2020-01-07
L’ammuina di Giggino per non irritare i 20 morosi del M5s che possono far male
Giovedì riunirà i parlamentari grillini per parlare delle mancate restituzioni di parte dello stipendio. Ma senza incentivare fughe.Come nelle migliori trattorie, giovedì sera il piatto forte sarà quello fuori menu. E sarà un po' indigesto. Luigi Di Maio riunisce a Roma (appuntamento per le 21) i gruppi parlamentari del Movimento 5 stelle e sul tavolo verrà gettato anche il problema delle restituzioni di parte dello stipendio da deputato: una regola aurea dei grillini, che fa parte del Dna pentastellato fin dalle origini, ma che al momento non risulta rispettata da una ventina tra onorevoli e senatori. Il tema è a doppio taglio, visto che chi non ottempera a questi obblighi, che valgono più o meno 2.300 euro al mese e fanno scendere lo stipendio netto sui 5.000-6.000 euro (a seconda del ramo del Parlamento), a norma di regolamento rischia l'espulsione. Ma in un momento in cui M5s sta perdendo «portavoce», Beppe Grillo e Davide Casaleggio sanno benissimo che qualche moroso potrebbe prendere la palla al balzo per sistemarsi al gruppo misto. E indebolire ulteriormente la maggioranza di governo, specie a Palazzo Madama, dove i margini di vantaggio sono più risicati. Dunque, la questione delle restituzioni mancate irrompe nel già complicato momento grillino, con la leadership del capo politico Di Maio sempre in bilico e il problema di contenere i malumori di chi proprio non digerisce il governo con il Pd e l'appiattimento sulla linea ultraeuropeista, impersonata dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. Dal sito tirendiconto.it dei 5 stelle è possibile controllare chi è in regola con la tassa Rousseau (300 euro al mese per usufruire dei servizi della piattaforma sviluppata dalla Casaleggio associati) e con i 2.000 euro da destinare poi a opere sociali. Tenendo presente che chiunque dei deputati può aver saldato sotto Natale, tra coloro che nel 2019 non avrebbero versato un euro ci sono i deputati Nicola Acunzio, Nadia Aprile, Santi Cappellani, Flora Frate, Paolo Lattanzio, Paolo Nico Romano, Andrea Vallascas. Ai quali si possono aggiungere anche Andrea Colletti (in regola fino a febbraio) e Felice Mariani (si è fermato a marzo). Se si passa al Senato, risultano non pervenuti in tutto il 2019 i rimborsi di Cristiano Anastasi, Vittoria Deledda Bogo, Alfonso Ciampolillo, Luigi Di Marzio e Fabio Di Micco. Mentre non versano nulla da febbraio Vincenzo Garruti e Pietro Lorefice. Parlando con i capi del Movimento, si coglie un certo imbarazzo, che soprattutto diventa stupore su alcuni deputati considerati come molto attivi e quasi «modello», come Paolo Romano o Marta Grande, che però sarebbe in ritardo di sole tre mensilità e i cui colleghi sono pronti a giurare che si starà mettendo in regola. Altri, meno attivi e poco soddisfatti della gestione Di Maio, come il senatore Luigi Di Marzio, starebbero in realtà aspettando solo la scusa per passare armi e bagagli al Misto. Ed è anche per questo che giovedì sera ci si aspetta una strigliata dei capi, ma anche una certa ammuina. Va detto che il sistema inventato dalle intelligenze artificiali della Casaleggio è leggermente macchinoso e si va a innestare su un altro piccolo monumento alla complicazione che è la retribuzione del deputato. In media, un onorevole incassa ogni mese 5.000 euro netti, oltre ad altri 3.600 euro per collaboratori e manifestazioni e ulteriori 3.600 euro per affitti a Roma e diaria. Ai grillini tocca l'obbligo di restituire 2.000 euro al Movimento, più 300 euro per Rousseau. Il sistema dei rendiconti è decisamente complicato (e contestato dalla base) e prima dell'espulsione per morosità si rischiano multe salate. Tra i dissidenti, alcuni fanno notare che versare tutti quei soldi a conti bancari intestati direttamente a Di Maio e ai due capigruppo potrebbe essere «di dubbia legittimità». Vero, ma dai vertici di M5s rispondono che se il conto non piaceva, lo si poteva contestare 20 mesi fa, a inizio legislatura. E non svegliarsi adesso con i cavilli. In ogni caso, l'ordine del giorno per giovedì sera è abbastanza etereo. Nell'aula dei gruppi della Camera si parlerà di «Confronto sulla situazione politica; metodo per contribuire alla scrittura del cronoprogramma di Governo» e «proposte per migliorare il dialogo tra i gruppi delle due Camere». Vista la prevedibile presenza di oltre 300 deputati, in calce all'ordine del giorno si raccomanda di «contingentare i tempi dei propri interventi in circa 3 minuti». Chi invece ha versato tutti i soldi che doveva è il senatore Gianluigi Paragone, espulso da Di Maio per non aver votato la legge di Stabilità confezionata da Gualtieri nella più rigida ortodossia con i desiderata di Bruxelles. Paragone ieri ha sfidato il ministro degli Esteri a sottoporre al voto degli iscritti la sua cacciata e in un video realizzato per i social, codice etico di M5s alla mano, ha dimostrato che il programma elettorale del Movimento (che contiene molte critiche all'Ue) fa premio sul programma di governo e che l'obbligo di votare la fiducia riguarda un premier «espresso dal Movimento», mentre «Conte, per sua stessa ammissione, non si ritiene espresso dai 5 stelle». La faccenda finirà in tribunale.
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