imposte sui rifiuti elettronici o sul tabacco». Due gli elementi che se ne traggono. Anche se la Commissione sta già mettendo le mani avanti giustificando la manovra con l’obiettivo di ridurre i consumi nocivi per la salute pubblica, l’obiettivo è chiaro: attivare un nuovo strumento per finanziare le politiche europee e creare così un precedente. Sempre dal testo, inoltre, si palesa che si tratta di un’iniziativa «controversa» perché fin qui, l’unico strumento di finanziamento proprio deriva dalle risorse che arrivano dal Meccanismo di adeguamento del carbonio.
Ad ogni modo l’ultima bozza del quadro finanziario pluriennale che circola indica che la Commissione proporrà cinque nuove risorse proprie, tra cui una basata sui ricavi delle imprese e una derivante dalle accise sul tabacco. Public Policy che ne ha preso visione riporta: «Le imprese contribuiranno al finanziamento del bilancio dell’Ue». Il testo non specifica le soglie e le condizioni per l’applicazione di questa nuova tassa, ma specifica che «la risorsa propria non si applicherà, in linea di principio, alle pmi».
La risorsa propria derivante dalle accise sul tabacco sosterrebbe gli obiettivi della politica sanitaria dell’Ue, generando al contempo entrate per il bilancio dell’Ue. «I regimi fiscali divergenti nell’Unione hanno effetti negativi sulle politiche degli Stati membri volte a scoraggiare il consumo di tabacco attraverso la tassazione», si legge nella bozza di comunicazione, che specifica come la proposta sulla risorsa propria sia complementare alla prossima rifusione della direttiva sulle accise sul tabacco, che mira ad adeguare le accise minime dell’Ue e alcune categorie di prodotti tradizionali del tabacco, garantendo condizioni di parità nel mercato unico. Un’altra risorsa propria prevede che una percentuale delle entrate derivanti dal sistema di scambio di quote di CO2 dell’Ue (Ets) sia destinata al bilancio dell’Ue. Il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) viene definito come la dimensione esterna dell’Ets, per questo le entrate così derivanti dovrebbero essere incamerate dall’Ue. Infine l’ultima risorsa propria è basata sulla quantità di rifiuti elettronici (Raee) non raccolti che contengono «molte materie prime critiche importanti per l’Ue».
Infine il messaggio più inquietante che appare come una minaccia: «La Commissione continuerà inoltre a lavorare all'introduzione di nuove tasse relative alle politiche dell’Unione».
L’Italia guida il fronte degli Stati contrari ai tagli della Von der Leyen
È con il prossimo bilancio settennale dell’Unione europea che arriva il bello, si fa per dire, per Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione Ue, che giovedì scorso ha schivato una mozione di sfiducia sullo Pfizergate, presenterà oggi a Bruxelles la sua proposta più ambiziosa, quella di riformare il budget a lungo termine dell’Unione europea dal 2028 al 2034, del valore di 1,2 trilioni di euro, con l’obiettivo di «costruire un’Europa più indipendente in una situazione globale complessa». «Abbiamo avuto una pandemia, una crisi energetica e una guerra, il mondo è completamente cambiato», ha anticipato la baronessa tedesca otto giorni fa parlando all’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo, «il budget attuale è molto rigido, i fondi per rispondere a sfide inaspettate - condizioni meteorologiche estreme, incendi, inondazioni - sono esauriti e questi eventi diventeranno più frequenti», ha pronosticato Von der Leyen, cercando di persuadere una platea alquanto ostile con la giustificazione della «maggiore flessibilità e trasparenza».Ma quanto è trapelato già da ottobre scorso non convince i partiti europei. Pour cause: il piano, ispirato al rapporto sulla competitività elaborato da Mario Draghi a settembre del 2024, propone innanzitutto la cancellazione della Politica agricola comune (Pac), strumento che rappresenta quasi il 40% del bilancio Ue, introdotto nel 1962 per sostenere gli agricoltori europei, e la sua fusione con il Fondo di coesione, istituito per ridurre le disparità economiche e sociali tra le regioni europee. Ursula vuole fondere i due storici strumenti Ue nel nuovo «Fondo europeo per la prosperità e la sicurezza sostenibili». La riforma elaborata da Von der Leyen prevede dunque una riduzione dei fondi Pac per l’agricoltura (si parla del 20%, che nella più rosea delle ipotesi potrebbe diventare un 15%) per alimentare le esigenze di riarmo Ue e l’assegnazione dei fondi non più direttamente alle regioni ma agli Stati membri in un’unica indennità nazionale, aumentando drasticamente il potere dei governi nella gestione dei fondi, a scapito degli enti locali.Contro la cancellazione o riduzione della Pac si sono già mobilitati le associazioni di categoria, a cominciare da Farm Europe, che chiede a Von der Leyen di «proteggere la sicurezza alimentare e mantenere una Pac forte». E anche i due maggiori gruppi, popolari e socialisti europei, sono contrari. Ma è la ri-assegnazione dei fondi a livello nazionale anziché regionale a preoccupare di più. Il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto, fortemente voluto da Giorgia Meloni in cambio del suo sostegno alla riconferma di Von der Leyen, sta guidando il fronte dei contrari: il nuovo sistema aggirerebbe le regioni rafforzando le disparità esistenti all’interno dei singoli Paesi. La sua battaglia per conto della premier italiana sembra essere andata a buon fine: contro l’assegnazione dei fondi a livello nazionale si sono già schierati quasi tutti gli Stati membri, a cominciare da Italia, Germania e, con qualche distinguo, la Francia, mentre Austria, Danimarca e Lussemburgo sono incerti e soltanto Estonia, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia sono favorevoli. L’unico a cantare inopinatamente vittoria è il Pd: secondo il capodelegazione a Bruxelles Nicola Zingaretti, il Fondo sociale sarebbe «salvo» a seguito di una lettera inviata dai socialisti alla vigilia del voto sulla sfiducia a Von der Leyen, la quale avrebbe promesso attenzione al tema in cambio del no del gruppo alla sfiducia contro di lei. Ma la missiva diventerà, con ogni probabilità, lettera morta.C’è poi il capitolo «aumento del budget»: la presidente sta prendendo in considerazione l’ipotesi di risanare le casse dell’Ue introducendo nuove tasse. Dulcis in fundo, la presidente della Commissione intende introdurre una norma affinché il «rispetto dello stato di diritto» diventi una pre-condizione di accesso ai fondi europei, una sorta di spada di Damocle sui governi nazionali: se un Paese non dovesse rispettare i criteri di democraticità stabiliti arbitrariamente da Bruxelles potrebbe non aver accesso ai fondi Ue. Un assaggio di ciò che potrebbe succedere lo sta sperimentando l’Ungheria di Viktor Orbán, cui l’Unione ha congelato circa 18 miliardi di euro a causa delle persistenti preoccupazioni per il «deficit democratico», riscontrato ad esempio nel «deterioramento del clima politico» dopo il divieto della parata del Pride.Il gruppo PfE (Patriots for Europe) di cui fa parte la Lega ha espresso forte preoccupazione per i tagli inaccettabili all’agricoltura, «proprio mentre stanno per essere approvati accordi di libero scambio come quello con il Mercosur che rischiano di danneggiare ulteriormente i nostri produttori», ha dichiarato il vice segretario generale del gruppo Marco Campomenosi. «Difendiamo il ruolo centrale delle Regioni, chiediamo semplificazione delle regole e rifiutiamo condizionalità politiche e green calate dall’alto che, già con il Recovery, hanno mostrato tutti i loro limiti, andando, peraltro, contro l’autonomia degli Stati membri. L’Italia, da Paese contributore netto al bilancio Ue, nei prossimi mesi dovrà utilizzare il proprio peso negoziale per pretendere un bilancio equo, al servizio dei cittadini e delle imprese e non delle logiche ideologiche o anti-industriali di Bruxelles». Più che mesi, si parla di negoziati di due anni: anni in cui nei singoli Stati potrebbero cambiare gli equilibri politici, la stessa Ursula von der Leyen potrebbe non essere più al suo posto e, con gli Stati membri in ordine sparso, la montagna potrebbe partorire un topolino
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Più tasse raccolte direttamente da Bruxelles, una ripartizione sfavorevole dei fondi, i rischi sui dazi: l’Unione si prepara a dare l’assalto al «portafoglio Italia». Ecco alleati e nemici per impedire il salasso.Lo speciale contiene due articoli.Mentre si discute dell’impatto dei dazi statunitensi sui prezzi delle merci europee, Bruxelles, invece di tagliare la burocrazia, è pronta ad aggiungere nuove tasse. La decisione è prevista per oggi, ma secondo le bozze in circolazione, l’Unione europea per finanziare il suo bilancio intende introdurre una nuova tassazione sui prodotti del tabacco, comprese le sigarette elettroniche e le bustine di nicotina. L’impatto sui prezzi per i consumatori sarebbe enorme: si parla di un +139% per le sigarette tradizionali, +258% per i tabacchi trinciati e fino a un +1.090% per i sigari. Anche i prodotti alternativi, come tabacco riscaldato, e-cigarette e bustine di nicotina, subirebbero rincari importanti. Secondo i dati riportati da Adnkronos tutto questo si tradurrebbe in un aumento medio superiore al 20%, l’impatto sull’inflazione sarebbe pari a circa mezzo punto percentuale. Insomma se un pacchetto di sigarette oggi costa 5 euro, arriverà a costarne almeno sei. Come già scritto su queste colonne però, per quanto l’aumento dei prezzi non non sia nei desiderata di nessuno in questo momento storico, non si tratta solo di questo: il piano europeo si tradurrebbe in una vera rivoluzione fiscale. Per la prima volta infatti questo maggiore gettito invece di finire nelle casse degli Stati, andrà direttamente all’interno del bilancio dell’Unione europea. Una mossa astuta iniziare dal tabacco, nessuno si metterà a fare le barricate per difendere i diritti dei tabagisti, ma questo crea un precedente e apre la strada a nuove tasse comuni. Insomma, se pensavate che la pressione fiscale fosse già abbastanza alta, ad aumentarla di più ci penserà l’Unione europea, dando per scontato che gli Stati difficilmente rinuncerebbero a parte del loro incasso, per molti già insufficiente a tenere i conti in ordine. Anche se c’è stato il tentativo di far passare la questione sotto traccia sono già parecchi gli Stati membri che si sono messi di traverso: tra questi l’Italia. A opporsi per prima, la Svezia con il ministro delle Finanze, Elisabeth Svantesson, che detto: «Il gettito deve restare ai singoli Paesi, non finire nelle mani della burocrazia europea». Con la Svezia e l’Italia si oppongono anche Repubblica Ceca, Grecia, Romania e Bulgaria. Euractiv riporta un documento ufficiale tedesco, un rapporto da Bruxelles per il Bundestag, in cui si legge: «Il 16 luglio 2025 verrà inoltre presentata una nuova proposta per nuove risorse proprie. Saranno mantenute alcune proposte dei due precedenti pacchetti di risorse proprie di dicembre 2021 e giugno 2023, come la proposta meno controversa del Consiglio di generare risorse proprie dal Meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera dell’Ue (Cbam). Tuttavia, saranno sviluppate anche nuove fonti di risorse proprie, ove opportuno, ad esempio attraverso imposte sui rifiuti elettronici o sul tabacco». Due gli elementi che se ne traggono. Anche se la Commissione sta già mettendo le mani avanti giustificando la manovra con l’obiettivo di ridurre i consumi nocivi per la salute pubblica, l’obiettivo è chiaro: attivare un nuovo strumento per finanziare le politiche europee e creare così un precedente. Sempre dal testo, inoltre, si palesa che si tratta di un’iniziativa «controversa» perché fin qui, l’unico strumento di finanziamento proprio deriva dalle risorse che arrivano dal Meccanismo di adeguamento del carbonio. Ad ogni modo l’ultima bozza del quadro finanziario pluriennale che circola indica che la Commissione proporrà cinque nuove risorse proprie, tra cui una basata sui ricavi delle imprese e una derivante dalle accise sul tabacco. Public Policy che ne ha preso visione riporta: «Le imprese contribuiranno al finanziamento del bilancio dell’Ue». Il testo non specifica le soglie e le condizioni per l’applicazione di questa nuova tassa, ma specifica che «la risorsa propria non si applicherà, in linea di principio, alle pmi».La risorsa propria derivante dalle accise sul tabacco sosterrebbe gli obiettivi della politica sanitaria dell’Ue, generando al contempo entrate per il bilancio dell’Ue. «I regimi fiscali divergenti nell’Unione hanno effetti negativi sulle politiche degli Stati membri volte a scoraggiare il consumo di tabacco attraverso la tassazione», si legge nella bozza di comunicazione, che specifica come la proposta sulla risorsa propria sia complementare alla prossima rifusione della direttiva sulle accise sul tabacco, che mira ad adeguare le accise minime dell’Ue e alcune categorie di prodotti tradizionali del tabacco, garantendo condizioni di parità nel mercato unico. Un’altra risorsa propria prevede che una percentuale delle entrate derivanti dal sistema di scambio di quote di CO2 dell’Ue (Ets) sia destinata al bilancio dell’Ue. Il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) viene definito come la dimensione esterna dell’Ets, per questo le entrate così derivanti dovrebbero essere incamerate dall’Ue. Infine l’ultima risorsa propria è basata sulla quantità di rifiuti elettronici (Raee) non raccolti che contengono «molte materie prime critiche importanti per l’Ue».Infine il messaggio più inquietante che appare come una minaccia: «La Commissione continuerà inoltre a lavorare all'introduzione di nuove tasse relative alle politiche dell’Unione». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/leuro-tassa-sui-fumatori-linizio-2673253002.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="litalia-guida-il-fronte-degli-stati-contrari-ai-tagli-della-von-der-leyen" data-post-id="2673253002" data-published-at="1752639900" data-use-pagination="False"> L’Italia guida il fronte degli Stati contrari ai tagli della Von der Leyen È con il prossimo bilancio settennale dell’Unione europea che arriva il bello, si fa per dire, per Ursula von der Leyen. 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Pour cause: il piano, ispirato al rapporto sulla competitività elaborato da Mario Draghi a settembre del 2024, propone innanzitutto la cancellazione della Politica agricola comune (Pac), strumento che rappresenta quasi il 40% del bilancio Ue, introdotto nel 1962 per sostenere gli agricoltori europei, e la sua fusione con il Fondo di coesione, istituito per ridurre le disparità economiche e sociali tra le regioni europee. Ursula vuole fondere i due storici strumenti Ue nel nuovo «Fondo europeo per la prosperità e la sicurezza sostenibili». La riforma elaborata da Von der Leyen prevede dunque una riduzione dei fondi Pac per l’agricoltura (si parla del 20%, che nella più rosea delle ipotesi potrebbe diventare un 15%) per alimentare le esigenze di riarmo Ue e l’assegnazione dei fondi non più direttamente alle regioni ma agli Stati membri in un’unica indennità nazionale, aumentando drasticamente il potere dei governi nella gestione dei fondi, a scapito degli enti locali.Contro la cancellazione o riduzione della Pac si sono già mobilitati le associazioni di categoria, a cominciare da Farm Europe, che chiede a Von der Leyen di «proteggere la sicurezza alimentare e mantenere una Pac forte». E anche i due maggiori gruppi, popolari e socialisti europei, sono contrari. Ma è la ri-assegnazione dei fondi a livello nazionale anziché regionale a preoccupare di più. Il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto, fortemente voluto da Giorgia Meloni in cambio del suo sostegno alla riconferma di Von der Leyen, sta guidando il fronte dei contrari: il nuovo sistema aggirerebbe le regioni rafforzando le disparità esistenti all’interno dei singoli Paesi. La sua battaglia per conto della premier italiana sembra essere andata a buon fine: contro l’assegnazione dei fondi a livello nazionale si sono già schierati quasi tutti gli Stati membri, a cominciare da Italia, Germania e, con qualche distinguo, la Francia, mentre Austria, Danimarca e Lussemburgo sono incerti e soltanto Estonia, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia sono favorevoli. L’unico a cantare inopinatamente vittoria è il Pd: secondo il capodelegazione a Bruxelles Nicola Zingaretti, il Fondo sociale sarebbe «salvo» a seguito di una lettera inviata dai socialisti alla vigilia del voto sulla sfiducia a Von der Leyen, la quale avrebbe promesso attenzione al tema in cambio del no del gruppo alla sfiducia contro di lei. Ma la missiva diventerà, con ogni probabilità, lettera morta.C’è poi il capitolo «aumento del budget»: la presidente sta prendendo in considerazione l’ipotesi di risanare le casse dell’Ue introducendo nuove tasse. Dulcis in fundo, la presidente della Commissione intende introdurre una norma affinché il «rispetto dello stato di diritto» diventi una pre-condizione di accesso ai fondi europei, una sorta di spada di Damocle sui governi nazionali: se un Paese non dovesse rispettare i criteri di democraticità stabiliti arbitrariamente da Bruxelles potrebbe non aver accesso ai fondi Ue. Un assaggio di ciò che potrebbe succedere lo sta sperimentando l’Ungheria di Viktor Orbán, cui l’Unione ha congelato circa 18 miliardi di euro a causa delle persistenti preoccupazioni per il «deficit democratico», riscontrato ad esempio nel «deterioramento del clima politico» dopo il divieto della parata del Pride.Il gruppo PfE (Patriots for Europe) di cui fa parte la Lega ha espresso forte preoccupazione per i tagli inaccettabili all’agricoltura, «proprio mentre stanno per essere approvati accordi di libero scambio come quello con il Mercosur che rischiano di danneggiare ulteriormente i nostri produttori», ha dichiarato il vice segretario generale del gruppo Marco Campomenosi. «Difendiamo il ruolo centrale delle Regioni, chiediamo semplificazione delle regole e rifiutiamo condizionalità politiche e green calate dall’alto che, già con il Recovery, hanno mostrato tutti i loro limiti, andando, peraltro, contro l’autonomia degli Stati membri. L’Italia, da Paese contributore netto al bilancio Ue, nei prossimi mesi dovrà utilizzare il proprio peso negoziale per pretendere un bilancio equo, al servizio dei cittadini e delle imprese e non delle logiche ideologiche o anti-industriali di Bruxelles». Più che mesi, si parla di negoziati di due anni: anni in cui nei singoli Stati potrebbero cambiare gli equilibri politici, la stessa Ursula von der Leyen potrebbe non essere più al suo posto e, con gli Stati membri in ordine sparso, la montagna potrebbe partorire un topolino
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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