2019-07-17
Lega e grillini si spaccano in Europa. Ursula presidente con i voti del M5s
La tedesca von der Leyen a capo della Commissione Ue con una maggioranza risicata. Furibondi gli alleati di governo. Nel discorso d'insediamento carbon tax e parità di genere. Sui migranti: «Solo salvare non basta».Il tedesco Martin Selmayr, potente segretario generale della Commissione di Jean-Claude Juncker, costretto a lasciare: «Dopo di me un francese, è un progetto francotedesco». Favorito Olivier Guersent.Lo speciale contiene due articoli.Una vittoria sul filo di lana che spacca in due l'Europa e la maggioranza che regge l'esecutivo del nostro Paese. La tedesca Ursula von der Leyen deve dire grazie alla dozzina di eurodeputati del M5s che l'hanno votata se da oggi può sedere (prima donna nella storia) sullo scranno continentale più prestigioso, quello riservato al presidente della Commissione europea. Su una maggioranza richiesta di 374 voti, infatti, la candidata ne ha raccolti appena 383. Di segno opposto il voto dell'altro alleato di governo, la Lega di Matteo Salvini. Si apre ora una pagina complessa per la gestione dei rapporti interni al governo, con l'eventualità che il M5s, di fatto ago della bilancia in Parlamento, si arroghi il diritto di chiedere per sé il ruolo del commissario europeo. Eloquente il tweet immediatamente successivo all'annuncio dell'esito voto scritto dal leghista Claudio Borghi: «Penso solo insulti». Così come il precedente del grillino Dino Giarrusso: «Decisivi». Per tutta la giornata si sono rincorse dichiarazioni di segno contrastante che hanno fatto temere per il peggio. Molti dei gruppi hanno preso posizione solo nel tardo pomeriggio, compresi i socialisti, i quali hanno diramato una nota solamente dieci minuti prima del voto. Quella della von der Leyen rimane comunque una vittoria di Pirro. Tolto il Ppe, infatti, ognuno dei gruppi che ha contribuito alla sua elezione vanta un credito nei suoi confronti. «Eravamo molto scettici quando la candidata si è presentata al nostro cospetto», si legge nella nota diffusa dai socialisti, «ma oggi dobbiamo ammettere che è venuta incontro a molte delle richieste del gruppo». Il faro rimane comunque puntato: «Rimarremo comunque vigili per essere sicuri che nei prossimi 5 anni manterrà le promesse fatte». Per non parlare dei liberali, che per garantirle il voto nei giorni scorsi avevano chiesto di riservare il posto di primo vicepresidente a Margrethe Vestager.Nella mattinata Ursula von der Leyen aveva tenuto un discorso convintamente europeista. «Il mondo chiede più Europa, il mondo ha bisogno di più Europa», ha chiosato entusiasta la candidata alla presidenza della Commissione europea. Sull'onda dell'entusiasmo degli ultimi mesi e nel tentativo (comunque rivelatosi inutile) di convincere il gruppo dei Verdi, la prima parte della prolusione è stata sacrificata alla causa ambientalista. Prima l'annuncio di un «green deal» europeo, con la volontà di fare dell'Europa il primo continente neutro dal punto di vista climatico entro il 2050 tramite una riduzione delle emissioni di CO2 del 50-55% («il 40% è troppo poco» ha dichiarato) entro il 2030. Sul piatto anche un piano europeo di investimenti sostenibili da 1.000 miliardi e l'introduzione della carbon tax. Sul versante economico, la von der Leyen si è soffermata a lungo sui temi sociali, evitando volutamente di impelagarsi nel merito delle scelte di politica monetaria (finora al centro dell'agenda continentale) e sorvolando sui dettagli del budget settennale ancora in fase di negoziato. Confermata l'idea di favorire l'introduzione del salario minimo in tutti gli Stati membri e di un programma di disoccupazione complementare, come già anticipato nei giorni scorsi con una lettera ai parlamentari. Sul secondo punto, in particolare, esistono già degli studi di fattibilità commissionati da Bruxelles, quindi si tratterebbe di fatto della prosecuzione di un punto programmatico già messo in cantiere dalla precedente Commissione. Ma la von der Leyen ha annunciato anche la volontà di potenziare il programma «Garanzia giovani», triplicare gli sforzi finanziari dell'Erasmus e introdurre la «Garanzia bambini» per il contrasto alla povertà (in realtà già inclusa nel programma del prossimo budget). Menzione particolare per la parità di genere. Le prime parole del discorso sono dedicate a Simone Veil, presidente donna del primo Parlamento europeo: «E 40 anni dopo, è con grande orgoglio che posso dire: finalmente una donna è candidata alla presidenza della Commissione europea». Per favorire questo principio, l'idea è quella di imporre l'assoluta parità di genere tra i commissari: «Se uno degli Stati membri non mi fornirà nomi di donne a sufficienza, non esiterò a chiederne altri».Parole piuttosto drastiche per quanto riguarda due temi considerati tra i più caldi. «Non ci può essere alcun compromesso quando c'è di mezzo lo stato di diritto», ha dichiarato severa, aggiungendo che supporterà «ogni nuovo strumento» per contrastare le violazioni in questo campo. Anche in questo caso la strizzatina d'occhio è rivolta ai liberali di Renew Europe che considerano il giro di vite sullo stato di diritto un requisito imprescindibile per il supporto alla von der Leyen. Categorica anche la posizione sui migranti. Pur riconoscendo l'ovvio («dobbiamo ridurre l'immigrazione irregolare contrabbandieri e trafficanti, perché sono criminali» e «sono consapevole di quanto siano difficili e controverse le discussioni su questo tema»), la von der Leyen ha inferto una stoccata niente male ai sovranisti: «Sussiste il dovere legale e morale di rispettare la dignità di ogni essere umano. L'Unione europea può e deve difendere questi valori. L'Unione europea ha bisogno di confini umani. Dobbiamo salvare, ma salvare solamente non basta».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lega-e-grillini-si-spaccano-in-europa-ursula-presidente-con-i-voti-del-m5s-2639213331.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="via-selmayr-il-piu-odiato-a-bruxelles" data-post-id="2639213331" data-published-at="1760044997" data-use-pagination="False"> Via Selmayr, il più odiato a Bruxelles Una giusta l'ha fatta la tedesca Ursula von der Leyen, ieri confermata dal Parlamento europeo come futuro presidente della Commissione. Lunedì, incontrando con il presidente del gruppo socialista, la spagnola Iratxe García Pérez, l'uscente ministro della Difesa di Berlino aveva spiegato di essere decisa a fare a meno dei servizi di Martin Selmayr, il controverso segretario generale della Commissione europea e vero dominus della struttura che conta più di 30.000 persone, nel caso in cui fosse stata eletta. E ieri è stato lo stesso Selmayr, parlando con Politico Europe, a confermare il suo addio: lascerà il suo posto a Palazzo Berlaymont «alla fine della prossima settimana». Il braccio destro del presidente uscente Jean-Claude Juncker ha deciso quindi di fare la prima mossa per evitare la cacciata. L'annuncio della von der Leyen alla García Pérez aveva, infatti, due ragioni. La prima: convincere i socialisti a votarla promettendo la testa dell'odiato burocrate. La seconda: liberarsi dello stesso burocrate che negli ultimi giorni si stava dando un gran da fare per evitare che la tedesca succedesse a Juncker. Il timore di Selmayr? Quello di non venire riconfermato. E non soltanto perché sarebbe piuttosto scomodo avere presidente della Commissione e segretario generale della Commissione entrambi tedeschi. Ma anche perché il protetto di Juncker - chiamato, con disprezzo e al tempo stesso timore, Occhio di Sauron, con riferimento al personaggio del Signore degli anelli, oppure Dart Fener, il grande cattivo di Guerre stellari, nelle stanze dell'Ue, è piuttosto odiato dai parlamentari europei e dai funzionari a lui non allineati, che parlano, per i suoi metodi di «regime di terrore». Il Parlamento europeo, anche nella nuova composizione, non sembra aver dimenticato il febbraio 2018, quando con un blitz che sollevò uno dei più grandi scandali nella storia delle istituzioni europee, censurato diverse volte dall'Aula guidata allora da Antonio Tajani, Selmayr, all'epoca capo di gabinetto di Juncker, fu nominato in pochi minuti segretario generale. Con l'appoggio del suo capo e anche di Günter Oettinger, responsabile del Bilancio ma anche del personale dell'esecutivo Ue, balzò a capo della struttura comunitaria con una finta procedura che ancora oggi rappresenta probabilmente il più duro colpo alla credibilità delle istituzioni europee. E dire che Selmayr le aveva tentate tutte, perfino la carta dell'autoridimensionamento. Secondo quanto riferito da ambienti diplomatici di Bruxelles al settimanale tedesco Wirtschaftswoche, Occhio di Sauron era pronto a diventare capo del gabinetto della von der Leyen. Una regola non scritta dell'Ue prevede che segretario generale e presidente della Commissione europea non possano essere della stessa nazionalità. Ecco perché Selmayr (che secondo un'inchiesta del quotidiano francese Libération avrebbe esercitato forti pressioni sull'alta funzionaria italiana Laura Pignataro tali da alimentare la depressione che l'ha poi indotta al suicidio lo scorso dicembre) era disposto a cambiare posizione per diventare il capo dell'ufficio della von der Leyen. Ma prima di lasciare, Selmayr, che non ha chiarito il suo futuro anche se a Bruxelles si sospetta da tempi che punti a diventare ambasciatore dell'Ue nel Regno Unito dopo la Brexit (che obbligherà Bruxelles ad aprire una sede diplomatica a Londra), ha voluto chiarire una cosa, come se non fosse già evidente: questa nuova Commissione «è un progetto francotedesco». Ecco quindi che il favorito alla sua successione è il francese Olivier Guersent, direttore generale per i Servizi finanziari e uomo di cui Selmayr sembra fidarsi molto.
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)