2025-11-17
«Per la pensione è presto. Prima c’è da formare la nuova élite di Forza Italia»
Il capogruppo azzurro Maurizio Gasparri tra ricordi e attualità: «Casini ha perso il Colle per colpa di Salvini. I giovani in politica devono imparare ad eseguire, quelli che rompono spariscono subito».C’è chi lo vorrebbe mandare in pensione, ma Maurizio Gasparri, sessantanovenne capogruppo di Forza Italia al Senato, è un moto perpetuo e per intervistarlo con un po’ di calma abbiamo dovuto aspettare le 11 di sera. Quando lo chiamiamo sta guardando il nuovo programma di Tommaso Labate su Mediaset ed è un po’ infastidito. Gli sembra l’ennesimo format che strizza l’occhio alla sinistra («A volte il mondo di centro-destra ha un complesso di inferiorità e si vuole coprire a sinistra. Poi, giustamente, ognuno è libero di fare ciò che vuole»). Ma è avvelenato soprattutto con Sigfrido Ranucci, il conduttore di Report («Fa cose che in un mondo normale non possono accadere, questo pedina i membri dell’authority, saccheggia mail, chat»). Noi proviamo a pungolarlo con un altro argomento.C’è chi la vuole mandare ai giardinetti… il sito «Dagospia» dice che Marina Berlusconi sarebbe pronta a “rottamare” lei e Antonio Tajani… «Guardi, andranno in pensione prima di noi Roberto D’Agostino e molti altri. Io e Antonio abbiamo il compito di formare la futura classe dirigente di Forza Italia. Un lavoro che penso di saper fare bene, in fondo sono stato uno dei talent scout della generazione di Giorgia Meloni, Donzelli (Giovanni, ndr) e company». E che cosa insegna ai ragazzi?«Ai neo eletti dico: volete restare qui a lungo, come ho fatto io? Beh. Allora non rompete il c… e fate quello che vi si dice senza domandare. Io ho fatto così e sto qui da 33 anni, quelli che rompono i coglioni sono spariti. A decine, a frotte, a battaglioni. Quando si è nuovi si esegue. Poi, col tempo, si acquisisce il diritto di decidere, di comandare».Funzionava così anche con Berlusconi?«Quando c’era Berlusconi, ascoltava, ti faceva parlare, poi decideva lui. Antonio Tajani lo conosco dai tempi del liceo al Tasso (lui era due anni più grande), abbiamo un rapporto paritetico, gli parlo con franchezza, ma, in ultima analisi, se bisogna decidere A o B, decide lui, è il segretario. Io non trovo disdicevole accettare la decisione del leader». Mi racconti un aneddoto del Gasparri giovane «attendente»…«Nel 1993 si fa la legge elettorale e il relatore era Sergio Mattarella. Era un periodo complesso. Era esplosa la bufera di Tangentopoli e ogni giorno arrivava in Parlamento un avviso di garanzia. Noi del Msi eravamo una trentina di deputati e siccome non comandava più nessuno non eravamo proprio all’opposizione. Pinuccio Tatarella, il nostro maestro politico, l’uomo che ha modernizzato la destra italiana con l’idea di Alleanza nazionale (Gianfranco Fini era il portavoce, ma il vero segretario era lui), era un abile negoziatore e negoziava anche con Mattarella su alcune questioni». Mi sta dicendo che l’Msi aiutò Mattarella?«Tatarella aveva fatto un accordo con lui e mandava nelle interminabili sedute notturne a votare a suo favore due deputati neo eletti».Chi erano questi due rinforzi provenienti da destra?«Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Tutte le cose più delicate venivano votate di notte, quando i parlamentari erano più stanchi. Noi avevamo l’ordine di andare lì e votare queste cose senza neanche fare domande. Eravamo dei puri esecutori. Una lezione che, come detto, insegno a tutti i giovani deputati».Per amore delle nuove leve è passato sopra agli epici litigi che ha avuto con Fedez e ha portato il rapper al congresso dei giovani di Forza Italia…«I nostri ragazzi volevano che il cantante andasse al loro evento e in tanti sapevano che Fedez mi cercava per il suo podcast. Giuseppe Cruciani mi sollecitava ad accettare, anche Francesca Chaouqui. Alla fine sono andato e lui è venuto al congresso. Nel podcast gli ho tenuto abbastanza testa e abbiamo fatto 600-700.000 visualizzazioni». A proposito della convention giovanile, il segretario Simone Leoni ha attaccato il generale Roberto Vannacci…«Io ho avuto diversi generali in famiglia, da mio padre a mio fratello (dei Carabinieri, ndr) e ne frequento tanti. Sono un grande fan dei generali, ma li vedo bene in caserma».Lei, però, non ha fatto la carriera militare…«Io mi sono arruolato in un’altra accademia, il Fronte della gioventù, nella militanza politica…». In casa eravate fascisti?«No, fascisti no, ma certamente ci riconoscevamo in una destra patriottica. Io sono cresciuto nelle caserme e in mezzo alle sfilate militari. I capelli me li tagliava il barbiere dei carabinieri».Non mi dica che non ha neppure un piccolo busto di Benito Mussolini…«Non troverà foto mie con la camicia nera e mentre faccio il saluto romano, però sono stato un militante della destra, Ho i libri di Renzo De Felice, di Mussolini stesso, ma anche “Che fare?” di Lenin, pure le biografie di Stalin. Ho migliaia di libri in casa e molti sono dedicati al Futurismo, la mia passione».Qual è il suo primo ricordo?«L’arrivo in famiglia della 600. I viaggi da Roma a Cava dei tirreni dove vivevano i miei nonni, quando non c’era ancora l’autostrada del Sole. Quando l’hanno inaugurata, ricordo il gioco dell’oca che regalavano a noi bambini al casello».Che cosa rammenta della sua carriera da giornalista al Secolo d’Italia?«Che dovevamo imparare a fare tutto, dalle inchieste ai titoli all’impaginazione. Eravamo pochi e senza soldi e dovevamo adeguarci. Io ho fatto l’intero cursus honorum, da abusivo a condirettore. Mi ricordo un resoconto di un vertice da Versailles. Il caporedattore mi disse prendi l’enciclopedia e scrivi. Dalla descrizione che feci del palazzo sembrava che io fossi là dentro e, invece, ero a Roma».Inchieste?«Una sulla gestione di fondi legati all’agricoltura da parte di Federconsorzi. Avevamo una fonte là dentro. Era una realtà legata alla Dc».Che cosa ha portato in politica di quell’esperienza?«Il dono della sintesi e della battuta sferzante. C’è il caso della barca di Roberto Fico? Riassumo la vicenda con quello che avrei fatto come titolo e cioè che abbiamo una sinistra del gozzo».Il suo modello di giornalista?«Ho ammirato Indro Montanelli e il suo stile, fatto di frasi brevi ed efficaci».Un riferimento un po’ meno scontato…«Beh, allora le dico Gianpaolo Pansa, prima che scrivesse il Sangue dei vinti. Al suo funerale ero l’unico politico».Come vi siete conosciuti?«Dopo un mio intervento sulle foibe alla Camera, disse che avevo ragione io nel suo Bestiario sull’Espresso. E quella era ancora una rubrica di sinistra su un giornale di sinistra»Politici di sinistra che stima?«Luciano Violante. Ho iniziato a conoscerlo quando era presidente della Camera e fece il discorso sui ragazzi di Salò. Lui era stato comunistissimo, capo della sinistra giudiziaria. Poi ha assunto posizioni dialoganti, al punto che la sinistra lo ha un po’ accantonato. Poteva diventare presidente della Repubblica, quantomeno giudice della Corte costituzionale, invece, sa cosa fa adesso? È presidente di un consorzio di università telematiche. E visto che io non ho grande simpatia per questo tipo di strutture che, per me, vendono “indulgenze”, e le attacco spesso, mi ha chiamato per dirmi che il suo è un consorzio serio…».Un esponente Pd ancora in attività con cui ha buoni rapporti?«I migliori li ho con Pier Ferdinando Casini. Mi dispiace che sia stato eletto con il Pd e sia uscito dal campo berlusconiano. Tirava a diventare presidente della Repubblica e l’avrebbe meritato, ma era un’ipotesi veramente complessa, che difatti non si è realizzata. Io tifavo per lui».E perché non ce l’ha fatta?«Per colpa di Matteo Salvini che non lo ha voluto. Tutti gli altri l’avevano accettato e Mattarella non si voleva ricandidare». Che legame aveva con Giorgio Napolitano?«È stato il mio primo presidente della Camera e, con lui, ho avuto un rapporto di grande franchezza, a partire da quando era ministro dell’Interno e i reparti speciali delle Forze dell’ordine finirono nel mirino, in primis il Ros di Mario Mori. Grazie anche alla mia battaglia raggiungemmo un compromesso. Ho fatto anche cancellare dalla Turco-Napolitano la norma che dava il diritto di voto agli immigrati alle elezioni amministrative. Durante uno di questi scontri il futuro presidente disse: “Gasparri è sempre un mio fiero avversario”. Da senatore a vita, quando è iniziata la stagione dei grillini, che lui guardava come marziani, dichiarò: “Adesso Gasparri è un baluardo della democrazia”. Tra Fico e me, trovava più similitudini con me, che come lui ero stato un militante politico, un parlamentare, un dirigente politico, al contrario di questi quattro zappatori improvvisati, con tutto il rispetto per gli zappatori».Ma per alcuni Napolitano è stato il killer politico di Berlusconi…«Ma non era lui che ci doveva salvare. Qualcuno dirà che il presidente della Repubblica deve essere super partes, ma il capo dello Stato mica lo porta la cicogna, proviene da una parte politica. Chiamava me e Fabrizio Cicchitto, i due capigruppo del Pdl in Parlamento, per essere aggiornato sull’evolversi della situazione. Io gli dicevo che era tutto a posto, perché Palazzo Madama resisteva, lì non c’era Fini che rompeva i coglioni. E lui ci rispondeva “Vabbè, ci andiamo sentendo”».Dunque, per lei non è stato Re Giorgio a far cadere Berlusconi?«A fare cadere Silvio sono stati vari fattori, compresa la lettera mandata dalla Bce a firma Draghi-Trichet. Napolitano è stato un notaio, i veri responsabili delle dimissioni sono stati Fini con il suo tradimento e la magistratura con i suoi attacchi. Napolitano non era certo dalla nostra parte, ma quando venne chiesto il voto di sfiducia ci lasciò un mese di tempo per rinsaldare le fila».Disprezza massimamente Beppe Grillo e il Movimento 5 stelle: lì in mezzo non salva nessuno? «Con uno di loro ho un dialogo, ma non le dirò mai il nome: gli farei un danno».È entrato in Parlamento con l’Msi in piena Tangentopoli. Sventolava anche lei il cappio a socialisti e democristiani?«Il cappio no, ma tiravo palle di carta. Ho lanciato per aria anche un resoconto della Camera e per quello stavano per sospendere La Russa, che era innocente».All’epoca eravate un po’ forcaioli...«Certamente, noi del Msi in questo modo pensavamo di conquistare spazio politico».Era anche il periodo delle stragi di mafia…«Le racconto un episodio che riguarda il voto come presidente della Repubblica a Paolo Borsellino, una storia che sbugiarda ancora una volta Report».In che senso?«Loro sostengono che Borsellino, quando parla dell’amico che lo ha tradito, si riferisse a Guido Lo Porto, un parlamentare del Movimento sociale e poi di Alleanza nazionale. Ma è una fake news e posso dimostrarlo. Subito dopo la strage di Capaci, per il Quirinale, noi missini, decidiamo di sostenere un uomo simbolo: Borsellino. Mica lo potevamo scegliere noi il Capo dello Stato, ma era un colpo di teatro. Ci riuniamo nella stanza di Tatarella e Lo Porto ci dice: “Ho parlato con Borsellino e mi ha chiesto di non votarlo”. Quindi i due erano ancora in contatto a poche settimane dalla strage di via D’Amelio e Borsellino, che era un uomo schivo, aveva affidato a Lo Porto questo messaggio per noi».E voi che cosa avete fatto?«Ce ne siamo fregati e abbiamo votato Borsellino. Siamo stati maleducati».Ha conosciuto personalmente il giudice eroe?«Nel 1990 a Siracusa. Io ero il presidente del Fronte della gioventù e Gianni Alemanno il segretario. Organizzammo a Ortigia la nostra festa nazionale e decidemmo di invitare Borsellino che, in quel momento, era procuratore a Marsala (per quella nomina Leonardo Sciascia parlò di professionisti dell’Antimafia). Lui accettò l’invito e si presentò a bordo di un’Alfetta blindata, che guidava personalmente. Era senza scorta. Quando entrammo un po’ in confidenza mi disse: “Con quest’auto faccio Palermo-Marsala quasi tutti i giorni e ho delle istruzioni: se succede qualcosa mi devo accostare e usare il telefono satellitare che è montato a bordo per chiamare aiuto”. Poi aggiunse: “Comunque, se mi devono ammazzare mi ammazzano.” Questo mi disse Paolo Borsellino una sera di settembre del 1990». Che cos’altro ricorda di quella conferenza?«Ci disse: “Io adesso ho i capelli grigi, voi restate fedeli ai vostri ideali fino a quando anche voi avrete i capelli grigi”. Per me quello era un messaggio di appartenenza. Certo, lui non è stato mai politico e si è pure incazzato quando l’abbiamo votato, usando il suo nome e il suo prestigio».È stato ministro delle Telecomunicazioni, uno dei dicasteri chiave per Berlusconi. Perché il Cavaliere ha scelto lei per un ruolo così delicato?«Non poteva mettere uno di Forza Italia, io ero di Alleanza Nazionale ed ero considerato una persona di fiducia, che aveva già fatto il sottosegretario nel primo gabinetto Berlusconi. Venni convocato a Palazzo Grazioli e c’era anche Fini. Io volevo fare il viceministro dell’interno e il ministero delle Telecomunicazioni era stato abolito e accorpato al ministero dell’Industria. Mi dissero: “Lo ricostituiamo”. Fecero un decreto e giurai una settimana dopo con Berlusconi, Fini e Ciampi».Qual è il politico con cui ha la consuetudine più antica?«Con Tajani perché con Antonio ci siamo conosciuti a scuola, abbiamo preso bastonate in testa da ragazzini. Ci siamo forgiati in quella stagione difficile, lui giovane monarchico e io esponente del Fronte della gioventù».Andavate al Tasso…«Il liceo dei comunisti. E tra questi c’era anche Paolo Gentiloni che, però, non era un picchiatore, ma un comunista del movimento studentesco sì».Ha preso più botte di quante ne ha date o viceversa? «Le ho soprattutto prese perché non ho il fisico, ma è andata peggio ad Antonio che ha dovuto cambiare scuola perché, se non ricordo male, gli hanno pure spaccato un braccio».Qual è il ricordo più brutto che le ha lasciato la politica?«Quelli degli anni ‘70. Io ho conosciuto Angelo Mancia, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Mario Zicchieri, Francesco Cecchin, Paolo Di Nella. Di molti caduti avevo il numero di telefono, li convocavo alle riunioni. I fratelli Mattei non li ho mai incontrati, ma avevo 16 anni quando li hanno bruciati vivi. Sono stato al loro funerale a piazza Salerno. Sono stato il primo ad arrivare nel portone di casa di Angelo Mancia e l’ho visto sotto un lenzuolo bianco, non ci può essere un ricordo più brutto».E non ha mai avuto paura di essere ucciso?«Non è che ci si pensasse più di tanto, anche se c’era la consapevolezza che potesse succedere. Quello che io non perdono alla magistratura romana, compreso il procuratore di oggi, è di non aver mai voluto cercare gli assassini di Acca Larentia, perché questi hanno lasciato una traccia chiara: la mitraglietta che ha ucciso Bigonzetti e Ciavatta è stata usata dalle Brigate Rosse per ammazzare il sindaco di Firenze Lando Conti e il professor Roberto Ruffilli. Questo significa che i militanti dei centri sociali di Roma Sud sono transitati nelle Brigate Rosse e si sono portati le armi, ma nessuno ha ancora voluto seriamente cercare gli utilizzatori. Ma il reato di omicidio non si prescrive e quegli assassini vanno trovati».E perché sino a oggi non è accaduto?«La magistratura ha paura di andare a caccia degli scheletri negli armadi della sinistra, perché è strutturalmente piegata da quella parte. C’è poco da fare. I pm che non sono di sinistra sono poco coraggiosi e molto silenziosi».È assai critico con la Procura di Roma…«Io disprezzo quei signori anche perché mi hanno fatto un ingiusto processo in cui sono stato assolto ed è una vergogna che ricade sull’ex procuratore Giuseppe Pignatone e sul suo vecchio collega Nello Rossi. È una vergogna che non gli perdonerò mai».Perché ha subito il processo?«Perché, quando c’era il Pdl, avevo accantonato dei fondi per le cause di lavoro dei dipendenti del gruppo e l’accusa sosteneva che io me ne volessi appropriare. Sono stato assolto perché il fatto non sussiste».La commissione Antimafia di cui fa parte si sta occupando del procedimento che coinvolge l’ex procuratore di Roma Pignatone…«Pignatone è uno che ha comprato insieme con la sua famiglia una ventina di immobili, pagandoli in nero, da persone di malaffare e nessuno dice niente. Tranne voi non ne ha parlato nessuno e questa è una vergogna per il giornalismo italiano. Pignatone è un intoccabile. Petrolini a un loggionista che faceva rumore a teatro disse: “Io non ce l’ho con te, ce l’ho con il tuo vicino che non ti butta di sotto”».E chi è oggi il vicino del loggionista?«La pletora di giornalisti non di sinistra che non hanno il coraggio di scrivere la verità che solo voi avete scritto. Pignatone deve spiegare e io gli darò filo da torcere, anche in commissione. Nei prossimi giorni verrà il procuratore di Caltanissetta Salvo De Luca e gli chiederemo dell’interrogatorio che ha fatto a Pignatone».A proposito di magistrati, se il referendum sulla giustizia dovesse vincere il No, la Meloni, secondo lei, si dovrebbe dimettere?«La Meloni non si dimetterà in nessun caso. Quindi è un’ipotesi che non esiste».Il No può prevalere?«Lo escludo. Perché succeda dovremmo inanellare una serie di errori che eviteremo».Si è pentito di qualche cosa che ha fatto nella sua carriera?«Mah, di qualche lite, di qualche zuffa. Per esempio, non rifarei più la famosa telefonata in diretta tv a Simona Ventura, conduttrice di Quelli che il calcio, anche se la gag che mi avevano dedicato era davvero offensiva e avevo ragione di lamentarmi».Qual è la critica o l’insinuazione che le ha dato più fastidio?«Che noi “Berluscones”, così ci chiamavano, stessimo con il Cavaliere perché ci eravamo venduti a lui».Il più grande avversario di Berlusconi, nel campo dell’editoria, è stato Carlo De Benedetti…«Che ha fondato un giornale il cui direttore ombra è diventato un finanziere che faceva lo spione, Pasquale Striano. Comunque, De Benedetti l’ho conosciuto personalmente.Racconti…«Sono stato una volta molti anni fa a casa sua a via Monserrato a pranzo».Il motivo?«Ero ministro delle comunicazioni e mi voleva conoscere. Io lo attaccavo sempre e avevo detto che i conti dell’Olivetti da lui diretta erano falsi. E oggi posso confermarlo a distanza di anni: i conti della Olivetti erano falsi».Veniamo all’attualità: cambierete la legge elettorale?«Inevitabilmente. Prima del 2027 dobbiamo varare una legge simile a quella delle Regionali, che consenta le coalizioni, ma anche di correre ai singoli partiti».E, invece, la legge sul fine vita a che punto è?«Credo che si debba fare, però restano ancora dei nodi da sciogliere, perché quando si tratta di decidere sulla vita e sulla morte diventa molto complicato». Ma è vero che i vescovi spingono per un intervento?«Sì, ritengono che una legge sia meglio che l’incertezza delle sentenze della magistratura».Che cosa pensa dell’aumento di stipendio che il suo amico Renato Brunetta si è dovuto rimangiare?«Gli ho telefonato e gli ho detto, con pacatezza e amicizia, che non era una decisione opportuna. Gli amici veri sono quelli che ti avvertono quando stai sbagliando. E credo che mi abbia ascoltato. La decisione non era illegittima, non era illegale, però, era inopportuna».Passiamo a qualche domanda più leggera. Lei è un grande tifoso della Roma.«Pensi che per la mia squadra ho rinviato di una settimana il mio matrimonio con Amina, che avevo conosciuto per la comune militanza politica, anche se lei era di Milano, lavorava a Radio university».Che anno era?«Il 1983. La Roma aveva vinto lo scudetto e io ho voluto partecipare ai festeggiamenti all’Olimpico, previsti in occasione della partita con il Torino. Dissi ad Amina: “Dobbiamo rinviare di una settimana”. Accettò. Per fortuna rinviare non è stato troppo complicato: era una cerimonia abbastanza austera, al Comune di Milano, con una quindicina di invitati, tutti parenti. Alla fine quel matrimonio è durato più di quarant’anni e dura ancora».Tra Gian Piero Gasperini, l’attuale allenatore che ha portato la Roma in cima alla classifica di serie A, e Josè Mourinho chi butta giù dalla torre?«Mourinho è uno dei colossi del calcio, come Niels Liedholm, l’allenatore dello scudetto del 1983, come Carlo Ancelotti. Ha un carisma diverso, anche come vis polemica. Gasperini, però, mi piace molto».Tra Jannik Sinner e Bruno Vespa chi lascia precipitare?«Sinner. Perché per me vengono prima gli italiani. Battute a parte io privilegio il rapporto personale e con Vespa ci siamo sentiti anche oggi. Mi ha mandato il suo ultimo libro con dedica».Ed eccoci alla scelta più difficile: tra Giorgia Meloni e Berlusconi, chi salva?«A Giorgia voglio davvero bene, ma Berlusconi è uno di quei monumenti della storia contemporanea che non si possono abbattere. È stato un uomo di straordinaria umanità, molto diverso da un tipo algido come Fini». Con quest’ultimo ha recuperato il rapporto?«Diciamo, diplomaticamente, che non ho più sentito il bisogno di parlargli».