2022-03-31
La sovranità del Parlamento vale sui missili non sulle tasse
Slitta la decisione sulla delega fiscale: il governo non invia la sintesi. Si vuole forzare la riforma del catasto con l’alibi Pnrr, malgrado il Parlamento si sia espresso in maniera contraria. Su Kiev avviene l’opposto. Sulla spesa per le armi i paletti di Mario Draghi non sono poi stati piantati troppo in profondità. In un’intervista il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha confermato l’impegno di portare gli investimenti al 2% del Pil, ma in un lasso di tempo più lasco rispetto al 2024. Giuseppe Conte ha colto la palla al balzo per aggiungere un dardo nella sua faretra. L’ex premier spera evidentemente di centrare almeno il bersaglio dei grillini duri e puri. Al di là del braccio di ferro dentro la maggioranza, l’aut aut posto da Draghi si basa su una decisione che circa dieci giorni fa ha preso il Parlamento. I deputati hanno sottoscritto l’impegno ad aderire all’accordo del lontano 2004 condiviso dai Paesi Nato. L’effetto dell’impegno della Camera si ribalta direttamente sulle scelte del governo. Per questo quando Draghi cerca di mettere Conte con le spalle al muro ha dalla sua anche la prassi democratica. È vero anche che molto spesso in passato Palazzo Chigi ha più volte ignorato ordine del giorno altrettanto vincolanti. Stavolta fa comodo perché l’innalzamento del tetto di spesa avvicina ancora di più l’attuale governo alla Casa Bianca che in fondo porta avanti istanze precedenti. Per essere precisi, le medesime istanze di Donald Trump. Peccato che il criterio della sovranità del Parlamento sia un po’ troppo a fisarmonica. E mentre Palazzo Chigi lo esercita sulle spese militari - aggiungiamo noi finalmente - sulla patata bollente della delega fiscale avviene l’esatto opposto. Ieri nel primo pomeriggio era previsto voto d’Aula, per la precisione in commissione alla Camera. All’ultimo tutto è saltato, tranne una riunione all’ufficio di presidenza per stabilire un calendario. Non c’era alcun testo da votare perché contrariamente alle attese il governo non ha inviato alcun plico di sintesi. Dopo aver sentiti tutti i partiti, l’obiettivo era quello di trovare la quadra sulla flat tax, confermare uno schema sul catasto e sugli impegno per la tutela della proprietà privata. Il documento in pratica non c’è perché non sembra esserci da parte del governo la disponibilità a una mediazione. Palazzo Chigi ha più volte fatto trapelare che la riforma del catasto s’ha da fare per mantenere gli impegni con l’Ue e garantirsi le rate del Pnrr. Quest’ultimo tema assai bizzarro, visto che è stato lo stesso governo a inserire la delega fiscale nelle riforme correlate, ma non consustanziali alla realizzazione del Recovery italiano. Ma anche l’idea di dover mantenere gli impegni con l’Ue non sta in piedi. Entrando nel merito della legge delega su fisco e catasto, è d’obbligo ricordare che a forzare la mano nonostante le indicazioni del Parlamento è stato proprio il governo. La linea e il punto di vista della Commissione Ue (che coincide con Fmi) mirano a spostare il prelievo sulla tassazione patrimoniale delle case. La scelta, a detta di Bruxelles, contribuirà ad aumentare la ricchezza e quindi il Pil. La riforma del catasto mira esattamente a tale spostamento, anche se numerosi esponenti del governo, a cominciare dal titolare del Mef, Daniele Franco, continuano a sostenere che si metterà mano all’anagrafe immobiliare soltanto per motivi statistici. Appurato che nessun Paese investirebbe più di 5 miliardi per ottimizzare le proprie statistiche, il dissenso del Parlamento deriva dal discordare con Bruxelles ab origine. L’Aula ritiene infatti che spostare la tassazione sul valore patrimoniale non comporterà alcun beneficio al Pil, al contrario sarà solo una ridistribuzione di ricchezza e nulla più. Mentre nel medio termine rischia di causare addirittura impoverimento delle tasche degli italiani attraverso svalutazioni patrimoniali. Il Parlamento ha quindi messo nero su bianco il proprio punto di vista lo scorso 30 giugno. Soltanto 18 pagine ma scritte in modo chiaro e con indicazioni che non lasciano spazio al fraintendimento. L’Imu è già troppo per il mattone italiano, anche se tutti sono d’accordo che serva una riforma dal punto di vista digitale e che consenta alla pubblica amministrazione di recuperare l’evasione. Cosa che i governi italiani avrebbero già dovuto fare da decenni. A questo punto per il centro destra tenere il punto e opporsi alla riforma così come la vuole il governo (che è anche disposto a mettere la fiducia) è diventato molto difficile. Meno di un mese fa - a guerra da poco scoppiata - la Lega ha sollevato il problema minacciando di far saltare lo schema. Immediatamente schiere di piddini hanno alzato il dito spiegando che sotto non c’era una volontà di merito, ma semplicemente una mossa politica per far cadere il governo e fare un favore a Vladimir Putin. Premesso che siamo tutti consapevoli che a mettersi in tale situazione sia stato lo stesso Matteo Salvini, ma l’approccio sarebbe ridicolo se non fosse drammatico. Come per il Covid è ormai tutto bianco o nero. Se non si è al 100% al fianco di Volodymyr Zelendky si è automaticamente con Putin. E ciò azzera qualunque tentativo di discussione democratica. Governo e sinistra usano questa mazza con abilità. Il problema è che saranno gli italiani a trovarsi cornuti e mazziati. Traditi dal Parlamento che hanno votato e con il portafoglio svuotato da future tasse.