2021-11-19
L’etichetta ha ucciso il romanzo d’avventura
Scena da I Cannoni di Navarone (Getty Images)
Gli scaffali oggi grondano di melassa neorealista zeppa di opinioni tranquilizzanti. Abbiamo perso il gusto, e la potente freschezza, delle trame che uniscano adrenalina ed eroismo senza la cieca devozione alla verosimiglianza. Insomma, ci manca un altro Salgari.Il pensiero forte ha un correlativo oggettivo nel romanzo forte, quello d'avventura. Non un genere specifico, bensì il contenitore che catalizza il thriller, la spy story, l'esotismo, la finzione storica e tutto quanto accelera i battiti, favorisce la secrezione di adrenalina e induce a sfogliare velocemente i libri: un fenomeno definito page turner, voltapagina.L'avventura è un modo per aggiungere efficacia alla narrazione, renderla più avvincente e perfino più credibile. Quando una situazione, un'ipotesi, un'intera trama vengono spinte ai limiti estremi delle possibilità, oltre i confini della vita ordinaria, i risultati devono necessariamente avere degli sviluppi sbalorditivi, o comunque diversi da tutto ciò che accade di solito.Logico che sia il frutto di una cultura che si nega alla compiacenza delle opinioni tranquillizzanti in ogni epoca, all'obbligo di un realismo infarcito di banalità, al mito del buon selvaggio, nato nei salotti parigini dell'Illuminismo, lontanissimi dai luoghi segnalati sulle mappe con la formula «Hic sunt leones». Anzi, i paesaggi del pericolo costituiscono quasi sempre una componente indispensabile delle trame avventurose. La naturale conseguenza è che questo materiale espressivo abbondi nella letteratura anglosassone, nutrita anche dell'espansione coloniale, di quello che Rudyard Kipling definì «il fardello dell'uomo bianco». A ciò si aggiunge una vena derivata da Fenimore Cooper, Herman Melville e Joseph Conrad, fra gli altri.Uno dei più rappresentativi è Geoffrey Household, cui si deve il capolavoro assoluto della variazione sul tema della caccia all'uomo, Il maschio solitario. Il protagonista, che narra in prima persona, con ironica freddezza inglese, ha voluto simulare un attentato a Hitler, senza sparare, solo prendendolo di mira, per il gusto di dimostrare che il führer non è un bersaglio impossibile. Catturato e torturato dalla Gestapo, sopravvive e fugge dalla Germania, ma i tedeschi arrivano a inseguirlo perfino a Londra, perché non intendono lasciare vivo un uomo capace di un'impresa di tale portata. Scritto nel 1939, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, divenne un film diretto da Fritz Lang nel 1941, quando le ostilità ormai erano incominciate. Mentre l'uomo in fuga si muove nella città in cui è nato, cresciuto e vissuto, l'avventura gli toglie i riferimenti più comuni.A raccoglierne il testimone, lo scozzese Alistair MacLean, che firmò capisaldi avventurosi quali I cannoni di Navarone, Base Artica Zebra e il «cult» Dove osano le aquile. La sua trovata era semplice: tenere i lettori incollati all'intreccio per impedir loro di domandarsi se fosse plausibile.Gli tiene testa l'angloirlandese Jack Higgins, pseudonimo di Harry Patterson. Forte della sua adolescenza per le strade di Belfast, martoriate dalla guerra civile, sciorina un'umanità di antieroi costretti a scelte estreme per patriottismo, amore o ineluttabilità. Il successo internazionale arriva con La notte dell'aquila, dove un drappello di commandos tedeschi tenta di rapire Churchill. Una rarissima occasione in cui non viene da fare il tifo per gli inglesi, perché gli emissari di Berlino non sono nazisti, ma idealisti convinti di affrettare la fine della guerra.In Il giorno dello sciacallo, del 1971, Frederick Forsyth propone un attentato immaginario al generale Charles De Gaulle. L'ingaggio del killer e la minuziosa preparazione dell'evento vengono descritti con tale verosimiglianza che ci si domanda se sia finzione o realtà. Inviato in Africa a coprire la secessione del Biafra, Forsyth fu conquistato dalla causa degli Ibo, diventando amico personale del loro leader, Emeka Ojukwu. La sua presenza laggiù è riportata da Goffredo Parise in Guerre politiche, che ne storpia il cognome, trasformandolo in Forsyte, e ne traccia il ritratto ideologicamente adulterato di un giovane intrigante e schierato per i ribelli di Ojukwu. Forsyth fu dalla parte dei biafrani non per interessi reconditi. Detestava i maneggi dell'establishment britannico e abbandonò la Bbc, secondo lui troppo istituzionalizzata, per fare il freelance e infine scrivere romanzi.Questi tratti biografici confermano il pensiero forte insito nella letteratura avventurosa. Nessuno spazio vi è consentito al compromesso. I buoni e i cattivi vanno tutti fino in fondo, per preservare le rispettive identità. Le giustificazioni psicologiche, o peggio sociologiche, ne sono rigorosamente bandite.Emilio Salgari inoculò nell'anemico organismo della prosa italiota una robusta dose di vicissitudini ad altissimo ritmo, popolate di eroi non garantiti dal posto fisso di tanta, troppa, melassa naturalista. Uno dei suoi pochi eredi fu Mino Milani, creatore di indimenticabili serie pubblicate sul glorioso Corriere dei piccoli.I campioni del romanzo forte sono scomparsi, in favore di una gioventù scialba, di vegani, più che di cannibali. Per svecchiare l'offerta libraria e cercare un nuovo pubblico, si è ottenuto un neorealismo 4.0, ancora più noioso di quello originale.
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Il killer di Charlie Kirk, Tyler Robinson (Ansa)