2018-08-28
Le Autostrade ai Benetton senza farli pagare
Nella prima puntata sulla storia delle privatizzazioni, uno dei peggiori affari per lo Stato. Con un gioco di prestigio il gruppo veneto riuscì ad acquisire la rete recuperando tutti i soldi. Un'operazione complessa alla quale parteciparono l'Iri, Unicredit e Mediobanca.Partiamo da un tweet di un presunto top manager e ovviamente molto democratico: Chicco Testa, gran frequentatore di Capalbio lido. È stato il privatizzatore di Enel, ma anche parlamentare del Partito comunista, è stato leader di Legambiente, ma anche tra i più accesi sostenitori del nucleare. Il «ma anche» è dovuto per rispetto del suo nume tutelare Walter Veltroni. Qualche giorno fa ha cinguettato: «Lo Stato incassa tra tasse e concessioni 9 miliardi, Autostrade ha un utile netto di 2 miliardi, se nazionalizziamo prendiamo 2 e perdiamo 9. Chi glielo spiega?». Già, chi glielo spiega che uno che non sa cos'è e come si calcola l'utile netto è stato al vertice dell'Enel? In realtà se lo Stato rinazionalizzasse Autostrade incasserebbe 11 miliardi all'anno: 9 più 2! Quella di Autostrade è stata l'ultima svendita di spessore. Come tutte le privatizzazioni è stata fatta con un'operazione che tecnicamente si chiama di leveraged buyout. Tradotto: compro indebitando la società. Regista dell'operazione è stato Gian Maria Gros Pietro, delfino di Romano Prodi e suo successore alla presidenza dell'Iri, che dopo un paio d'anni dalla vendita di Autostrade ai Benetton ne diventerà presidente. Gros Pietro arriva all'Iri nel marzo del 1997, non c'è rimasto molto da vendere e forse non c'è neanche tutta questa necessità di farlo. L'impegno preso da Beniamino Andreatta con Karel Van Miert nel 1993 di azzerare i debiti di Efim e di Iri è stato di fatto onorato: sono già stati incassati oltre 100.000 miliardi. In più Autostrade è una società che non perde, anzi dà guadagni allo Stato e soprattutto è strategica per lo sviluppo. Ma proprio questo sarà l'argomento di Gros Pietro che predica contro un deficit infrastrutturale del Paese e va dicendo in giro e in ogni dove che servono i privati per fare investimenti. A spalleggiarlo il direttore dell'Iri, Pietro Ciucci, che ad Autostrade vendute ritroveremo presidente dell'Anas. Insomma è una questione di «famiglia». In quel momento al vertice di Autostrade ancora irizzata c'è Giancarlo Elia Valori, che aveva già resistito nel 1994 all'idea di Prodi di vendere Autostrade. Ma Gros Pietro insiste e prova a mettere in vendita i caselli che generano sì un interessante cash flow, ma che hanno un problema: chi fissa le tariffe? Gli investitori esteri non si fidano del fatto che i prezzi siano di fatto in mano allo Stato, che in più ha anche il potere di controllo sugli investimenti. Nel frattempo nel 1998 a Palazzo Chigi sale Massimo D'Alema e nel 1999 Prodi si insedia al vertice della Commissione europea. L'Italia deve stare nel novero dei Paesi euro e a Gros Pietro dicono: tira su un po' di soldi. È lui che ha il pallino di Autostrade e fa un bando che dice: cessione del 30% a un socio forte, il 70% sul mercato. Il 22 ottobre 1999 al cda dell'Iri arriva solo una manifestazione d'interessi: è di Edizione srl, la finanziaria della famiglia Benetton. La proposta di una cordata australiana, messa in campo probabilmente per evitare accuse di favoritismi, svanisce come neve al sole. Edizione srl offre 5.000 miliardi (2,5 miliardi di euro), al collocamento sul mercato si conta di riavere altri 8.000 miliardi di lire (circa 4 miliardi di euro). Ma il punto è che ai Benetton vengono assicurate due cose: il sistema di determinazione tariffario non sarà cambiato, l'Anas non farà controlli sugli investimenti. Alessandro Danovi (Unibergamo) e Francesco Rubino (Bocconi) hanno dedicato uno studio ponderoso alla creazione di valore per Benetton e ne hanno concluso che «la privatizzazione della società Autostrade ha generato per gli azionisti un notevole valore, sia in riferimento a quanto emerso al momento dell'operazione in termini di prezzo pagato, sia ai ritorni successivi legati all'introito di una consistente remunerazione». Si certifica che i Benetton hanno pagato pochissimo Autostrade, ma soprattutto che, speculando sull'Opa, hanno fatto un vero affare. La privatizzazione di Autostrade si svolge in questo modo. Edizione srl crea una società, la Schemaventotto, che il 9 marzo 2000 acquista dall'Iri il 30% di Autostrade spa per 2.566 milioni di euro. I soldi li mettono per una metà gli azionisti di Benetton e per un'altra metà le banche. Nel novembre del 2002 lanciano l'Opa sul capitale restante di Autostrade e, a chiusura, pagando meno di 7.000 miliardi di lire, Schemaventotto ha circa l'83% del capitale. I soldi glieli presta Unicredit e Mediobanca. A quel punto rivende un po' di azioni e incassa all'incirca 3.000 miliardi. Sostanzialmente alla fine dell'operazione i Benetton hanno comprato Autostrade recuperando tutti i soldi che avevano anticipato. Nel 2002 il governo ratifica tutte le operazioni finanziarie e si fa festa. Il 6 giugno 2002 Giancarlo Elia Valori lasciando la presidenza di Autostrade dà un pranzo di gala alla Casina di Macchia Madama a Roma. Fa servire pesce spada marinato, risotto con gamberi e fiori di zucca, spigole in crosta di patate e gelato al grand marnier, il tutto annaffiato da Arneis fresco per gli ospiti di riguardo: Gilberto Benetton, Gianni Mion (ad di Edizione holding), Gian Maria Gros Pietro (neo presidente di Autostrade), Vito Gamberale, Piero Gnudi (presidente dell'Enel e commercialista di Prodi) e Marcellino Gavio (l'altro signore delle autostrade italiane).Tutto è a posto anche perché nelle more della privatizzazione si sono scordati (?) di fare due cose. La prima: rivedere il sistema di fissazione delle tariffe. La seconda: il sistema dei controlli. Per le tariffe c'è un'equazione ancora oggi utilizzata. È un po' complicata, ma ha l'X Factor. Non è uno show, semmai una slot machine: vince sempre il banco, cioè Autostrade. Il parametro X è il coefficiente in base al quale va garantita la remunerazione del capitale investito. Basta che Autostrade annunci un investimento per avere più soldi. Si capisce così perché, in 15 anni di gestione Benetton, Autostrade abbia fatto utili per 10 miliardi e oggi sia la terza società, certificato da Janus Enderson, a distribuire i dividendi per azione più ricchi: 63 centesimi. Quando era pubblica Autostrade era soggetta al controllo dell'Anas, ma privatizzata, è rimasta di fatto libera da qualsiasi vincolo. Ciucci diventato presidente Anas si guardò bene dal chiedere l'istituzione dell'Autorità di vigilanza, peraltro prevista all'atto della cessione. Così fino al 2013 nessuno ha controllato Autostrade e anche quando è stata insediata l'Autorità le sono stati conferiti poteri solo sulle nuove concessioni. Dunque Benetton e soci se ne stanno tranquilli tra due guanciali. Nel frattempo hanno continuato a crescere. Certo si sono comprati Abertis diventando il primo gruppo mondiale con oltre 11.000 chilometri gestiti e hanno continuato a guadagnare tantissimo. Ma c'è un'altra acquisizione molto interessante sempre in tema di privatizzazioni. È quella di Sat, le autostrade tirreniche che dovrebbero costruire la Livorno-Civitavecchia. L'autostrada non c'è, ma solo la promessa di farla ha garantito ad Atlantia l'adeguamento delle tariffe al rialzo. Per inciso: presidente di Sat è Antonio Bargone, ex deputato Pds, dalemiano di ferro già sottosegretario ai lavori pubblici nel primo governo Prodi e nel secondo D'Alema. Perché la storia continua... (1. Continua)
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
Continua a leggereRiduci