2022-06-30
Leader donne più pacifiste? La storia ci dice di no, dalla Thatcher alla Clinton
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Margareth Thatcher (Hulton Archive/Getty Images)
Boris Johnson sostiene che Vladimir Putin abbia attaccato l'Ucraina per colpa della «mascolinità tossica». Ma si tratta di uno stereotipo, non confermato dall'esperienza e dalla cronaca.La guerra in Ucraina? Colpa della mascolinità tossica. A dirlo non è stata un’attivista femminista intersezionalista, bensì un alto esponente del potere «maschio, bianco, etero» (e con l'aggravante del sovranismo): Boris Johnson. «Se Putin fosse una donna, cosa che ovviamente non è, ma se lo fosse», ha detto il premier britannico, «penso davvero che non si sarebbe avventurato in una guerra folle e machista di invasione e violenza come ha fatto lui. […] Se volete un esempio perfetto di mascolinità tossica, è quello che sta facendo in Ucraina». A metà maggio, il concetto era stato espresso anche dal presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato: «Se ci fosse stata una donna al Cremlino, davanti alla possibilità di una guerra con l'Ucraina avrebbe pensato che ci sarebbero stati dei figli condannati a morire. E questa idea che a morire in guerra siano dei figli è un'idea fortissima in ogni donna, nei maschi, a quanto vediamo, molto meno».Alcune obiezioni a questa idea sorgono piuttosto spontanee. La prima: sia Johnson che Amato sono uomini di potere, da anni in postazioni di comando. Se ritengono che la cosa possa rappresentare un problema, che comincino loro a cedere il posto ad altri. O ad altre. Se si ritiene che ci siano troppi maschi al potere, il minimo che un maschio possa fare è rifiutarsi di stare al potere, no? Seconda obiezione: questa bella marchetta al femminismo non fa altro che essenzializzare le donne, individuando delle caratteristiche morali che sarebbero intrinseche al loro genere, quali l'indole pacifica, collaborativa e magari materna (da qui il riferimento ai figli di Amato). Ma non è esattamente questa immagine angelicata della donna che il femminismo ha sempre combattuto? E se hanno dei pregi specifici di genere, possiamo dire che le donne hanno anche difetti specifici di genere? Insomma, da qualsiasi lato le si guardi, queste boutade sembrano dei pasticci retorici senza senso.Ma, soprattutto, è poi vero che le donne al potere sono più pacifiste? Pensiamo a Margareth Thatcher, che ha occupato lo stesso scranno di Boris Johnson per tutti gli anni Ottanta. Soprannominata «la lady di ferro», la politica conservatrice si è distinta per freddezza e inflessibilità. Durante la guerra con l'Argentina per le Falkland, lo sciopero della fame dei prigionieri nord-irlandesi, l'assedio dei terroristi arabi all'ambasciata iraniana a Londra, la Thatcher ha sempre mostrato spiccate doti di comandante in capo, venendo elogiata dai suoi fan come inflessibile statista e biasimata dai suoi critici come politica ostile alla diplomazia e alla trattativa.Di Golda Meir, primo ministro di Israele tra il 1969 e il 1974, soleva dirsi che fosse «l'unico vero uomo in Israele». Fu sotto il suo comando che Israele darà vita alla «operazione Collera di Dio», con cui lo Stato ebraico deciderà di vendicare la strage di Monaco del 1972. Negli Stati Uniti, invece, segretari di Stato come Madeline Albright, Condoleeza Rice o Hillary Clinton sono ricordate per aver ispirato e guidato operazioni belliche anche controverse, senza lasciar trasparire particolare empatia con i «figli mandati in guerra», secondo la lirica immagine di Amato. La stessa Angela Merkel, pur non avendo mostrato istinti particolarmente guerrafondai, si è distinta negli anni del suo mandato per politiche decisioniste, talvolta controverse e dure, oltre che per rapporti storicamente buoni con il «maschio tossico» Putin. Ma pensiamo anche a Emma Bonino, che ha avuto ruoli apicali in Ue e che ha appoggiato praticamente qualsiasi guerra americana combattuta negli ultimi 40 anni.Qualche tempo fa, due docenti americane, Oeindrila Dube e S. P. Harish, hanno esaminato quattro secoli di potere in Europa, studiando i regni di 193 monarchi in 18 sistemi di governo tra il 1480 e il 1913. Il 18% di questi governanti era composto da donne. Ebbene: pare che i sistemi governati da regine abbiano il 27% delle probabilità in più di entrare in guerra a seguito di un attacco.È del resto superficiale e ingenuo pensare che un leader politico di una potenza industriale e militare, nel pieno di una crisi diplomatica, decida cosa fare in base all'umore o agli ormoni. Parliamo di ruoli politici inseriti in una rete di relazioni e condizionamenti, per ogni leader politico ci sono consiglieri, apparati, gruppi di pressione, strutture sovranazionali, alleati, trattati, potentati economici. Ogni decisione politica è figlia di cooperazione e confronto con tutti questi organismi, non c'è un sovrano assiso sul suo ruolo che mette il pollice in su o in giù, a seconda della sua voglia di fare la guerra o meno. Uomo o donna che sia, un governante moderno deve rispondere a un difficile equilibrio di poteri. Esiste ovviamente una certa quota di discrezionalità, soprattutto nei sistemi presidenziali (o in quelli autocratici, ovviamente), esistono margini di iniziativa in cui può pesare il carattere o la cultura di un uomo politico. Ma che le donne abbiano il «gene della pace» nel proprio Dna da far valere, sembra proprio una boutade politicamente corretta (e segretamente maschilista).