2020-08-29
La sinistra faccia i conti con la storia e la smetta di ritenersi superiore
Gianrico Carofiglio, (Getty images)
Dal giornalista Michele Serra allo scrittore Gianrico Carofiglio, i progressisti continuano a sputare veleno sulla destra, accusandola a priori di neofascismo e razzismo. Sono loro a impedire qualsiasi tipo di dialogo.Norberto Bobbio, che supponiamo essere uno dei padri nobili della sinistra moderata italiana, dichiarava, alla soglia dei novant'anni, di aver appreso dai suoi maestri una «duratura lezione: quella dell'umiltà». Poi aggiungeva: «La nostra condizione permanente è quella del dubbio metodico». Si definiva, infatti, «un uomo del dubbio». Come è potuto succedere, allora, che tanti dei suoi presunti nipotini dal dubbio non si facciano mai nemmeno sfiorare? Certo, fingono di essere riflessivi, di mettere in discussione tutto (soprattutto le certezze altrui). Ma mai una volta che vacillino quando si tratta della loro superiorità morale e intellettuale. La convinzione di essere «migliori» è talmente radicata negli intellettuali, nei politici e in gran parte degli elettori progressisti da rendere fallimentare ogni tentativo di dialogo. A un certo punto, costoro si trincerano dietro il loro ancestrale disprezzo, costruiscono fortini di spocchia e piedistalli di sicumera, ci salgono sopra e sputano veleno su tutti gli inferiori sottostanti. Prendiamo Michele Serra. Uomo di spirito e di scrittura talvolta soave, senz'altro intelligente e a tratti persino simpatico. Eppure c'è una forza che lo sovrasta, e lo spinge inevitabilmente a denigrare chi la pensa diversamente da lui. Ieri, commentando la vicenda del pizzaiolo di Fondi candidato di Fdi con una discutibile passione per l'armamentario ideologico nazista, Serra non ha potuto evitare la divagazione ideologica sulla destra italiana. «A parte lo sparito Gianfranco Fini», ha scritto, «quale altro fascista italiano ha provato a fare i conti con sé stesso, la propria storia, le proprie chiacchiere e il proprio distintivo? Ci sono forse stalinisti residui - a parte qualche marginalissima macchietta - nella sinistra italiana? Si festeggia forse da qualche parte il compleanno di Stalin, di Pol Pot, o di altri macellai “di sinistra", così come si inneggia serenamente al macellaio Mussolini?». Già si potrebbe obiettare che definire Gianfranco Fini «un fascista» è assurdo e antistorico quanto paragonare Mussolini a Stalin, ma Serra prosegue: «C'è un prezzo da pagare alle proprie tragedie. Un album di famiglia che è pesante aprire, perché molte pagine sono macchiate di sangue. Quel prezzo la sinistra italiana l'ha pagato, la destra no». Eccolo di nuovo: noi di sinistra siamo migliori di voi, fascisti che non siete altro. Quanta spocchia, quanta arroganza. E che scarso rispetto del passato altrui. La destra il prezzo della sua storia lo paga ogni giorno, ogni ora: lo porta marchiato a fuoco sulla pelle. Lo paga ogni volta che qualcuno identificato come «di destra» viene definito «fascista» e poi zittito. Lo paga con la marginalizzazione perenne, con l'esclusione dal consesso civile imposta proprio dai «democratici» amici di Serra. Lo paga con gli insulti, le minacce e le manifestazioni di razzismo ideologico a cui è costantemente sottoposta. Lo paga quando gli psicoanalisti progressisti definiscono «malati di mente» i «sovranisti». Ma passi. Torniamo piuttosto al dubbio. È davvero sicuro, Serra, che la sinistra abbia fatto i conti con la storia? Magari non festeggia il compleanno di Stalin, ma continua tranquillamente a flirtare con i picchiatori dei centri sociali, e a giustificarli in nome della comune lotta «antifascista». Forse non celebra Pol Pot, eppure tante città rosse sono piene di vie intitolate ad aguzzini di prim'ordine. E qui siamo ancora al folklore. Vogliamo discutere della resistenza e delle sue ombre scurissime su cui è ancora proibito proferire verbo? Vogliamo parlare degli anni di piombo, dell'assassino Cesare Battisti e dei suoi illustri sostenitori o degli infiniti altri casi di doppia morale? Il punto è che, se avesse davvero fatto i conti con il passato, la sinistra italiana smetterebbe di considerarsi superiore. Si farebbe, appunto, sfiorare dal dubbio. E invece, guarda un po', ogni giorno è buono per una nuova gettata di astio. Giusto ieri, sul Venerdì di Repubblica, Gianrico Carofiglio presentava il suo ultimo libro. E discettava di «nuovi bari» presenti nei talk show, di «manipolatori» e «imbroglioni». Cioè dei politici e giornalisti di destra che a Carofiglio medesimo capita di incontrare nei salotti televisivi. Per tutte e 4 le pagine del servizio, l'ex giudice ed ex senatore Pd se la prende con gli schifosi populisti da cui bisogna «difendersi» perché cercano la zuffa, dicono balle e abbassano il livello culturale della nazione. Certo, dovremmo imparare l'etichetta dal bel Gianrico, uno che non manca mai di guardare i suoi interlocutori con sdegno, specie se sui fatti di cronaca sono più informati di lui (come quasi sempre accade). Uno che elargisce perle di saggezza come se fosse l'oracolo di Delfi, non ha alcuna considerazione dell'altro, eppure si permette di dar lezioni perché - appunto - si considera migliore, dall'alto dei suoi capolavori letterari. Forse, se avessero fatto i conti con la loro storia d'arroganza e presunzione, i progressisti capirebbero che, dall'altro lato della barricata, ci sono concittadini da rispettare, non bruti da insultare e svilire. O magari no, magari non cambieranno mai e rimarranno sempre così: serenamente stronzi.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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