2025-09-13
Sputtanato pure il canto partigiano: l’ideologia di sinistra divora sé stessa
Il momento di panico e terrore scatenato dal colpo di fucile che ha ucciso Charlie Kirk (Getty Images)
A prescindere dalle opinioni del carnefice, il motto sui bossoli è un simbolo della torsione liberal: è stato riesumato il concetto di «nemico interno», il «cattivo» che non si può tollerare. E che quindi va soppresso.Su uno dei proiettili «dedicati» a Charlie Kirk, l’assassino aveva inciso il ritornello di Bella ciao. Tyler Robinson ha compiuto così il destino tragico del motto partigiano - che forse i partigiani non avevano nemmeno mai intonato - poi trasformato in inno pop dei centri sociali à la page, con il successo della serie tv La casa de papel. È la cartina di tornasole della patologia che ha contagiato le democrazie liberali. Dove una parte non insignificante del fronte progressista ha maturato una specie di suo senso comune, in virtù del quale sposa la tesi del «Kirk se l’è cercata». Oppure, peggio, del «se l’è meritato», perché era un odiatore, omofobo, discriminatore, sostenitore del diritto di girare armati. Un reprobo da abbattere per ristabilire la giustizia. Magari, per mano di un «rinato», come pare fosse il killer: figlio di repubblicani, registrato quale elettore indipendente, ferocemente critico nei confronti delle opinioni della vittima. È la caricatura della resistenza, la parodia della guerra civile. Un tracollo culturale che la sua stravagante parabola non rende meno pericoloso.Il malcelato compiacimento per la ricomparsa dell’omicidio politico, ancorché casuale e privo della potenza rivoluzionaria che ha avuto la violenza nella storia, ha completato la metamorfosi del liberalismo. Il suo assorbimento definitivo da parte dell’ideologia liberal. Sarebbe sbagliato pensare che la brutalità e la sua giustificazione siano stalinismo in purezza. Semmai intrattengono, nel solco dell’ambiguità terminologica anglosassone, un legame essenziale con il liberalismo «liberal».Il giubilo degli «antifascisti», a fronte della grottesca esibizione dei loro slogan sulle munizioni di Robinson, ha raso al suolo quintali di retorica «petalosa», con i quali si cercava di mascherare l’agonia dell’era del consenso neoliberale, che è stata la cifra dei tre decenni seguiti alla fine della Guerra fredda. Consenso su cosa? Sul valore della democrazia, sulla pari dignità degli avversari, sulla facoltà di esprimersi senza timori e restrizioni. Se ora è pensabile che un uomo debba essere punito con la morte per le sue idee, significa che il liberalismo buono, quello pluralista, è stato fagocitato dal liberalismo cattivo, assolutista - liberal, appunto. Quello che ha alimentato la cosiddetta politica delle identità: il credo della sinistra che, al proletariato, ha sostituito le minoranze etniche e sessuali.Era un esito previsto o temuto dagli studiosi più occhiuti. Il giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde identificò il dilemma che affligge la struttura dello Stato liberale secolarizzato: se, per essere fedele alla sua neutralità, esso rifiuta di instillare nei cittadini la «sostanza morale» necessaria a garantirgli almeno un livello minimo di omogeneità, si sgretola; ma se prova a imporla con mezzi coercitivi, cessa di essere liberale. A quanto pare, l’età del consenso neoliberale si è esaurita per la prima ragione: carenza di spina dorsale e inesorabile sfilacciamento, accelerato dall’utopia del globalismo e dalla destabilizzante importazione di masse di immigrati. Il filosofo americano Patrick J. Deneen ha posto l’accento su altre peculiarità autodistruttive del liberalismo: l’aumento delle diseguaglianze di reddito, l’atomizzazione, il nichilismo, la crescita di apparati burocratici elefantiaci.Quale che sia la diagnosi corretta (tutte colgono degli elementi di verità), una cosa è sicura: si è rivelata illusoria l’aspirazione di stemperare i conflitti, in nome di precetti universali presentati sotto la veste dell’oggettività. Lo slogan del neoliberalismo è il thatcheriano «there is no alternative», non c’è alternativa: è l’economia, il sapere tecnico, a dettare le regole. Non hanno più senso le dispute sui principi. Il populismo e poi il sovranismo sono stati una reazione da destra a tale spoliticizzazione, in virtù della quale i popoli sono stati depauperati a colpi di austerità. Ma la sinistra postmarxista rifletteva da anni sulle strategie per recuperare l’autonomia della politica: Chantal Mouffe, per citare un’autrice, ha saccheggiato le riflessioni di Carl Schmitt - un uomo che rischiò di essere processato a Norimberga - sulla contrapposizione amico-nemico.Le élite neoliberali sanno che il terreno sta scivolando sotto i loro piedi. Perciò hanno tentato di rianimare il politico - la cui essenza sta proprio nella possibilità del conflitto, anche estremo, tra prospettive inconciliabili, non sottoposte alla tirannia del paradigma tecnico - inventando un nemico esterno. L’esempio perfetto è l’Unione europea con lo spauracchio di Mosca. Ma intanto le nostre società, deluse e turbolente, hanno riscoperto il nemico interno. Qui sta il singolare nesso con il liberalismo.Già: il «cattivo maestro», stavolta, non è Schmitt, bensì il liberale Karl Popper, con il suo paradosso della tolleranza. Nel celebre La società aperta e i suoi nemici (1945), il pensatore austriaco, muovendo da preoccupazioni simili a quelle di Böckenförde, sostenne che, per conservare l’ordine liberale, non si possono tollerare gli intolleranti. Oggi, Kirk e quelli come lui sono, agli occhi dei progressisti, esattamente quegli intolleranti che non vanno tollerati. Popper non ne propugnava l’eliminazione fisica; nondimeno, evocò la «soppressione» di alcune posizioni «anche con la forza».Ecco: c’è più Popper che Schmitt nella convinzione, da cui prende le mosse chi pubblica le foto a testa in giù del povero attivista ucciso nello Utah, che i conservatori, gli antiabortisti, i patrioti, i fautori della difesa dei confini, non debbano godere della stessa considerazione umana degli altri. Chi semina vento deve raccogliere tempesta, vanno dicendo.Charlie Kirk lanciava una sfida: prove me wrong. Dimostratemi che sbaglio. E per farlo, guardatemi, parlatemi, concedendomi dunque la medesima dignità che accordate ai vostri simili. Invece l’internazionale dem, l’ideologia liberal, rianimano il confronto serrato solo per puntare a una nuova neutralizzazione: a un massimo di ostilità politica, culminante magari nell’assassinio del nemico, deve far seguito un massimo di uniformità. Un perimetro nel quale sono autorizzate a circolare soltanto certe tesi: le loro. Non è un caso che Schmitt sia arrivato a denunciare le insidie dell’inimicizia assoluta mentre esaminava le caratteristiche della lotta partigiana. «O bella ciao…». Il passaggio dal nazifascismo a Netflix è quasi comico; ma la morte e il diletto che suscita nei «buoni» sono reali. È la seconda delle esiziali alternative di Böckenförde: dopo il funerale dello Stato liberale, arriva il battesimo totalitario dello Stato liberal. Sulle note di Bella ciao.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson