Studio di Confcommercio: nel 2017 lo Stato ha incassato per la raccolta 9,3 miliardi contro i 5,4 del 2010. Anche se le spese sono scese grazie alla differenziata e alla riduzione delle tonnellate di spazzatura.Si tratta senza dubbio di uno dei balzelli meno tollerati dai cittadini italiani, a cui di certo non farà piacere sapere che il suo importo cresce da sette anni: è la Tari, la tassa sui rifiuti che dal 2014 - è stata introdotta l'anno precedente con la legge di stabilità - è andata a sostituire, accorpandole, la Tia (tariffa di igiene ambientale), la Tarsu (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) e la Tares (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi).Cambia il nome ma il prezzo aumenta: la Tari è infatti sempre più cara, e questo a discapito del fatto che in Italia si producano sempre meno rifiuti. Lo rivela il primo monitoraggio dell'Osservatorio tasse locali di Confcommercio, uno strumento dedicato proprio alla raccolta di dati e informazioni su questo balzello che grava sulle spalle di cittadini e imprese. Nel 2017 la Tari è arrivata, secondo le stime, a costare in tutto 9,3 miliardi di euro, con un incremento di 3,9 miliardi (+72%) rispetto ai 5,4 miliardi ricavati dalle tasse sui rifiuti nel 2010. Il dato del 2017, che prende in esame le rilevazioni relative ai capoluoghi e a oltre 2.000 Comuni, per una copertura della popolazione superiore al 60%, evidenzia un incremento di 200 milioni rispetto ai 9,1 miliardi dell'anno precedente.Il trend è chiaro: i cittadini e gli imprenditori pagano sempre di più, anche se i rifiuti sono sempre meno e costa sempre di meno smaltirli. La produzione totale di spazzatura, infatti, è diminuita dai 32,4 milioni di tonnellate del 2010 ai 30,1 milioni del 2016. Non solo: negli ultimi anni la percentuale di raccolta differenziata è aumentata di oltre il 20%, dal 31,7% del 2010 al 52,5% del 2016, percentuale che resta comunque inferiore allo standard fissato a livello europeo, che è del 65%. In ogni caso, smaltire i rifiuti differenziati costa decisamente meno che smaltire la spazzatura «generica»: per i primi il costo è di 15,12 centesimi di euro al chilo, mentre per eliminare il contenuto del vecchio «sacco nero» tocca spendere 40,79 centesimi al chilo. Insomma, gli italiani sono sempre più «virtuosi» e bravi nel cercare di produrre meno rifiuti e di gettarli via coscienziosamente, ma per questo non solo non vengono premiati: addirittura pagano di più.Perché questo accade? Le cause sono diverse. Pesa il mancato raggiungimento degli obiettivi europei sulla raccolta differenziata, che secondo i calcoli incide per 1 miliardo l'anno. Nella tassazione sui rifiuti, nota ancora Confcommercio, continuano poi a permanere voci di costo improprie, che vanno a coprire le inefficienze locali di gestione. Da Nord a Sud i Comuni spendono più di quello che sarebbe il costo ottimale del servizio di gestione dei rifiuti: lo fa il 62% dei Comuni capoluogo, con le maggiori inefficienze che si registrano ad Asti (+77%), Potenza e Venezia (+67%), Brindisi (+61%) e Reggio Calabria (+58%), mentre i cinque capoluoghi più virtuosi sono Pistoia (-33%), Brescia (-29%), Prato (-28%), Forlì (-27%) e Cesena (-26%).E poi ci sono errori e sviste di vario genere: ad esempio, nota lo studio, i Comuni continuano a far pagare la Tari anche su quelle aree dove sono le imprese stesse a dover provvedere autonomamente allo smaltimento dei rifiuti prodotti, facendosi carico dei relativi costi. Il risultato è che, in questi casi, l'impresa paga al Comune il costo di un servizio che non viene mai erogato. Un altro caso particolare è quello delle aree espositive, di grandi dimensioni ma che producono pochi rifiuti: è il caso dei mobilifici o delle concessionarie di automobili, che invece pagano la tassa sui rifiuti calcolata sull'intera superficie dello spazio espositivo. E ancora, i Comuni commettono spesso errori nella definizione delle categorie economiche - gli alberghi con ristorante producono molti più rifiuti delle strutture senza servizio di ristorazione, ma il costo della tassa è identico - o nella considerazione delle attività stagionali: così un campeggio di 5.000 metri quadrati nel Comune di Fiumicino paga 13.136 euro, quando per i soli cinque mesi di attività ne dovrebbe pagare 5.473. Storture che determinano disparità di trattamento per cittadini e imprese, anche sullo stesso territorio: a Bergamo il Comune di Barzana registra un costo unitario per abitante di 55 euro, quasi dieci volte meno dei 423 euro per abitante registrato a Orio al Serio. In provincia di Brindisi, a Mesagne, la spesa per la gestione dei rifiuti è di 699 euro per abitante, mentre nel capoluogo è di 252 euro per abitante.«I dati dell'Osservatorio sono la conferma di quanto le nostre imprese siano penalizzate da costi dei servizi pubblici che continuano a crescere in modo ingiustificato», osserva Patrizia Di Dio, membro della giunta di Confcommercio. «È sempre più urgente una profonda revisione dell'intero sistema: in due parole, meno costi e meno burocrazia per liberare le imprese dal peso delle inefficienze locali».
Antonio Filosa (Stellantis)
La batteria elettrica è difettosa. La casa automobilistica consiglia addirittura di parcheggiare le auto lontano dalle case.
Mentre infuria la battaglia mondiale dell’automobile, con la Cina rampante all’attacco delle posizioni delle case occidentali e l’Europa impegnata a suicidarsi industrialmente, per Stellantis le magagne non finiscono mai. La casa automobilistica franco-olandese-americana (difficile ormai definirla italiana) ha dovuto infatti diramare un avviso di richiamo di ben 375.000 automobili ibride plug-in a causa dei ripetuti guasti alle batterie. Si tratta dei Suv ibridi plug-in Jeep Wrangler e Grand Cherokee in tutto il mondo (circa 320.000 nei soli Stati Uniti, secondo l’agenzia Reuters), costruiti tra il 2020 e il 2025. Il richiamo nasce dopo che si sono verificati 19 casi di incendi della batteria, che su quei veicoli è fornita dalla assai nota produttrice coreana Samsung (uno dei colossi del settore).
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.






