- Mai così tanti suicidi o tentativi, secondo i dati del Telefono amico e dell’ospedale Bambino Gesù. Con la pandemia sono quasi raddoppiati. Viaggio in un dramma alimentato da bullismo e Web.
- Il padre di Carolina, che si gettò dal balcone dopo una violenza: «I genitori non si rendono conto dei danni fatti da chat e social».
Mai così tanti suicidi o tentativi, secondo i dati del Telefono amico e dell’ospedale Bambino Gesù. Con la pandemia sono quasi raddoppiati. Viaggio in un dramma alimentato da bullismo e Web.Il padre di Carolina, che si gettò dal balcone dopo una violenza: «I genitori non si rendono conto dei danni fatti da chat e social».Lo speciale contiene due articoli.Alessandro, 13 anni, ha perso la vita a Gragnano lo scorso 1° settembre. Si è sporto dalla finestra di casa, al quarto piano, si è lanciato nel vuoto ed è morto sul colpo. Gli inquirenti hanno acquisito le chat di Alessandro con altri sei ragazzi, di cui quattro minorenni: le ritengono «particolarmente importanti» per ipotizzare il reato di istigazione al suicidio. Con ogni probabilità la morte di Alessandro è un caso di cyberbullismo. «Nuru-u-u, Nuru-u-u». La sorellina chiama Nuru (il nome è di fantasia), forse per fare i compiti o forse per fare merenda insieme. Nessuno risponde. La piccola bussa alla cameretta. Ancora niente. Decide allora di girare la maniglia e trova il fratello lì, esanime. Appeso con la cintura dell’accappatoio alla sponda del letto a castello. Corre disperata dalla madre, chiamano i soccorsi, ma Nuru, 14 anni, della provincia di Brescia, era già spirato. Era il 16 marzo 2022.«Vieni a tavola, Maria. È pronto!». Sembra un pranzo come un altro. Maria (anche questo è un nome di fantasia) è silenziosa. Il padre prova a conversare, ma senza grandi risultati. La ragazza a metà del piatto dice che deve andare in bagno. Si alza, ma vira verso la porta finestra e si lancia dal terzo piano. Le lesioni riportate nell’impatto al suolo non le hanno lasciato scampo. Siamo a Roma, il 20 maggio 2022. «Uno studente ha scelto di non proseguire con noi questo breve tratto di vita», scrive il preside dell’Itis Nullo Baldini di Ravenna. «Non doveva accadere. È una lacerazione straziante, che non potrà mai essere veramente ricucita, anche se il tempo passerà e nuovi problemi o nuove distrazioni attraverseranno la nostra mente». Simone, 16 anni, si è tolto la vita, travolto da un treno, il 5 aprile 2022. Un quindicenne padovano di origini marocchine è stato trovato morto nel fiume Brenta il 26 aprile 2022. Il pm ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Una bimba di dieci anni, a Palermo, si è stretta al collo una cintura mentre si riprendeva in video su Tik tok per provare una sfida estrema di soffocamento, chiamata Blackout challenge. Era il 21 gennaio 2021.A Bari, il 25 gennaio 2021, un bambino di nove anni si è tolto la vita, appeso a un attaccapanni. L’ipotesi della sezione investigativa è che abbia compiuto il gesto estremo a causa di un video su Youtube, forse una sfida social.«Vai e troverai la pace». Queste le parole con cui gli utenti di Sanctioned Suicide, un forum con oltre 26.000 iscritti in cui si parla di suicidi, hanno accompagnato Matteo Cecconi alla morte. Il diciottenne di Bassano del Grappa, durante la dad, il 26 aprile 2021, si è avvelenato con il nitrito di sodio in casa propria. L’EPIDEMIAIl suicidio è l’emergenza che attanaglia l’età giovanile. I casi di cronaca lo testimoniano, e i tentativi sono ancora più numerosi. I dati dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma sono drammatici. Negli ultimi dieci anni, gli accessi per aver pensato e pianificato il suicidio o averlo tentato sono cresciuti vertiginosamente. Nei due anni della pandemia sono aumentati del 75%. In pratica un caso al giorno: dai 369 casi del 2018-2019, si è passati ai 649 del 2020-2021.L’Associazione Telefono amico Italia non ha mai registrato così tante segnalazioni legate al suicidio. Sono state quasi 6.000 le richieste di aiuto arrivate lo scorso anno, cresciute del 55% rispetto al 2020 e quadruplicate sul 2019, l’anno prima della pandemia. Il 28% delle richieste è giunto da under 26 e il 2022 non ha portato miglioramenti: nel primo semestre, le richieste di aiuto sono state 2.700 e il 28% sono pervenute da giovani sotto i 25 anni.Un’indagine promossa da Fondazione Soleterre e dall’Unità di ricerca sul trauma dell’Università Cattolica di Milano ha calcolato che il 17,3% di giovani dai 14 ai 19 anni ha pensato «quasi ogni giorno» e «più della metà dei giorni» che sarebbe meglio morire o farsi del male a causa del dolore provocato dalla vita. Parliamo di 490.000 individui in potenziale pericolo. Ogni anno nel mondo quasi 46.000 bambini e adolescenti tra i 10 e i 19 anni si tolgono la vita. Uno ogni 11 minuti. In Italia, secondo l’Istat, ogni anno si tolgono la vita circa 4.000 giovani. Il ruolo di internetChallenge estreme, istigazione al suicidio in chat e cyberbullismo, forum di aspiranti suicidi. Il Web gioca una parte importante in questa crisi. La polizia postale impatta il fenomeno dei suicidi in tre diversi modi: «Il primo e più immediato è rappresentato dalla richiesta di aiuto sulle nostre piattaforme. Gli stessi social ci segnalano contenuti di questo genere, in un caso addirittura il gestore di un videogioco ha mosso una segnalazione per affermazioni scritte in chat. Una seconda tipologia è che le sofferenze complessive dei ragazzi ci vengono denunciate dai genitori stessi. Poi c’è un mondo di gruppi nei quali ragazzi e giovani adulti che valutano il suicidio si trovano tra di loro, fuori dalle dinamiche di giudizio e dalle giuste preoccupazioni degli amici e dei familiari sani da un punto di vista psicologico»: così racconta Cristina Bonucchi, direttore tecnico superiore psicologo della polizia. «L’adolescenza è un’età fragile e gli studi dimostrano che il tasso di suicidi è leggermente maggiore rispetto alle altre fasce. Nella fase acuta della pandemia, abbiamo avuto un accesso molto più frequente, anche perché la vita si era spostata al pc», aggiunge.L’istigazione all’odio online «è più diffusa di quanto ci immaginiamo», dice Ivano Zoppi, segretario generale della Fondazione Carolina e presidente di Pepita. «Non ci stiamo rendendo conto della normalizzazione dei comportamenti. “Tanto l’ho scritto in chat”, “tanto non volevo dire questo”: i comportamenti spesso vengono normalizzati commettendo il grave errore di non ritenere che ciò che accade virtualmente fa parte della realtà. Parole che incitano a gesti estremi possono influire molto e il rischio di soffrire e poi di compiere gesti che non rispettano e non riconoscono il valore fondamentale della vita è molto alto». le «CHALLENGE»Le statistiche di Fondazione Carolina attestano tre ragazzi su quattro coinvolti, direttamente o no, in episodi legati all’utilizzo scorretto o inconsapevole del Web. Un dato superiore al trend fotografato dal Censis prima del Covid-19. Un fenomeno da non sottovalutare è quello legato alle challenge online. Ce ne sono di divertenti e coinvolgenti, ma altre possono essere molto pericolose e in situazioni limite portare alla morte, come nel caso della bimba di Palermo. Una delle più pericolose è stata senza dubbio la Blackout challenge, che consiste nel filmarsi mentre ci si provoca un’asfissia temporanea. Un’altra vittima nota per questa vicenda è Igor Maj, che perse la vita il 6 settembre 2019 con una corda. Altra challenge che ha generato clamore e confusione è stata la Blue whale, fenomeno virale russo del 2018, sfida dell’orrore che avrebbe portato alla morte i partecipanti dopo varie prove. Questa, assieme al personaggio malefico di Jonathan Galindo, sono state due vicende molto dibattute, ma a cui probabilmente sono stati collegati casi artificiosamente. Anche senza le leggende horror molte sfide sono pericolose, soprattutto perché i ragazzi sottovalutano i rischi. C’è stata la sfida di ingoiare pastiglie di detersivo, quella di correre in mezzo all’autostrada, mangiare in maniera repentina grosse quantità di cannella o di bicarbonato o la Skullbreacker challenge, «gioco» con l’obiettivo di far cadere una persona all’indietro sbattendo la testa. Perché? «Per avere peso online. Sono ragazzi che semplicemente cercano il loro posto nel mondo, ma sottovalutano i rischi», spiega Bonucchi.confronto sui FORUM«Benvenuto su Sanctioned Suicide, una community a favore della discussione su suicidio e malattia mentale». Un forum liberamente accessibile online. Vi si trova di tutto: dalle discussioni su musica e videogame nella parte «Off topic», ma in particolare vi si naviga per informarsi e discutere di suicidio. Gli aspiranti suicidari nel forum si scambiano consigli su come togliersi la vita. Gli utenti si scambiano foto di corde per impiccarsi, dandone accurate descrizioni e chiedendo se riesca a reggere il peso. Si parla di armi, con il desiderio di appartarsi in un luogo isolato e spararsi un colpo, o si suggeriscono farmaci che possano porre fine alle sofferenze dell’esistenza e in che modo debbano essere assunti. Il padre di Matteo Cecconi, Alessandro, ha raccontato che prima di assumere il nitrato, il figlio era collegato con altri 10 adolescenti che lo avrebbero assecondato.La contemporaneità, specialmente nei ragazzi, sembra permeata dal dolore. «In verità non c’è nulla che riesca a impedire il sempre più ravvicinato ritorno di quei momenti in cui la tua solitudine assoluta, la percezione della vacuità universale, il presentimento che la tua esistenza stia approssimandosi a un disastro doloroso e definitivo, si combinano per sprofondarti in uno stato di vera e propria sofferenza». Così scrive Michel Houellebecq in Estensione del domino della lotta. Per alcuni il buio diventa talmente oscuro da perdere la speranza che si possa accendere una luce. L’unica possibilità è che qualcuno li prenda per mano conducendoli, a tentoni nella notte, a premere insieme un interruttore.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-strage-dei-ragazzini-2658304530.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-discute-tanto-ma-si-fa-poco-e-i-giovani-sono-soli" data-post-id="2658304530" data-published-at="1663588390" data-use-pagination="False"> «Si discute tanto ma si fa poco e i giovani sono soli» Era la notte tra il 4 e il 5 gennaio 2013 quando la figlia di Paolo Picchio, Carolina, si tolse la vita gettandosi dal balcone della sua camera da letto. Le parole violente indirizzate verso di lei sui social per un video in cui era ripresa in stato di incoscienza erano divenute troppo pesanti. Carolina ha lasciato una lettera. Da quello scritto è nato l’impegno del padre, che ha fondato un’associazione contro il cyberbullismo, la Fondazione Carolina, che ha promosso la prima legge contro il cyberbullismo in Italia. Paolo Picchio, che cosa ha generato in lei la notizia del suicidio di Alessandro a Gragnano? «Ogni volta che apprendo di una tragedia di questo tipo è come riaprire una ferita. Io ho perso una figlia straordinaria, ma purtroppo siamo punto e a capo. Adesso tutti se ne preoccupano, ma a questi ragazzi succede sempre la stessa cosa. Troppi oggi parlano dei ragazzi, il nostro scopo con la Fondazione è di parlare ai ragazzi. Andiamo nelle scuole, nei centri sportivi, negli oratori. Si parla molto di cyberbullismo e poco si è fatto. Noi ci muoviamo e ci accorgiamo sempre di più che questi ragazzi hanno bisogno di essere sentiti, di aver un dialogo e dare loro una continuità. Troppo spesso ci sono soltanto interventi spot». «Le parole fanno più male delle botte»: la frase che ci ha lasciato sua figlia sembra più che mai attuale oggi considerando anche il tasso di suicidi in ambito giovanile. «Certo. Purtroppo, queste generazioni in particolare fra i 10 e i 14 anni che hanno a disposizione il cellulare, se dal punto di vista tecnologico lo utilizzano benissimo, molto spesso dal punto di vista culturale non hanno mai ricevuto da nessuno un’educazione. Ecco perché ci battiamo perché ci sia un controllo. Le normative europee dicono che un minore fino a 16 anni non può essere associato a un social, ma quanti genitori lo sanno? Non si rendono conto che i loro figli passano quasi il 50% del loro tempo nel mondo virtuale. Ci attiviamo anche con i social network, per incontrare i genitori, perché sono loro i primi educatori. Vediamo bambini di 6 o 7 anni che usano questi strumenti e mi fanno veramente paura. Avranno la capacità di gestire lo strumento?». Cosa ricorda di più di sua figlia? «Mia figlia, oltre a essere una bella ragazza, era una ragazza forte, molto sportiva. Quando quei ragazzi hanno girato quel video mentre era incosciente e hanno fatto esibizioni sessuali su di lei, si è sentita totalmente defraudata e ha visto la sua intimità messa alla berlina del mondo. Vedere questi filmati, in cui non si riconosceva come persona, l’ha devastata, il suo cervello è andato in cortocircuito e a questo si è aggiunto il migliaio di insulti che la rete le ha vomitato addosso. Ha avuto però una forza incredibile perché nonostante questo sconforto, ha scritto quella lettera. Finiva così: “Spero che ora siate tutti più sensibili sulle parole”. Ho pensato che il suo messaggio non potesse restare in un cassetto chiuso e che le sue parole dovessero essere portate all’opinione pubblica. La voglia di costruire Fondazione Carolina con amici sensazionali è nata così. C’è stata la legge sul cyberbullismo poi dedicata a Carolina, però leggere sui giornali che il numero delle vittime cresce ogni anno è sconfortante». Come fa a testimoniare? Non è doloroso per lei? «Certo, è doloroso. Mi fa un male terribile che nonostante i passi avanti che si sono fatti siamo sempre daccapo. Del ragazzo di Gragnano se ne parlerà per qualche tempo, poi tornerà tutto come prima. Qua bisogna prendere provvedimenti. È necessario porre un vincolo di età all’accesso alle reti sociali. C’è un’età minima per i superalcolici, ci deve essere anche per le piattaforme. Tanto più che i genitori in tutto questo risultano assenti. Non lo identificano come problema». È mai riuscito a perdonare i bulli? «No, guardi, loro avranno una coscienza e risponderanno di quella. C’è stato un processo che ha definito il loro operato. Non sono venuti a chiedere niente. Gli stessi genitori ritenevano che fosse una ragazzata. Il processo per la morte di Carolina è stato il primo in cui si è dimostrato che non erano semplici ragazzate, ma veri e propri reati». Cosa dice ai ragazzi quando li incontra nelle scuole? «Racconto la storia di Carolina e faccio capire che loro hanno questo strumento in mano, loro sono connessi magari otto ore ma non sono connessi con sé stessi. A questi ragazzini manca totalmente l’autostima, la capacità di dire: “Io non ci sto, io lo dico”. Il 70% dei ragazzi che sono vittime, quando succede loro questo problema, non sanno con chi parlare. I genitori devono essere i primi follower dei propri figli. Quando arrivano a casa dalla scuola, oltre a com’è andata in classe, bisogna chiedere loro come va sui social, se hanno fatto nuove conoscenze, se sui gruppi Whatsapp ci sono delle prese in giro, far capire che i genitori sanno che il loro tempo per la maggior parte è lì e che loro se succede qualcosa ci sono». Da dove nasce la grande fragilità di questi ragazzi oggi? «Dal fatto che abbiamo messo loro in mano uno strumento che non sanno gestire. Non credono che ciò che è virtuale sia reale. Non pensano che dall’altra parte la vittima senta un insulto fisicamente su sé stessa, come una pietra che arriva in faccia. Si sentono inadeguati, hanno vergogna. Qualche pietra si riesce a schivare, ma se sono cento, mille, a un certo punto questi ragazzini verranno colpiti. La nostra sanità è attrezzata per questi ragazzini? Quando uno di loro si presenta al pronto soccorso con un taglio che si è fatto da sé, gli mettono un cerotto. Ma serve che si indaghi il motivo del taglio, o del coma etilico. Era previsto un tavolo interministeriale a lato del ministero dell’Istruzione con il ministero dell’Interno, con la polizia postale, la polizia di stato, i ministeri della Sanità, dell’Economia, della Ricerca. Noi lavoriamo gratuitamente e interveniamo, ma è necessario un intervento deciso dello Stato. Speriamo nel prossimo governo, qualunque esso sia».
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