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2021-06-29
Dopo il caos vaccini, quello sul green pass
Vita quotidiana a Singapore (Getty Images)
A sentire le Cassandre, la variante delta ad agosto sarà responsabile del 90% dei contagi in Europa. In Italia, secondo l'Iss, è solo allo 0,72% e la situazione nei Paesi più colpiti non è catastrofica. In questo clima Sileri propone di rimodulare il green pass e alimenta il caos. Singapore intanto abbandona lo stato d'emergenza: «Con il virus si può convivere».Le stanno provando tutte, adesso agitano lo spauracchio della variante delta per tentare di convincere chi non vuole il vaccino o quanti pensano di saltare la seconda dose, perché hanno prenotato la vacanza al mare. A più di 15 mesi dall'inizio del primo lockdown, la strategia del terrore continua ad animare i virologi da talk show, il nostro ministero della Salute ma anche i giornaloni che ormai titolano e scrivono in automatico, terrorizzati che un po' di sana normalità li costringa a occuparsi di cose più utili per gli italiani. Abbiamo appena iniziato a godere del fine restrizioni, con il Paese bianco innevato, e subito ci hanno prospettato possibili zone rosse «per impedire la diffusione dei cluster», ha detto Franco Locatelli, coordinatore del Cts, qualora dovesse dilagare questa variante indiana, ribattezzata delta.
Ieri ci ha provato il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, a gelare l'entusiasmo dei vacanzieri. «È verosimile che la variante delta ci costringerà a rimodulare il green pass, rilasciandolo dopo la seconda dose di vaccino: ma è presto per dirlo, aspettiamo ancora i dati di una o due settimane», ha gufato il vice di Speranza. Tanti, soprattutto i giovani che avranno optato per il vaccino solo per potersi muovere in santa pace, che cosa possono pensare di questi continui dietrofront? La nuova mutazione del Covid, almeno il 10% di tutti i nuovi casi negli Stati Uniti, dal 9% al 10% in Francia, oltre il 60% nel Regno Unito (che ieri registrava 22.868 contagi, il numero più alto dallo scorso 30 gennaio ma solo tre decessi), viene presentata come un pericolo enorme. Poi vai e vedere i numeri in Italia e ti accorgi del voluto catastrofismo.
Partiamo dal terzo rapporto dell'Istituto superiore della sanità, in data 25 giugno. Si legge che l'inglese, o alfa, rimane la più diffusa in Italia con una percentuale del 74,9% sul numero di segnalazioni di casi di infezione causati da varianti, ed è stata riscontrata in 23.345 individui, mentre la delta e il suo sottotipo kappa rappresentano lo 0,72%, con 272 casi segnalati al sistema di sorveglianza. L'Iss fa presente che la mutazione della proteina Spike B.1.617.1/2 (questo è il nome del cluster filogenetico) che arriva dall'India «è stata introdotta di recente nel Sistema di sorveglianza integrato Covid-19», quindi è possibile che sul territorio italiano siano presenti più casi appartenenti a tale lignaggio. Sicuramente stanno aumentando nel nostro Paese, se il 19 maggio erano lo 0,02 delle varianti e lo 0,32% al 6 giugno, ma non basta per lanciare l'allarme di un'invasione indiana.
Lo scenario prospettato, invece, è di una delta che entro fine agosto sarà responsabile del 90% dei contagi in Europa. L'ha detto il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, si sgolano le Cassandre in camice bianco, mentre l'Ecdc si è limitato a descrivere alcuni scenari possibili, l'indiana che diventerà prevalente rispetto all'inglese, dopo aver detto chiaramente che «è attualmente molto bassa» la proporzione delle varianti delta e kappa nei Paesi Ue e dello spazio economico europeo. Gli esperti dell'agenzia, con sede a Stoccolma, riportano le stime del Regno Unito che indicano come la delta sia più trasmissibile del 40-60% rispetto all'alfa, e che «ci può essere un rischio più elevato di ospedalizzazione».
Riguardo ai ricoveri, l'Ecdc segnala che la percentuale è stata del 3,3% per pazienti di età compresa tra 40-49 anni ed è quasi raddoppiata con l'avanzare degli anni, raggiungendo il 25,3% per gli anziani della fascia 70-79 e il 36,2% per gli ultraottantenni. Altro che rischio per i giovani, come continuano a ripetere in Italia, non sono affatto una fascia più vulnerabile. Certo, stando alle dichiarazioni dell'Oms ogni variante avrebbe conseguenze catastrofiche. Lo diceva quando iniziò a circolare l'inglese, nel gennaio scorso: «Il nuovo ceppo potrebbe gradualmente sostituire altri», lanciò l'allarme il direttore europeo dell'agenzia, Hans Kluge. La diffusione spaventava anche perché il sequenziamento non era gestito allo stesso modo in tutti gli Stati e pure adesso questa è la maggiore preoccupazione, tant'è che l'Ecdc dichiara di «non essere in grado di valutare il rischio a livello nazionale, a causa di variazioni significative della capacità di rilevamento e strategie di sperimentazione tra i Paesi». Raccomanda la «sorveglianza genomica» delle varianti in circolazione, studiando la composizione genetica dei campioni virali ottenuti tramite tamponi, così pure l'emergere di nuove varianti. È necessario sequenziare il più possibile, mentre l'Italia ha contribuito solo con circa 20.000 genomi virali alla banca dati internazionale Gisaid.
Ci sono «anche altre varianti delta plus con altre mutazioni», ha detto mercoledì il governo indiano. L'Ecdc ricorda che finora solo pochi studi hanno esaminato l'efficacia dei vaccini Comirnaty e Vaxzevria contro la variante delta e che «le stime sull'efficacia del vaccino devono essere interpretate con cautela, perché è ancora limitato il tempo di monitoraggio dopo il completamento della vaccinazione». La domanda chiave rimane se i vaccini possono prevenire ricoveri e decessi. Al quotidiano The Telegraph, l'oggi ex ministro alla Sanità inglese, Matt Hancock, pochi giorni fa affermava che il legame tra casi e ricoveri è stato «troncato» ma «non completamente interrotto» dal siero anti Covid.
Singapore dice addio all’emergenza «Con il virus si dovrà convivere»
Addio agli obiettivi di trasmissione zero. Niente quarantena per i turisti. Chi è entrato in contatto con positivi non verrà isolato. Fine delle comunicazioni quotidiane sul numero dei casi giornalieri. Ma potrebbe essere necessario fare i test per entrare in un negozio o andare al lavoro.
È la «nuova normalità» di Singapore, uno dei Paesi che meglio ha contrastato il Covid-19 (36 morti in totale, 20-30 casi di positività registrati ogni giorno) e che in questi giorni ha deciso di cambiare radicalmente la gestione della pandemia. «Convivere con il Covid-19» è la sintesi del nuovo approccio di Singapore, che ha deciso di trattare il coronavirus come un'influenza, ossia come una malattia endemica, che si configura quando «l'agente responsabile è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato ma uniformemente distribuito nel tempo», come spiegato l'Istituto superiore di sanità sul portale Epicentro.
«La cattiva notizia è che il Covid-19 potrebbe non scomparire mai. Quella buona è che è possibile vivere normalmente con esso in mezzo a noi», hanno scritto il ministro del Commercio, Gan Kim Yong, quello delle Finanze, Lawrence Wong, e quello della Salute, Ong Ye Kung, in un editoriale sullo Straits Times. «Significa che il virus continuerà a mutare, e quindi a sopravvivere nella nostra comunità».
I tre hanno avanzato la proposta alla task force interministeriale Covid-19 di Singapore. «Non possiamo sradicarla, ma possiamo trasformare la pandemia in qualcosa di molto meno aggressivo, come l'influenza o la varicella, e andare avanti con le nostre vite», hanno scritto, sottolineando l'importanza dei test rapidi e diffusi ovunque - aeroporti, porti, uffici, centri commerciali, ospedali e scuole - e della vaccinazione: Singapore dovrebbe raggiungere l'obiettivo di due terzi della popolazione completamente vaccinata entro i primi di agosto.
Singapore vuole riaprire e riaprirsi, riprendere i grandi eventi e far viaggiare il turismo. E per farlo i tre puntano anche su un netto cambio di passo nella comunicazione. Il numero di casi giornalieri di positività non verranno più diffusi. «Invece di monitorare il numero di contagi da Covid-19 ogni giorno, ci concentreremo sui risultati: quanti si ammalano gravemente, quanti sono in terapia intensiva, quanti hanno bisogno di ossigeno e di essere intubati, e così via», hanno spiegato.
La nuova strategia di Singapore ha suscitato molte curiosità dai Paesi vicini. Un esempio è l'Australia. Il sito News.com.au, di proprietà del magnate Rupert Murdoch, ha riportato la notizia sottolineato come la road map dello Stato che conta 5,7 milioni, poco più di Sidney, sia in netto contrasto con la strategia del governo di Canberra guidato da Scott Morrison, secondo cui aprire le frontiere pone un rischio enorme. «Una volta che lo fai entrare, non puoi farlo uscire», ha spiegato il primo ministro australiano. «Se seguiamo ciò che suggeriscono gli altri, dobbiamo accettare che ci siano 5.000 casi al giorno. Non credo che gli australiani sarebbero felici», ha aggiunto. Canberra, lavorando a «una tabella di marcia per andare verso una nuova normalità», ha spiegato ancora.
Poi quello che suona come un auspicio: «La storia ha dimostrato che ogni pandemia farà il suo corso». Ed è proprio in queste parole che sta la differenza tra la strategia di Singapore e quella dell'Australia, tra chi ha deciso di convivere con il Covid-19 e riaprire da una parte, e chi, dall'altra, aspetta.
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I dati dell'Iss e la situazione dei Paesi più colpiti non giustificano l'allarmismo. Sileri crea il panico sul green pass da rimodulare.Abbandonato l'obiettivo trasmissione zero. A Singapore il Covid verrà trattato come un'influenza.Lo speciale contiene due articoli.A sentire le Cassandre, la variante delta ad agosto sarà responsabile del 90% dei contagi in Europa. In Italia, secondo l'Iss, è solo allo 0,72% e la situazione nei Paesi più colpiti non è catastrofica. In questo clima Sileri propone di rimodulare il green pass e alimenta il caos. Singapore intanto abbandona lo stato d'emergenza: «Con il virus si può convivere».Le stanno provando tutte, adesso agitano lo spauracchio della variante delta per tentare di convincere chi non vuole il vaccino o quanti pensano di saltare la seconda dose, perché hanno prenotato la vacanza al mare. A più di 15 mesi dall'inizio del primo lockdown, la strategia del terrore continua ad animare i virologi da talk show, il nostro ministero della Salute ma anche i giornaloni che ormai titolano e scrivono in automatico, terrorizzati che un po' di sana normalità li costringa a occuparsi di cose più utili per gli italiani. Abbiamo appena iniziato a godere del fine restrizioni, con il Paese bianco innevato, e subito ci hanno prospettato possibili zone rosse «per impedire la diffusione dei cluster», ha detto Franco Locatelli, coordinatore del Cts, qualora dovesse dilagare questa variante indiana, ribattezzata delta. Ieri ci ha provato il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, a gelare l'entusiasmo dei vacanzieri. «È verosimile che la variante delta ci costringerà a rimodulare il green pass, rilasciandolo dopo la seconda dose di vaccino: ma è presto per dirlo, aspettiamo ancora i dati di una o due settimane», ha gufato il vice di Speranza. Tanti, soprattutto i giovani che avranno optato per il vaccino solo per potersi muovere in santa pace, che cosa possono pensare di questi continui dietrofront? La nuova mutazione del Covid, almeno il 10% di tutti i nuovi casi negli Stati Uniti, dal 9% al 10% in Francia, oltre il 60% nel Regno Unito (che ieri registrava 22.868 contagi, il numero più alto dallo scorso 30 gennaio ma solo tre decessi), viene presentata come un pericolo enorme. Poi vai e vedere i numeri in Italia e ti accorgi del voluto catastrofismo. Partiamo dal terzo rapporto dell'Istituto superiore della sanità, in data 25 giugno. Si legge che l'inglese, o alfa, rimane la più diffusa in Italia con una percentuale del 74,9% sul numero di segnalazioni di casi di infezione causati da varianti, ed è stata riscontrata in 23.345 individui, mentre la delta e il suo sottotipo kappa rappresentano lo 0,72%, con 272 casi segnalati al sistema di sorveglianza. L'Iss fa presente che la mutazione della proteina Spike B.1.617.1/2 (questo è il nome del cluster filogenetico) che arriva dall'India «è stata introdotta di recente nel Sistema di sorveglianza integrato Covid-19», quindi è possibile che sul territorio italiano siano presenti più casi appartenenti a tale lignaggio. Sicuramente stanno aumentando nel nostro Paese, se il 19 maggio erano lo 0,02 delle varianti e lo 0,32% al 6 giugno, ma non basta per lanciare l'allarme di un'invasione indiana. Lo scenario prospettato, invece, è di una delta che entro fine agosto sarà responsabile del 90% dei contagi in Europa. L'ha detto il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, si sgolano le Cassandre in camice bianco, mentre l'Ecdc si è limitato a descrivere alcuni scenari possibili, l'indiana che diventerà prevalente rispetto all'inglese, dopo aver detto chiaramente che «è attualmente molto bassa» la proporzione delle varianti delta e kappa nei Paesi Ue e dello spazio economico europeo. Gli esperti dell'agenzia, con sede a Stoccolma, riportano le stime del Regno Unito che indicano come la delta sia più trasmissibile del 40-60% rispetto all'alfa, e che «ci può essere un rischio più elevato di ospedalizzazione». Riguardo ai ricoveri, l'Ecdc segnala che la percentuale è stata del 3,3% per pazienti di età compresa tra 40-49 anni ed è quasi raddoppiata con l'avanzare degli anni, raggiungendo il 25,3% per gli anziani della fascia 70-79 e il 36,2% per gli ultraottantenni. Altro che rischio per i giovani, come continuano a ripetere in Italia, non sono affatto una fascia più vulnerabile. Certo, stando alle dichiarazioni dell'Oms ogni variante avrebbe conseguenze catastrofiche. Lo diceva quando iniziò a circolare l'inglese, nel gennaio scorso: «Il nuovo ceppo potrebbe gradualmente sostituire altri», lanciò l'allarme il direttore europeo dell'agenzia, Hans Kluge. La diffusione spaventava anche perché il sequenziamento non era gestito allo stesso modo in tutti gli Stati e pure adesso questa è la maggiore preoccupazione, tant'è che l'Ecdc dichiara di «non essere in grado di valutare il rischio a livello nazionale, a causa di variazioni significative della capacità di rilevamento e strategie di sperimentazione tra i Paesi». Raccomanda la «sorveglianza genomica» delle varianti in circolazione, studiando la composizione genetica dei campioni virali ottenuti tramite tamponi, così pure l'emergere di nuove varianti. È necessario sequenziare il più possibile, mentre l'Italia ha contribuito solo con circa 20.000 genomi virali alla banca dati internazionale Gisaid. Ci sono «anche altre varianti delta plus con altre mutazioni», ha detto mercoledì il governo indiano. L'Ecdc ricorda che finora solo pochi studi hanno esaminato l'efficacia dei vaccini Comirnaty e Vaxzevria contro la variante delta e che «le stime sull'efficacia del vaccino devono essere interpretate con cautela, perché è ancora limitato il tempo di monitoraggio dopo il completamento della vaccinazione». La domanda chiave rimane se i vaccini possono prevenire ricoveri e decessi. 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Ma potrebbe essere necessario fare i test per entrare in un negozio o andare al lavoro. È la «nuova normalità» di Singapore, uno dei Paesi che meglio ha contrastato il Covid-19 (36 morti in totale, 20-30 casi di positività registrati ogni giorno) e che in questi giorni ha deciso di cambiare radicalmente la gestione della pandemia. «Convivere con il Covid-19» è la sintesi del nuovo approccio di Singapore, che ha deciso di trattare il coronavirus come un'influenza, ossia come una malattia endemica, che si configura quando «l'agente responsabile è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato ma uniformemente distribuito nel tempo», come spiegato l'Istituto superiore di sanità sul portale Epicentro. «La cattiva notizia è che il Covid-19 potrebbe non scomparire mai. Quella buona è che è possibile vivere normalmente con esso in mezzo a noi», hanno scritto il ministro del Commercio, Gan Kim Yong, quello delle Finanze, Lawrence Wong, e quello della Salute, Ong Ye Kung, in un editoriale sullo Straits Times. «Significa che il virus continuerà a mutare, e quindi a sopravvivere nella nostra comunità». I tre hanno avanzato la proposta alla task force interministeriale Covid-19 di Singapore. «Non possiamo sradicarla, ma possiamo trasformare la pandemia in qualcosa di molto meno aggressivo, come l'influenza o la varicella, e andare avanti con le nostre vite», hanno scritto, sottolineando l'importanza dei test rapidi e diffusi ovunque - aeroporti, porti, uffici, centri commerciali, ospedali e scuole - e della vaccinazione: Singapore dovrebbe raggiungere l'obiettivo di due terzi della popolazione completamente vaccinata entro i primi di agosto. Singapore vuole riaprire e riaprirsi, riprendere i grandi eventi e far viaggiare il turismo. E per farlo i tre puntano anche su un netto cambio di passo nella comunicazione. Il numero di casi giornalieri di positività non verranno più diffusi. «Invece di monitorare il numero di contagi da Covid-19 ogni giorno, ci concentreremo sui risultati: quanti si ammalano gravemente, quanti sono in terapia intensiva, quanti hanno bisogno di ossigeno e di essere intubati, e così via», hanno spiegato. La nuova strategia di Singapore ha suscitato molte curiosità dai Paesi vicini. Un esempio è l'Australia. Il sito News.com.au, di proprietà del magnate Rupert Murdoch, ha riportato la notizia sottolineato come la road map dello Stato che conta 5,7 milioni, poco più di Sidney, sia in netto contrasto con la strategia del governo di Canberra guidato da Scott Morrison, secondo cui aprire le frontiere pone un rischio enorme. «Una volta che lo fai entrare, non puoi farlo uscire», ha spiegato il primo ministro australiano. «Se seguiamo ciò che suggeriscono gli altri, dobbiamo accettare che ci siano 5.000 casi al giorno. Non credo che gli australiani sarebbero felici», ha aggiunto. Canberra, lavorando a «una tabella di marcia per andare verso una nuova normalità», ha spiegato ancora. Poi quello che suona come un auspicio: «La storia ha dimostrato che ogni pandemia farà il suo corso». Ed è proprio in queste parole che sta la differenza tra la strategia di Singapore e quella dell'Australia, tra chi ha deciso di convivere con il Covid-19 e riaprire da una parte, e chi, dall'altra, aspetta.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.