2025-09-12
Il coro degli intellò: in fondo se l’è cercata...
Alan Friedman, Cathy Latorre e Stephen King (Ansa)
Per alcuni è colpa delle armi, per altri delle sue posizioni: nessuno menziona l’ideologia dietro il delitto. «Cambiare rotta» senza ipocrisie: foto a testa in giù e scritta «-1». Meloni replica: «Non ci facciamo intimidire». Metsola nega il minuto di silenzio a Strasburgo.la sua missione era proprio questa. È morto, lo ha notato Antonio Socci, nello stesso giorno in cui nelle chiese italiane risuonava questo brano del Vangelo: «Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli». E in effetti ieri, non appena hanno appreso due sommarie informazioni dalla Rete, gli odiatori si sono messi in moto. Lo hanno insultato e vituperato, hanno scritto falsità sul suo conto, non hanno avuto nemmeno un granello di pietà per un giovane uomo di 31 anni con due figli piccoli che ora restano in braccio alla moglie affranta. Charlie Kirk è stato ucciso e arrivano a un passo dallo scrivere che se l'è cercata («Chi semina vento raccoglie tempesta», ha commentato perfino uno come Piergiorgio Odifreddi), dal dire che se l'è meritata la pallottola che gli ha trapassato la gola. Stephen King, un intellettuale da cui ci si aspetterebbe un filo di sensibilità ma che è evidentemente accecato dalla fede politica democratica, ha subito voluto ridurre l’omicidio a un problema di diffusione eccessiva delle armi, e senza conoscere l’identità del killer lo ha liquidato come mentalmente disturbato. Immaginiamo che se fosse stato ucciso un attivista di sinistra si sarebbe parlato di cultura dell’odio diffusa da Trump e di fascismo risorgente. Cosa che, in parte, hanno fatto fior di opinionisti di casa nostra. «Charlie Kirk, il propagandista Maga ucciso ieri, era un amico di Trump. Sostenne la violenza del 6 gennaio 2021. Disse che le donne nere non avevano diritto al lavoro, che i gay andavano uccisi, e fece propaganda pro-Putin. La violenza in America cresce grazie a gente come lui», ha scritto Alan Friedman a cadavere ancora caldo. E purtroppo i toni dei media - più quelli italiani di quelli statunitensi - non è stato poi molto diverso. Mentre Charlie era ancora in agonia, il TgCom lo dipingeva come un negazionista climatico e un propagandista anti Covid (che cosa voglia dire quest’ultima definizione è difficile da capire, ma tant’è). Repubblica ha utilizzato più o meno le stesse parole. Roberto Saviano è stato più sottile. Ha condannato il gesto violento, come no: «Kirk era considerato un provocatore: provocava attraverso il dialogo», ha scritto. «Ma le parole sono parole e la violenza è violenza: pensare che il suo assassinio possa proteggere dalla propaganda o dalla manipolazione che lui stesso diffondeva è un errore. Non esistono omicidi che difendono idee: il sangue versato indebolisce sempre la democrazia».Poi, però, si è infilato nella retorica del cui prodest: il problema, sembra dire, è che questa tragedia porterà consensi a Trump. «Charlie Kirk, 31 anni, attivista conservatore statunitense, sostenitore di Trump e figura di punta del movimento giovanile Maga, è stato ucciso in un campus universitario nello Utah con un singolo colpo al collo sparato da circa 200 metri, mentre partecipava a un dibattito libero con lo slogan “Provate a smentirmi”», ha scritto Saviano. «Il suo assassinio rischia di diventare, per Trump, I’incendio del Reichstag del 1933: non solo la fine di una vita, ma la miccia per una trasformazione radicale dell’equilibrio politico e sociale. Nel 1933 un incendio devastò il Reichstag, il parlamento tedesco», continua l’autore di Gomorra. «Hitler sfruttò quell’episodio per proclamare lo stato di emergenza, sospendere diritti fondamentali e mettere a tacere gli oppositori politici. Fu il pretesto che spianò la strada alla dittatura nazista. Trump è debole, sta fallendo in politica interna ed estera, è politicamente instabile e per questo pericolosissimo». Ma certo, non bisogna preoccuparsi del fatto che un uomo di saldi principi, un sostenitore del confronto e del dibattito è stato ucciso per le sue idee. Bisogna invece pensare che la sua morte porterà acqua alla destra cattiva, e spaventarsi. Siamo a un passo dall’affermare che «ha stato Trump». La tesi prevalente, in ogni caso, è che la colpa di tutto è delle armi che circolano in quantità eccessiva negli Usa. «Le armi non sono un gioco né possono essere sdoganate credendo che mai possano essere usate contro di noi», ha scritto l’avvocata Cathy La Torre, una che si fa vanto di difendere i diritti. «Le armi feriscono e uccidono, anche quando meno ce lo aspettiamo. Che questo omicidio serva ad aprire una volta per tutte negli Usa (ma non solo) una riflessione su questi strumenti di morte». L’argomento è sottile, e in realtà viene utilizzato per dire più o meno questo: la colpa è delle armi, Kirk difendeva la libertà di possedere armi (cosa del resto garantita dalla Costituzione americana), dunque è stato responsabile della sua stessa morte. Mai nessuno che tiri in ballo l’ideologia, l’odio che il fronte progressista monta da anni nei confronti di chiunque abbia idee diverse. Anzi, nel dibattito italiano si accetta una sola verità, e cioè che è la destra a spargere odio, dunque se muore qualcuno di destra la colpa è sua, perché egli raccoglie ciò che ha seminato. A ben vedere, queste tesi limacciose e vigliacche sono perfino peggiori dell’odio esplicito, che - per quanto indegno - almeno è manifestato con chiarezza. Ad esempio quello delle organizzazioni studentesche di sinistra Osa e Cambiare rotta, che su Instagram hanno pubblicato una vomitevole immagine di Kirk a testa in giù con il macabro commento «-1». Sono dei poveri imbecilli che da adulti (si spera) si pentiranno di ciò che hanno fatto guardandosi allo specchio («Questi sono i sedicenti antifascisti. Questo è il clima, ormai, anche in Italia. Non ci facciamo intimidire», ha commentato Giorgia Meloni). Però, al contempo, sono evidentemente violenti e disturbati. Mentre i politici, i commentatori raffinati, quelli che fingono di condannare ma poi insinuano che Charlie si sia costruito l’infausto destino, beh, quelli sono più infidi e in fondo più pericolosi. Sono i veri spargitori di odio, i veri intolleranti. Non li si può certo accusare di essere i mandanti morali di un omicidio, ma di sicuro hanno contribuito negli anni a creare una feroce divisione sociale, hanno fomentato un clima di disprezzo dell’avversario che esiste e fa danni a prescindere da Kirk. Esibiscono, questi finti buoni, un doppiopesisimo squallido che viene ribadito ogni giorno. Tipo quello della presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che ha respinto la richiesta di un minuto di silenzio in Aula per la morte di Kirk (suscitando le proteste dei conservatori, che le nostre agenzie di stampa hanno immediatamente bollato come «estrema destra»).Il dramma è che purtroppo non c’è nulla di inedito. La morte di Charlie Kirk, come spesso accade con i martiri, ha solo portato la luce disvelante della verità. Il modo in cui questo assassinio è stato raccontato, le parole scelte, le ipocrisie, le finte condanne, i distinguo e le insinuazioni pelose mostrano quanto sia pervasivo il cosiddetto pensiero unico. Nemmeno la morte di un uomo onesto, di cui chiaramente si possono non condividere le idee, suscita un sincero sdegno. Si cerca di infangarlo anche da morto. Si tenta di rosicchiare pezzetti della sua credibilità per sminuirlo e cancellare il suo messaggio. Sì, rosicchiare: come fanno i ratti.
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