2022-12-27
«Lancet» ora smonta l’antivirale Merck. Ma noi ne siamo pieni
Secondo uno studio, il molnupiravir non riduce morti e ricoveri tra i vaccinati ad alto rischio. L’Italia ci ha già investito 32 milioni.Chi muore di Covid, in Italia? «Persone fragili e vaccinate», diceva Andrea Crisanti alla Verità, lo scorso luglio: plurinoculati, «che non rispondono bene nemmeno al booster». I bollettini più recenti dell’Iss mostrano che, tra over 60 e over 80, l’incidenza dei decessi è superiore tra chi ha rifiutato di porgere il braccio. Eppure, specie tra gli ultraottantenni, a essere messi peggio, subito dopo i renitenti, sono i quadridosati da oltre 120 giorni. E allora, in cosa potrebbero sperare costoro, qualora venissero a contatto con il coronavirus? Beh, le cure esistono. Peccato che, mentre le terapie precoci a base di antinfiammatori, come definitivamente provato dalle ricerche di Giuseppe Remuzzi, funzionano alla grande, le pillole vendute da Big pharma fanno spesso cilecca. Lo certifica uno studio di Lancet sul molnupiravir, l’antivirale commercializzato dalla multinazionale tedesca Merck. Il farmaco, scrivono gli autori dell’indagine, finanziata dal National institute for health and care research del Regno Unito, «non ha ridotto la frequenza del Covid-19 associato a ospedalizzazioni e morti tra gli adulti vaccinati ad alto rischio». I trial precedenti, in effetti, erano stati condotti su soggetti che non avevano ricevuto la profilassi. E già in quella fase, il preparato non aveva esattamente brillato: a novembre 2021, la stessa azienda produttrice aveva dovuto comunicare che il rischio relativo di finire in corsia o di rimetterci le penne, per i pazienti trattati con molnupiravir, risultava diminuito di un deludente 30%. Nella migliore delle ipotesi, stando all’analisi pubblicata da Lancet, il medicinale ha garantito «un periodo ridotto per arrivare alla guarigione completa» e al superamento dei «principali sintomi individuali»: la durata media della malattia è passata da 15 a nove giorni. È il premio di consolazione. Il test controllato randomizzato è stato svolto con una metodologia impeccabile: ha coinvolto più di 25.000 partecipanti maggiorenni, che avevano un’infezione da Covid confermata e che accusavano malesseri da massimo cinque giorni. Le somministrazioni sono avvenute, Oltremanica, tra l’8 dicembre 2021 e il 27 aprile 2022, durante il picco di Omicron. Il molnupiravir doveva essere la panacea e invece è un pannicello, almeno per chi si è già sottoposto alle punturine e, nondimeno, rimane esposto alle conseguenze gravi del Covid. Ma il nostro Paese si era precipitato a fare incetta di compresse. Un anno fa, il ministero della Salute, retto da Roberto Speranza, tramite la struttura commissariale di Francesco Paolo Figliuolo, aveva prenotato 50.000 cicli terapeutici (per la precisione, 51.840), distribuiti al modico prezzo di 610 euro l’uno. Totale: quasi 32 milioni di euro impegnati per una cura che cura così e così. E non ci scordiamo che con l’attuale legge di Bilancio, il cui testo, pressoché blindato, è in votazione al Senato, viene incrementato di 650 milioni il fondo per acquistare vaccini e farmaci per la cura del Covid. Sì, i famigerati antivirali. Peraltro - le stime erano di una ricercatrice americana, citata da Report e Startmag - i fabbricanti hanno incassato un bel plusvalore dalla vendita delle pillole. Per la Merck, che negli Stati Uniti ha smerciato il molnupiravir al prezzo di 700 dollari a trattamento, il costo della produzione non superava i 20 dollari. Un ricarico di 35 volte. Intanto, gli utili della società, esaminati su Dataroom da Milena Gabanelli, erano lievitati dai 9,8 miliardi di dollari del 2019 ai 13 del 2021. La Merck aveva annunciato ricavi per 952 milioni di dollari, solo grazie alla pillola anti Covid. Un autentico successo: mica sono tutti bravi a fare lauti affari con un pastrocchio. Nemmeno il prodotto della Pfizer, il Paxlovid, ha avuto una genesi semplicissima. Il Journal of the american medical association, a fine ottobre, aveva conteggiato un 30% di episodi di «rebound»: parliamo di quei casi - tipo i coniugi Biden e Anthony Fauci - di soggetti trattati con il medicinale, i quali, dopo essersi negativizzati, hanno manifestato una recidiva del Covid. Alla multinazionale americana, comunque, il business della pillolina è valso attorno ai 10 miliardi di dollari. Le feste non sono il periodo più indicato per pensare male e fare peccato. È impossibile, però, schivare fastidiosi pruriti e inconfessabili sospetti. Come mai, quando si trattava di intervenire precocemente - e in mancanza del salvagente rappresentato dai vaccini - su anziani e malati investiti dalle prime ondate di coronavirus, lo Stato era tanto schizzinoso verso le terapie domiciliari con gli antinfiammatori? Come mai ci sono voluti mesi per autorizzare - e senza alcuna enfasi mediatica - l’impiego di anakinra nei pazienti con polmonite ingravescente, benché quell’immunomodulante potesse prevenire un buon numero di decessi? E perché, al contrario, ci siamo affrettati a comprare, tra squilli di fanfara, dei medicinali nuovi, fidandoci ciecamente delle case farmaceutiche? Per poi scoprire che funzionano peggio di quanto ci era stato anticipato? Siamo troppo fessi noi? O sono troppo furbi «loro»?