
Più del 31% dei giovani tra i 15 e i 24 anni non lavora, per questo è importante scegliere le università giuste. Ingegneria e medicina al top, legge fanalino di coda. E occhio a dove vi iscrivete, ne esistono di serie A e B.Cosa studiare per avere più possibilità di trovare un impiego? Possibilmente non precario e con il quale si possa sperare di costruirsi una vita. Ingegneria o architettura? Medicina o giurisprudenza? E ancora: quali università danno più garanzie per una rapida assunzione dopo la laurea? La risposta non è semplice né scontata: infatti in Italia, secondo l'ultimo rilevamento Istat, il 31,7% dei ragazzi fra 15 e 24 anni non lavora. La percentuale scende al 16% se si considerano i giovani fra 25 e 34 anni, ma il divario rispetto alla media europea resta incolmabile. Fra il 2000 e il 2018, i Paesi dell'Unione hanno registrato un tasso medio del 19,3% fra i 15 e 24 anni. Ecco perché, nonostante piccoli passi avanti, l'emergenza in casa nostra è tutt'altro che superata.Negli ultimi anni in molti hanno puntato il dito contro le università, accusandole di essere lontane e avulse dal mondo del lavoro. In tanti, a torto o a ragione, evidenziano come un'istruzione superiore non sia la strada maestra per assicurarsi un impiego stabile. Che, insomma, sarebbe meglio puntare tutto sul lavoro, trovando occupazione nel minor tempo possibile. Ma, cultura personale a parte, le cose non stanno proprio così. Ci sono facoltà che, a dispetto della crisi, rappresentano ancora una fucina di professionisti richiesti dal mercato. Secondo l'ultimo rapporto di Almalaurea, gli studenti italiani ottengono, in media, il diploma di laurea a 26 anni. Più della metà completa il ciclo di studi in tempo: nel 2017 il 51,1% ha infatti discusso la tesi senza andare fuori corso. Buoni anche i risultati per quanto riguarda il voto medio: si registra un confortante 102,7 su 110. Insomma, gli italiani che decidono di iscriversi all'università sono in larga parte motivati e studiosi. Soprattutto quando si parla di sesso femminile: sul totale dei laureati le donne rappresentano infatti il 59,2%.Ma cosa succede una volta ottenuta la pergamena? Sempre secondo i dati raccolti da Almalaurea, a un anno dal termine del percorso accademico trova lavoro il 71,1% dei laureati di primo livello (+2,9% rispetto al 2006) e il 73,9% dei laureati magistrali (+3,1%). Per il quarto anno consecutivo si è registrata quindi una diminuzione del tasso di disoccupazione: rispetto al 2013 il calo è di 9,2 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 6,5 punti per quelli magistrali. Se si considerano poi i laureati a cinque anni dal conseguimento del titolo, fra loro a lavorare è l'87,3% del totale, oltre la metà è assunta a tempo indeterminato, la quota dei lavoratori autonomi sfiora invece il 20%. Per quanto riguarda la retribuzione mensile netta a un anno dalla fine degli studi, questa è mediamente pari a 1.107 euro per i laureati di primo livello e 1.153 euro per i laureati magistrali biennali. Anche in questo caso il dato è il lieve aumento rispetto al recente passato. Ma occorre saper scegliere bene, perché non tutte le facoltà permettono di accedere in tempi ragionevoli al mondo del lavoro.Il mondo delle imprese cerca profili sempre più tecnici e specializzati, preferibilmente laureati in discipline tecnologiche, scientifiche o mediche. Anche quest'anno i tassi di occupazione e le retribuzioni più elevate si registrano fra i laureati in medicina, ingegneria e nel settore economico e statistico: a lavorare è infatti oltre il 90% del totale. Prima in assoluto ingegneria con il 94,6%, seguono coloro che hanno frequentato medicina con il 93,8, quindi chi ha scelto economia o statistica con il 91,9. Anche architettura garantisce un buon successo in ambito lavorativo con l'88,8% di occupati; leggermente inferiore il tasso di chi si occupa di chimica e farmacia: 88,2. In linea con la media sono gli occupati degli ambiti disciplinari linguistico e politico-sociale, di agraria ed educazione fisica (tutti intorno all'87%). Scende invece la speranza di un impiego sicuro per i laureati dei gruppi di psicologia, insegnamento, geo-biologia, legge e lettere, che sono sotto l'80%. Dimostrazione, questa, di come le difficoltà a trovare uno sbocco lavorativo non coinvolgano esclusivamente le lauree umanistiche. Colpisce giurisprudenza che è ultima con il 76,5%, mentre il numero degli avvocati è altissimo: negli anni Ottanta erano 46.000, oggi se ne contano 237.000.Allargando lo spettro anche ai diplomati, tra i profili tecnici più ricercati ci sono gli ex studenti in costruzioni, ambiente e territorio, in meccanica, in elettronica ed elettrotecnica, ma anche i qualificati specializzati in impianti termoidraulici a indirizzo elettrico e meccanico. Vanno bene anche la preparazione amministrativa, finanza e marketing, così come l'indirizzo meccanico e meccatronica e quello turismo, enogastronomia e ospitalità. Tutti sempre molto richiesti dalle aziende nazionali ed estere.Complessivamente, i laureati magistrali a cinque anni dal titolo percepiscono in media 1.405 euro netti mensili. Sono soprattutto gli ex studenti di ingegneria e delle professioni sanitarie a poter contare sulle più alte retribuzioni: rispettivamente 1.717 e 1.509 euro. Compensi superiori alla media sono registrati anche fra i colleghi dei gruppi economico-statistico, chimico e scientifico (sopra ai 1.500 euro per tutti). Non raggiungono invece i 1.200 euro mensili le retribuzioni dei dottori dei gruppi psicologico e letterario e dell'insegnamento. Percorsi, generalmente a prevalenza femminile, il cui sbocco professionale è relativo soprattutto al mondo della scuola, notoriamente non troppo generoso in termini di valorizzazione economica. Anche le retribuzioni dei laureati dei percorsi di educazione fisica e giuridico registrano valori nettamente inferiori alla media.Naturalmente è anche importante scegliere l'università giusta. Perché, come spesso accade nel nostro Paese, ci sono strutture di serie A e di serie B. A stilare la classifica degli atenei migliori per il 2018 è stato il Censis, che li ha distinti in quattro gruppi in base alle dimensioni. Fra i mega atenei, quelli cioè con più di 40.000 iscritti, al primo posto c'è l'università di Bologna, seguita da quelle di Firenze, da Roma La Sapienza e Padova. Ultima è la Federico II di Napoli, preceduta da Catania e dalla Statale di Milano. Passando ai grandi atenei, quelli con un numero di iscritti che oscilla fra 20.000 e 40.000, al primo posto della graduatoria si trova l'università di Perugia, seguita da quella della Calabria, con sede a Cosenza. Fra gli atenei medi si conferma al primo posto quello di Siena, mentre al secondo posto c'è quello di Sassari, seguito da Trento. Infine ci sono i piccoli atenei, fra i quali anche nel 2018 resiste in cima alla classifica l'università di Camerino (Macerata), seguita da quella di Foggia. Fra i politecnici, al primo posto c'è quello di Milano, seguito dallo Iuav di Venezia. Terzo e quarto posto rispettivamente per i politecnici di Torino e Bari. Nella classifica degli atenei privati, è la Bocconi di Milano la prima tra i grandi (oltre 10.000 iscritti) non statali. Immediatamente dopo troviamo l'Università Cattolica. Nei medi atenei, che contano tra i 5.000 e i 10.000 studenti, troviamo due università della capitale: la Luiss al primo posto e la Lumsa al secondo. Più numerosa la classifica dei piccoli atenei, che vede sul podio al primo posto la Libera Università di Bolzano, seguita dalla Liuc-Università Cattaneo di Castellanza (Varese). Ultima posizione per l'Università Lum Jean Monnet di Casamassima (Bari), immediatamente preceduta dall'Università Europea di Roma.
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Giusi Bartolozzi (Ana)
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