2025-11-06
Il femminismo di oggi è intollerante e feroce
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe? «Il femminismo è vivo e vegeto, noi però distinguiamo fra il femminismo universale, nel quale noi ci riconosciamo, il femminismo cosiddetto intersezionale e il transfemminismo», spiega Anna Paola Concia. «Con la cultura woke sono venuti alla luce cambiamenti e soprattutto molti conflitti. È giusto dire, come fanno i woke, che bisogna risvegliarsi, soprattutto rispetto ai diritti. Ma l’estremismo woke ha preso il sopravvento». Secondo Lucetta Scaraffia, «del femminismo sono rimaste le poche femministe che, come me, cercano di ricordare a tutti che il femminismo è innanzitutto una rivendicazione universalista, cioè che riguarda tutte le donne. Oggi», prosegue la studiosa, «le rivendicazioni universaliste sono viste molto male perché in realtà il mondo si divide in piccoli gruppi di vittime che cercano di ottenere la supremazia rispetto ad altri gruppi di vittime e quindi di universalismo non si parla più. In particolare nei confronti delle donne si è sviluppata una lotta da parte dei transessuali e di coloro che magari non sono transessuali ma si sentono donne e che vogliono essere considerati tali». Paradosso del wokismo: il femminismo nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle stesse. «È stato deciso nell’ambito della cultura woke che le donne non esistono più: esistono persone con le mestruazioni. Non si può dire neanche “persone con l’utero”, perché si rischierebbe di mortificare quelli che si sentono donne ma non hanno l’utero. Vorrei ricordare che Judith Butler, la grande teorica del gender, ha detto che bisognerebbe trovare un femminismo senza le donne. E infatti ora il femminismo non ha più le donne, bensì queste figure intermedie: chi si sente donna, chi è in transizione… Gli uomini, invece, restano sempre uomini, non sono spezzettati in tante identità diverse». Rispetto al femminismo del passato, che difendeva la donna in quanto tale, ora esiste una sorta di graduatoria: si viene difesi in base alla quantità di traumi e di persecuzioni che si sono subite (o che si ritiene di avere subito). Una donna bianca è considerata appartenente a un gruppo privilegiato e oppressivo, dunque merita meno considerazione della donna appartenente a una minoranza etnica. «Si accumulano ragioni di vittimismo», spiega Scaraffia. «Lo dimostra lo scandalo visto in Israele il 7 ottobre. Ci sono stati stupri spaventosi, che sono stati persino rivendicati dagli stessi stupratori. Ma le femministe europee non hanno protestato e non hanno fatto una marcia di solidarietà. Questo è stato l’esempio più clamoroso e più vergognoso, ai miei occhi, della fine della difesa universalistica delle donne come vittime. Quelle donne erano israeliane, dunque bianche e colonizzatrici secondo la visione woke». Come si è giunti a questo punto? Facile: con l’introduzione del discorso sul gender. «Alla fine degli anni Settanta è cominciato questo percorso del gender, che in precedenza non c’era: era evidente che le donne fossero diverse dagli uomini. Poi la spasmodica ricerca di uguaglianza ha condotto al punto di negare che esistesse una differenza biologica fra uomini e donne. In quegli anni, il medico statunitense John Money ha fatto un’operazione di cambiamento di sesso su un bambino cui era stata fatta un’operazione che gli aveva leso il pene. Questo bambino è stato fatto diventare femmina, educato come femmina, ed è stato considerato la prova che il genere era solamente una questione culturale, senza basi biologiche. Questo bambino tempo dopo si è suicidato, e il dottor Money ha dovuto scusarsi per quanto aveva fatto. Ma ormai la sua teoria era stata acchiappata dai movimenti femministi, che hanno tramutato tutto questo in una forma di negazione della differenza biologica. Ciò ha comportato la negazione della maternità, che è la più grossa differenza biologica esistente».Questo femminismo che nega la differenza è oggi dominante. E non è semplicemente una visione del mondo fra le tante, ma ha colonizzato il pensiero comune, o comunque ha preso piede nel discorso mainstream. La vicenda delle influencer finite nell’occhio del ciclone nei giorni scorsi lo dimostra: bastano pochi e superficiali slogan corrispondenti alla retorica prevalente per ottenere visibilità e credito. Ma c’è di peggio. Non soltanto questa evoluzione del femminismo si è presa tutta la scena, ma si comporta in modo decisamente intollerante e violento con tutti i pensieri divergenti. Per quanto riguarda l’Italia, il problema sta soprattutto nel fatto che la nostra sinistra ha deciso di recepire questo nuovo tipo di femminismo. «Elly Schlein non c’entra nulla con la violenza delle influencer a cui si faceva riferimento», spiega Concia. «Però la matrice culturale - non sono io a dirlo bensì la stessa Schlein - è la medesima. Schlein rivendica una matrice legata al transfemminismo, al femminismo intersezionale, che è la stessa di quelle signore». Secondo Concia, le femministe intersezionali di oggi hanno una consuetudine con «i modi violenti, censori, escludenti, nel senso che se non la pensi come loro devi essere escluso da tutto, devi essere messo alla gogna sui social, non puoi parlare, sei appunto una Terf (cioè una femminista radicale che esclude i trans, ndr). Riguardo a questo penso che si debba suonare l’allarme. Questa modalità di portare avanti le proprie idee», insiste Concia, è stata molto coccolata da un certo mondo intellettuale, da giornali, da certe riviste, da certe rassegne letterarie. Le attiviste sono state coccolate, e penso che in una democrazia liberale questo sia molto grave. Spero che ci si interroghi a riguardo, che si possa azzerare questa modalità di scontro. Io non sono una ragazzina, sono vissuta negli scontri culturali, anche con la destra quando ero parlamentare. Ma questi non sono più scontri culturali ormai». No, non sono scontri, ma guerre culturali in cui uomini e donne non fanno altro che annientarsi a vicenda. Ma chissà: forse l’annientamento è esattamente il fine di questi conflitti.
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Antonio Filosa (Stellantis)