2022-04-23
Obblighi e porcate: la sciagura mascherine
Il racconto di una funzionaria delle Dogane: un documento precompilato dell’allora commissariato Domenico Arcuri ha autorizzato l’ingresso in Italia delle protezioni cinesi importate da Benotti & C. Un’altra testimone: pressioni per liberare subito la merce.Il ministro vuole l’obbligo fino a giugno, ma il presidente Kompatscher potrebbe decidere di eliminarlo prima. La prossima settimana la decisione sui luoghi al chiuso.Lo speciale contiene due articoliUn ciclostile della struttura del commissario straordinario per l’emergenza ai tempi in cui era guidato da Domenico Arcuri ha sdoganato le mascherine fallate importate con la mediazione di Mario Benotti & C. A svelarlo, in uno degli ultimi verbali dell’inchiesta, che risale al 14 febbraio scorso, è stata una funzionaria dell’Agenzia delle Dogane, Manuela Barone, convocata dagli investigatori della Guardia di finanza come persona informata sui fatti poco prima di chiudere formalmente le indagini. Barone, che ora guida un reparto dell’Ufficio controlli antifrode, è stata, in piena pandemia, fino a febbraio 2021 addetta agli uffici sdoganamenti cargo. E ai magistrati ha spiegato di aver «sempre ritenuto» che nel periodo in cui la pandemia si era acuita, «ci fossero delle criticità nelle importazioni di materiale sanitario destinato al Commissario straordinario». Le importazioni, ha spiegato la funzionaria, «non seguivano le ordinarie procedure di sdoganamento, ma avevano un circuito preferenziale». Le pressioni arrivavano da Roma. Ma alle Dogane, ha spiegato la funzionaria, i controlli andavano avanti: «Noi fermavamo e controllavamo anche le spedizioni di merce per l’emergenza Covid, soprattutto mascherine e Dpi destinati alla Struttura commissariale. Nel corso dei controlli chiedevamo l’esibizione del certificato di conformità, precisamente la certificazione Ce». Cosa che avrebbe impedito di certo di far finire le mascherine non idonee negli ospedali, dove poi i magistrati le hanno dovute sequestrare. Il cortocircuito l’avrebbe innescato una circolare arrivata dagli uffici centrali delle Dogane: «A un certo punto», racconta Barone, arrivò un documento che attestava che una serie di produttori di mascherine e Dpi importati a favore della Struttura commissariale rispondevano ai requisiti previsti dalla normativa vigente. In ogni caso noi non abbiamo mai ricevuto le certificazioni Ce». Quel documento, insomma, è diventato un «lascia passare», così lo chiama Barone, per sdoganare tutta la merce. E successivamente, spiega ancora la funzionaria, «sono intervenute le procedure di svincolo diretto per le importazioni della Struttura commissariale». La funzionaria non nasconde che a suo parere «anche su queste procedure c’era qualche criticità, in quanto era palese che venisse utilizzata sempre la stessa dichiarazione di svincolo diretto a firma di Fabbrocini». Antonio Fabbrocini era in quel momento il responsabile unico del procedimento per la Struttura commissariale, accusato nell’inchiesta di frode nelle pubbliche forniture, falso e abuso d’ufficio. A quel punto si sarebbe innescato questo meccanismo: la dichiarazione di svincolo diretto veniva ciclostilata e «a penna», svela Barone, «di volta in volta veniva aggiunto il numero» della bolla d’accompagnamento della merce. Gli investigatori hanno mostrato alla funzionaria uno dei prodotti importati dalla Cina il cui certificato Ce «è risultato non valido». E lei ha spiegato che con l’arrivo della circolare che sdoganava a gogo le procedure erano cambiate. E qualora avessero riscontrato l’assenza delle certificazioni era diventato necessario «compilare 12 diverse tipologie di verbale». Disposizioni che, «di certo», afferma Barone, «hanno contribuito a rendere più articolate le procedure di controllo e di sdoganamento». È stata un’altra testimone, Maria Preiti, direttore dell’ufficio territoriale lombardo delle Dogane (competente su Malpensa), a confermare che erano saltate le verifiche: «Il numero dei controlli sulla merce importata dal Commissario straordinario è stato rimodulato consentendo, in assenza di altri parametri di rischio, il cosiddetto controllo automatizzato. Tale procedura prevede che l’operazione di sdoganamento venga processata telematicamente dal circuito senza l’effettuazione di ulteriori controlli né documentali né fisici da parte del singolo operatore». Bastava il parere del Cts, il comitato tecnico scientifico, per far passare le mascherine. E anche Preiti conferma il pressing esterno: «Come ufficio ricevevamo numerose sollecitazioni sia da soggetti pubblici che privati al fine di sdoganare celermente la merce». Ovviamente in quella fase della pandemia le mascherine erano ricercatissime. Ma questo meccanismo ha permesso l’invio agli ospedali di mascherine non conformi, che poi sono state sequestrate. Quando, però, i finanzieri chiedono alla funzionaria se ricordasse «di qualche privato imprenditore che si recava presso gli uffici per sollecitare lo sdoganamento», lei risponde: «Così a memoria non ricordo di privati che si presentavano nei nostri uffici». La memoria della testimone si fa sempre più labile. «È mai successo che lei o qualche funzionario dell’ufficio doganale di Malpensa abbia dialogato con Fabbrocini per rappresentargli, magari, le criticità emerse durante le operazioni di importazione?», le viene chiesto dai finanzieri. La risposta: «È probabile che io o i miei collaboratori abbiamo dialogato con Fabbrocini, ma in questo momento non so riferirvi circa il dettaglio di queste conversazioni tenuto conto del tempo trascorso». E le mascherine con la certificazione non in regola? «Ricordo, in generale», conclude la dirigente delle Dogane, «che la gran parte delle operazioni di importazione di Dpi e di mascherine nel periodo iniziale dell’emergenza era gestita in deroga, in base alla normativa emergenziale». Che, come dimostra la fornitura di mascherine non conformi agli ospedali di mezza Italia, è alla base del cortocircuito che ha permesso a Benotti & C. di sdoganare la loro fornitura miliardaria.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lasciapassare-per-le-mascherine-fallate-2657200371.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="speranza-tira-dritto-sulle-mascherine-a-scuola-bolzano-guida-la-rivolta" data-post-id="2657200371" data-published-at="1650660274" data-use-pagination="False"> Speranza tira dritto sulle mascherine a scuola Bolzano guida la rivolta Il dibattito sulle mascherine a scuola continua a rimanere acceso. Di giovedì la notizia dell’incontro tra il ministro della Salute, Roberto Speranza, e Arno Kompatscher, presidente della provincia autonoma di Bolzano. I due si erano visti per discutere della proposta dell’altoatesino di levare l’obbligo di indossare le mascherine nelle scuole. La risposta del ministro ha confermato le aspettative: Speranza intende mantenere i dispositivi nei luoghi chiusi e quindi anche nelle classi. L’intenzione di Kompatscher è quella di attendere la decisione definitiva del governo, ma è probabile che avvenga uno strappo. La provincia autonoma di Bolzano potrebbe decidere, come già fatto in altre occasioni, di eliminare l’obbligo e indicare così una «via altoatesina». A spingere in questa direzione ci sono le famiglie, gli studenti, le associazioni, ma anche la Lega. Una richiesta che sembra essere sostenuta anche dalle posizioni di Andrea Costa, sottosegretario alla Salute che si dice contrario al prolungamento dell’obbligo delle mascherine nelle scuole. «Soprattutto durante le ore di lezione, quando i bambini sono seduti al loro posto, penso che oggettivamente anche per loro si possa valutare di non metterle». Ha commentato. Infatti, con l’arrivo della bella stagione è possibile un continuo ricambio d’aria nelle aule e questo consentirebbe al virus di girare molto meno senza ricorrere alle mascherine che in estate rischiano di diventare soffocanti. L’ambiente arieggiato è infatti uno dei rimedi fondamentali nella lotta alla diffusione del Covid. Lo stesso sottosegretario ha partecipato al convegno «È ora di cambiare aria», organizzato a Civitanova Marche dal dipartimento nazionale Istruzione di Fratelli d’Italia che da tempo sostiene l’introduzione dei sistemi di ventilazione meccanica nelle scuole. «La ventilazione meccanica controllata è un modello di intervento che può essere esportato nelle scuole di tutta Italia» ha commentato Costa che ha infine sottolineato la «bontà» della tecnologia adottata dalla Regione Marche nelle aule scolastiche e si è anche pronunciato ancora una volta circa l’uso delle mascherine: «Gli alunni, una volta in classe, a mio avviso possono togliersela». Non è della stessa idea il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi che sembra essere orientato per il prolungamento dell’obbligo fino alla fine dell’anno scolastico a giugno. Anche il virologo Fabrizio Pregliasco raccomanda il loro utilizzo nelle scuole: «In termini precauzionali sicuramente sarebbe meglio che si continuasse anche a portare la mascherina in classe fino al termine dell’anno scolastico». Alcuni suoi colleghi però già nell’ormai lontano agosto 2020 non erano d’accordo. «La mascherina chirurgica può causare ai bambini, sulla base di esperienze di utilizzo: senso di calore, irritazione, difficoltà respiratorie, fastidio, difficoltà di concentrazione, distrazione e bassa accettazione della maschera stessa. Inoltre, l’efficacia delle stesse non è stata dimostrata durante il gioco e le attività fisiche». Diceva Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, condividendo su Facebook il documento ufficiale dell’Oms e dell’Unicef sull’uso delle mascherine per i bambini a scuola. «Portare la mascherina a scuola sarebbe auspicabile, ma è impossibile ipotizzare che ragazzini e bambini possano indossarla per cinque ore di seguito. Non ce la faccio neanche io. È importante che la portino all’ingresso e all’uscita da scuola», raccomandava Massimo Galli durante il programma di La 7 L’aria che tira alla fine dell’estate 2020. Sono passati due anni, i bambini continuano a tenere le mascherine a scuola, in aula e fuori, alcuni per otto ore. In alcuni casi per altro sono costretti ad indossare le Ffp2. Soprattutto se sono stati a stretto contatto con soggetti positivi. Le Ffp2 però, sono mascherine pensate e omologate solo per gli adulti e la loro capacità polmonare, e quelle che vendono «per bambini» non sono altro che taglie small dei dispositivi che usano i grandi. L’allarme è stato lanciato da Altroconsumo: «Non essendoci ancora studi che prendano in considerazione i parametri respiratori dei bambini, non è possibile stabilire con certezza l’effetto che un uso prolungato delle Ffp2 possa avere sui più giovani». Intanto il governo si riunirà la prossima settimana per decidere il da farsi. L’imperativo di Speranza rimane quello della cautela. «Sarà presa la prossima settimana la decisione finale sull’obbligo di utilizzare le mascherine al chiuso e dopo un confronto con la comunità scientifica». Ha dichiarato il ministro e, secondo alcune indiscrezioni degli ultimi giorni, le mascherine al chiuso potrebbero rimanere per treni, bus, cinema e nei luoghi di lavoro, anche se gli esperti hanno posizioni diverse sull’allentamento o meno di questa misura che è in scadenza il 30 aprile. Per quanto riguarda le scuole regna il silenzio assoluto, segno che il tema rimane divisivo e una decisione definitiva ancora deve esser presa.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)