2019-09-29
Le ecotasse contro le nostre aziende sono sussidi a Germania, Usa e Cina
Lo sciopero verde serve a legittimare politicamente lo spostamento di fondi Ue (compresi i nostri) sull'elettrico e sulla filiera agroalimentare, governata dalle multinazionali. Che inquinano ben più dei nostri produttori.A ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria. La legge vale in economia e, visto che l'economia detta l'agenda della politica, il principio della dinamica vale pure per i governi. Da oltre un anno l'Europa ha iniziato a preparare il terreno per l'arrivo della nuova Commissione, martellando sui temi dell'ambiente. Appena si è insediata Ursula von der Leyen, è stato lanciato il Green new deal. Si tratta di un mega piano di investimenti che potrebbe arrivare a 150 miliardi con l'intento di intervenire su intere filiere produttive. Parallelamente, le piazze hanno iniziato a riempirsi di ragazzini che chiedono un futuro migliore, e di poter usare le borracce riciclabili perché la plastica è il male. Senza banalizzare il tema, basta riportare gli slogan che contraddistinguono i «Friday for future», cioè gli scioperi al ritmo del tamburo di Greta. L'ondata di storytelling azionata da influencer come la Thunberg serve a mobilitare l'opinione pubblica e a consentire ai policy maker europei una grande operazione di spostamento di risorse pubbliche da una filiera produttiva a un'altra. Miliardi di euro che saranno sfilati dall'industria tradizionale. Esattamente quello che i dem Usa vogliono fare in patria, usando il volto di Alexandra Ocasio-Cortez e sbandierando un programma che si chiama, neanche a farlo apposta, Green new deal. Ecco, a queste azioni politiche corrispondono reazioni economiche. Tradotto: l'ambientalismo porta a nuovi business. Come? Bastonare il motore a scoppio favorirà le auto elettriche, come penalizzare il gas aiuterà l'elettricità. Penalizzare la filiera agroalimentare tradizionale aiuterà le multinazionali che cercano di uniformare la filiera della trasformazione. Purtroppo, travolti dai messaggi ambientalisti, diventa difficile ragionare sulle strategie economiche in modo laico. E così nessuno si pone la domanda: al nostro Paese la sostituzione delle tecnologie suggerita dall'Ue conviene? Quesito cruciale, eppure basta porlo e si finisce tacciati come barbari o sovranisti. Nel frattempo a Bruxelles, con il favore del vento, si sono chiesti: a chi facciamo pagare il cambio di passo tecnologico? Ai cittadini europei, è la risposta. I quali per salvare l'ambiente saranno disposti a pagare più tasse e con queste riempire il maxi fondo da 150 miliardi, a cui pure l'Italia sarà costretta a contribuire. Peccato che le proposte inserite nel Green new deal europeo appaiano dannose per il nostro Pil. In pratica, pagheremo miliardi per favorire l'innovazione di altre nazioni. Prendiamo a primo esempio la falsità ideologica dell'auto elettrica e dell'impatto zero: il livello di inquinamento dipende non solo dalle emissioni, ma anche da come viene prodotta l'energia per caricare le batterie. E se questa è generata con impianti che bruciano un combustibile fossile e deve poi essere trasportata per centinaia di chilometri, l'anidride carbonica totale è senza dubbio maggiore di quella prodotta dai motori endotermici. Non siamo neppure certi che la tecnologia sia ecologicamente sostenibile: servirebbe un piano per il riciclo delle batterie ad alta capacità. In Europa lo smaltimento tocca ai produttori, ma in molti altri Paesi del mondo, come la Cina, la questione non ha regole chiare, con potenziali impatti sulla salute e sull'inquinamento dei terreni e delle falde idriche. Eppure l'onda verde rende governi e consumatori acritici. Ad esempio, uno dei dossier chiave del nostro Paese passa per il gas e per le sue declinazioni più avanzate, tra cui il mix di metano e idrogeno. Si tratta di un enorme valore aggiunto che il governo dovrebbe salvaguardare. Ne va, in fondo, della sicurezza nazionale. Eppure il Conte bis non sembra intenzionato a contrastare fuffa che arriva da Bruxelles. «Test su strada mostrano che i camion a gas naturale liquefatto (Gnl) possono emettere inquinanti nell'aria fino a 5 volte di più rispetto ai propri corrispettivi alimentati con gasolio», si legge in un report della Ong Transport & environment che cita test del governo dei Paesi Bassi. Il documento è stato subito smentito da Ngva (Associazione della mobilità a gas) con un lungo elenco di studi universitari. L'Ong, che è collegata a varie associazioni - una delle quali vicina all'ex ministro Andrea Ronchi - non ha potuto ribattere. L'intento è quello di diffondere materiale per nutrire social e giornali allineati. Qui sta il pericolo: abbracciare questi obiettivi per gli italiani significa mettersi nelle mani dei produttori tedeschi e cinesi di elettrico. Se poi penalizziamo anche il gas, taglieremo l'unico ramo energetico su cui siamo seduti. Una follia strategica. Come è una follia prendere per buono un modello globale e applicarlo all'Italia. L'agroalimentare è infatti l'altra grande ricchezza tricolore da salvaguardare. Demonizzare la carne o le colture perché inquinano è assurdo. «Le emissioni di CO2 per ettaro», spiega alla Verità Luigi Scordamaglia coordinatore di Filiera Italia, «lungo la nostra penisola sono il 50% inferiori alla media Ue». Non abbiamo dunque nulla da rimproverarci. Ma la vulgata racconta che invece è arrivato il momento di cambiare, e di togliere gli incentivi dannosi. Tanto che, nel decreto ambiente che pende in Cdm, c'è la volontà di penalizzare il comparto agricolo sfilando circa 6 miliardi di agevolazioni. Ieri Conte di fronte alla platea di Coldiretti ha negato di voler ancora alzare il prezzo del gasolio agricolo. Il rischio è che la partita in ballo sia così globale che le parole del premier possano essere solo altra propaganda. Se allarghiamo lo zoom, tutta la filiera agroalimentare italiana corre il pericolo di finire strozzata. Quando Greta è andata all'Onu per urlare la sua indignazione, ai bordi del palco c'erano quattro grandi aziende del food: Danone, Nestlè, Mars e Unilever. Sono da poco riunite in una associazione che si chiama «Sustainable food policy alliance», che ha gli stessi obiettivi del Green new deal. Nascosti dietro la plastica bio ci sono intenti rivoluzionari: togliere la carne e sostituirla con componenti chimici, la fake meat. Se passa il messaggio che la filiera delle mucche inquina e va sostituita, queste multinazionali avranno fatto bingo. Margini che si impennano, maggiori costi per i consumatori. E addio made in Italy.