2022-03-10
L’autarchia dell’Europa ci spinge nel baratro
Il crollo dell’export a causa del conflitto e la tendenza dei Paesi Ue a stoccare le materie prime sarà devastante per l’economia. Sono già a rischio 8 miliardi e 80.000 posti di lavoro. Mancano mangime per animali, pescato e tra un mese non avremo più farina.Bastano quattro numeri per capire che l’Italia vive un’economia di guerra, e purtroppo sono cifre tutte negative. All’orizzonte si profilano la stagflazione (alta inflazione, consumi in diminuzione), che è la peggiore patologia economica, e una tentazione «autarchica» in Europa. Standard & poor’s ha rivisto il global rating, l’Eurozona perde l’1,2% rispetto alle prime previsioni e si ferma al 3,2. Il secondo dato: la produzione industriale italiana a gennaio (non c’erano ancora gli effetti dell’invasione dell’Ucraina) è calata del 3,4% rispetto al mese precedente. Si riteneva che dopo il calo di dicembre dell’1,1% ci sarebbe stato un recupero. Se si confronta il risultato con l’ultimo mese prepandemico, febbraio 2020, si vede che siamo sotto dell’1,9%. Il terzo dato lo ha comunicato l’Istat, che però dice di non sapere esattamente come stanno le cose: il Pil potrebbe contrarsi dello 0,7% rispetto alle stime. È sicuramente sballata la previsione che il ministro dell’economia Daniele Franco ha scritto nella Nadef, che prevedeva una crescita del Pil al 4,7% a fine anno. I conti dovranno essere tutti rifatti. Più pessimistica la stima di Confcommercio: Pil in crescita del 3,5% perché i consumi sono in forte contrazione. Neppure alla fine di quest’anno recupereremo il livello economico del 2019. Eurostat infine «legge» l’inflazione a febbraio al 5,8% nell’Eurozona e al 6,1% in Italia. A spingere in alto i prezzi sono la bolletta energetica fuori controllo e il costo delle materie prime. Il ministro per lo sviluppo economico Giancarlo Giorgetti (Lega) ha dato un primo segnale; mettere dazi e subordinare ad autorizzazione l’esportazione di materie prime che possono servire ai nostri comparti produttivi: dai rottami di ferro al rame, dall’argilla al nichel fino ai prodotti per l’agricoltura. Non solo, il Mise ha anche aperto una sorta di sportello reclami per conoscere le difficoltà delle imprese che esportano in Russia e Ucraina e cercare di aiutarle. Il presidente della regione Marche, Francesco Acquaroli, gli ha già scritto e si è rivolto anche a Mario Draghi e a Massimiliano Fedriga, presidente della conferenza delle Regioni oltreché del Friuli Venezia Giulia per dire: «È scoppiata un’emergenza gravissima: i rincari di energia e materie prime e le sanzioni alla Russia rischiano di far saltare il sistema economico.» Le Marche accusano pesantissime perdite nel distretto calzaturiero perché il fatturato russo vale l’80% dell’export e vi sono almeno cento imprenditori con stabilimenti a Mosca che hanno già perso tutto. Lo stesso vale per il distretto del mobile e della moda. L’iniziativa di Acquaroli anticipa quella di almeno altri sei presidenti di regione (Abruzzo, Lombardia, Veneto, Umbria, Puglia e Toscana) pronti a chiedere sostegni: in ballo ci sono circa 8 miliardi di export (tra Russia e Ucraina) e non meno di 80.000 posti di lavoro. In crisi nerissima sono agricoltura e agroalimentare. Il sottosegretario Gian Marco Centinaio (Lega) ha raccolto le istanze delle regioni che chiedono l’azzeramento della Pac. Il tema è la mancata produzione di cereali. Le stalle italiane ormai hanno mangime al massimo per altri 20 giorni, dopo cominceranno gli abbattimenti degli animali. I pescatori non vanno in mare perché non riescono a stare nei costi col gasolio più che triplicato; questo ci farà diventare totalmente dipendenti dalle importazioni arrivando a oltre un milione e mezzo di tonnellate per un esborso estero pari a 8,5 miliardi. Emerge con prepotenza il tema dell’autosufficienza alimentare. Ieri il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio, presentando la nuova edizione di Cibus (Parma, 3-6 maggio), ha detto: «Quella dell’Italia che può fare da sola è una bufala. Come non c’è possibilità di fare fronte al fabbisogno energetico, così non c’è per gli alimentari. Come si sa io opero nei cereali; ormai i prezzi non li guardo più nemmeno, cerco solo di trovare del grano da macinare. Ma il rischio vero è che salti il sistema dell’agroalimentare perché le imprese non riescono a scaricare i costi sui prezzi finali». Oggi se ne parla al Mipaf al tavolo del grano, ma non c’è molto da fare. Dopo l’Ungheria (ci dà il 30% del frumento) ha bloccato l’esportazione anche la Serbia (vale il 10%). Tra un mese non avremo più farina. Compensare con la produzione nazionale è impossibile anche perché il frumento è già stato seminato. C’è però il rischio - paventato da Alleanza cooperative - che per soddisfare la richiesta di mangimi e oli vegetali i nostri agricoltori piantino mais, soia, girasoli che hanno prezzi in aumento del 25% al posto dei pomodori da industria. Questo paralizzerebbe una filiera che vale 3,7 miliardi (1,9 dall’export). Inoltre l’appello all’autosufficienza energetica induce gli agricoltori a produrre biomasse aggravando ulteriormente costi e dipendenza alimentare mentre in Europa si fa strada la tendenza all’autarchia. Questa è l’economia di guerra che diventa guerra economica.