2018-08-08
La rottamazione porterà 3,5 miliardi
Nella prossima Finanziaria prevista la pace fiscale. Al numero uno delle Entrate per restare in carica serve la riconferma entro il 4 settembre. Dalla sua il fatto di essere il massimo esperto di recupero cartelle a sconto.La Corte dei conti lancia l'allarme sull'evasione, pari in media a 107 miliardi all'anno. Oltre alle sanzioni, i giudici chiedono riforme per facilitare l'adempimento spontaneo.Il ministro Luigi Di Maio promette tagli al cuneo fiscale ma deve trovare almeno 22 miliardi. Il decreto Dignità è legge: «Creeremo 62.000 posti in più, lo dice l'Inps. Nella Finanziaria 10% di tasse in meno in busta paga».Il M5s insiste per addebitarci il salvataggio Alitalia. Il vicepremier grillino nega le voci sulla newco pubblica, però dice: «La compagnia resti italiana». Aiuti già costati 17 miliardi.Lo speciale contiene quattro articoliL'ultimo colpo di coda della rottamazione bis è ancora in movimento. La prima edizione aveva portato nelle casse delle Stato circa 5 miliardi di euro, quella in corsa varrà qualcosa di più di 1,5 miliardi. Il governo gialloblù ha però bisogno di altri soldi e medita di inserire nel collegato alla prossima Finanziaria il decreto per una terza rottamazione. Probabilmente sarà più ampia delle precedenti con l'obiettivo di fare gettito per 3,5 miliardi. Fondi che nonostante siano legati a una voce una tantum possono essere messi a copertura delle voci di manovra. È chiaro che per portare a casa un tale risultato sarà necessario raschiare il barile.Non a caso Matteo Salvini lo scorso giugno ha lanciato l'ipotesi di chiudere subito le cartelle sotto i 100.000 euro per poi aggredire i contenziosi posti sopra quell'asticella. Si tratta di una mossa di marketing che permetterebbe di far guadagnare consensi perdendo una cifra non superiore ai 54 miliardi. Mentre l'Erario si concentrerebbe sull'altra fetta di crediti aggredibili. Altri 51 miliardi, che però riguardano una percentuale minoritaria di contribuenti.Secondo quanto calcolato dall'Ansa, il 94% delle cartelle è al di sotto dei 100.000 euro, mentre se si guarda alle liti fiscali già avviate sotto questa soglia rientra l'86,4% delle istanze presentate.L'allora amministratore delegato di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini - ora a capo dell'Agenzia delle entrate - durante un'audizione parlamentare sui «carichi» affidati alla riscossione alla fine del 2016 aveva spiegato che i debiti tra i 1.000 e i 5.000 euro rappresentano il 74% del totale, il 7,1% si trova tra i 5.000 e i 10.000 euro, l'11,9% tra 10.000 e 50.000 mentre appena il 3% ha debiti tra 50.000 e 100.000 euro. Alla fine del 2016 il «magazzino» di carichi affidati alla riscossione ammontava a 817 miliardi di euro, ma Ruffini aveva tenuto a precisare che «la quota su cui azioni di recupero potranno ragionevolmente avere più efficacia si ferma a circa 51 miliardi».Il governo sa bene che per lanciare la nuova campagna soprannominata «pace fiscale» c'è bisogno della collaborazione fattiva dell'amministrazione finanziaria. Sia dell'ex componente di Equitalia sia di tutti gli uffici dell'Agenzia. A capo di tutto - come abbiamo scritto sopra - c'è il renziano Ernesto Maria Ruffini, manager di lungo corso al di là delle simpatie politiche. Ruffini e Salvini non si sono mai amati, lo si evince da quanto i due hanno scritto sui social. Però Ruffini ha dalla sua un'enorme garanzia. In Italia è il maggiore esperto di rottamazione. Se Lega e 5 stelle mettono a bilancio un valore così elevato la sua poltrona è praticamente garantita. Il governo avrebbe enormi difficoltà a sostituirlo con una figura in grado di prendere il timone di una macchina così complessa in poco tempo e con la certezza di portare a casa un risultato così sfidante. Gli addetti ai lavori vivono il momento comunque con trepidazione. Se entro il 4 settembre un Consiglio dei ministri non confermerà le nomine precedenti Ruffini e pure il collega Roberto Reggi, responsabile del Demanio, la decadenza scatta in automatico. Sono due figure apicali ancora soggette a spoils system, così come quella di Giovanni Kessler che guida le Dogane. Non è un caso quindi che ai piani alti dell'Agenzia sia partita una campagna di comunicazione improntata alla parsimonia. Lunedì le agenzie stampa titolavano: «L'Erario dimezza i dirigenti». In realtà il processo è un po' più complesso e soprattutto contorto. I dirigenti risultano dimezzati perché invece di indire un nuovo concorso si assegnano deleghe e compensi (di fatto dirigenziali, formalmente le 1.483 posizioni organizzative di cui parla la nota dell'Agenzia delle entrate) a funzionari individuati secondo criteri interni.Dopo la sentenza della Corte costituzionale che nel 2014 aveva retrocesso circa 1.000 dirigenti incaricati a semplici funzionari, per sopperire alla mancanza di dirigenti il governo Renzi aveva approvato un concorso (ancora non fatto) e creato delle posizioni organizzative transitorie, cosiddette Pot, con le quali venivano assegnate deleghe e relativa retribuzione maggiorata a buona parte degli ex incaricati. Lo scorso 19 luglio, il Tar del Lazio, su ricorso di Dirpubblica, ha rinviato alla Corte Costituzionale la norma del governo Renzi che istituisce le Pot per l'Agenzia delle dogane e il prossimo 31 ottobre dovrà decidere sul ricorso gemello per le Pot dell'Agenzia delle entrate.Nel frattempo, il governo Gentiloni è intervenuto creando nuove posizioni. Anche in questo caso, senza concorso sono state assegnate deleghe e retribuzioni aggiuntive senza creare formalmente dirigenti. Adesso tutto pende dalla bocca del Tar. Certo, ma prima sul futuro di Ruffini arriverà il responso del governo e dalla sua ha la fame di rottamazione. Cash is always the king.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-rottamazione-portera-3-5-miliardi-e-ruffini-cosi-blinda-il-suo-futuro-2593679716.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pagare-deve-diventare-piu-facile" data-post-id="2593679716" data-published-at="1757656388" data-use-pagination="False"> «Pagare deve diventare più facile» «Stretta» o «in salita» che sia, come ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti al termine del vertice a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, i vicepresidenti Luigi Di Maio e Matteo Salvini e il ministro dell'Economia Giovanni Tria, la via della legge di bilancio è tracciata. Ci saranno il reddito di cittadinanza e la flat tax, anche se gradualmente, guardando ai dati di bilancio. A partire dalle entrate che, come si legge sui libri, condizionano la spesa o la riduzione delle imposte. Una realtà, tuttavia, sulla quale pesa come un macigno l'evasione fiscale, secondo una denuncia reiterata nei giorni scorsi dalla Corte dei conti nella relazione al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 2017. Anno difficile, che espone un dato allarmante perché i livelli dell'evasione fiscale «restano sostanzialmente costanti da un anno all'altro e particolarmente elevati rispetto a quelli esistenti nei principali Paesi europei». Un fenomeno patologico, scrivono i magistrati contabili, «che dovrebbe indurre strategie articolate basate su vari livelli di intervento per favorire e facilitare l'adempimento spontaneo e contrastare i comportamenti pervicacemente scorretti con adeguati controlli e incisive misure sanzionatorie e di riscossione». In media, nel triennio 2012-2014, il gap complessivo è pari a circa 107,7 miliardi, di cui 97 miliardi di mancate entrate tributarie e 10,7 miliardi di mancate entrate contributive. Per la Commissione europea, inoltre, l'Italia è ai primi posti in tema di gap Iva. La Corte segnala che il contrasto all'evasione è inadeguato e dovrebbe articolarsi «in un insieme di strumenti tra loro coordinati e coerenti, quali quelli normativi, quelli tecnologici e quelli più specificamente amministrativi» escludendo quegli «andamenti contraddittori, nocivi all'efficacia del sistema». È vero che le risorse umane sono insufficienti (-11,8%), in rapporto alla dimensione e alle caratteristiche del fenomeno da fronteggiare, ma è evidente che l'evasione non è solo un problema di controlli perché in primo luogo dovrebbero sovvenire i meccanismi diretti a «facilitare l'adempimento spontaneo» del dovere tributario. Che sarebbe agevolato dalla riduzione delle imposte con la flat tax, anche se non è così automatico. Chi evade probabilmente continuerà a farlo fidando nell'impunità e in qualche condono sempre dietro l'angolo. Evasione a parte, le entrate dello Stato denunciano «una sostanziale stabilità», scrive la Corte: oltre 582 miliardi (solo il 3% più del 2016), l'84% dei quali è costituito dalle entrate tributarie (+0,5% rispetto al 2016). E se questo zero virgola può essere apprezzato, perché sconta gli effetti della riduzione del carico tributario su alcuni contribuenti (riduzione dell'aliquota Ires dal 27 al 24%, modifica delle detrazioni sui redditi da pensione, modifiche alla detassazione dei premi di produttività), va considerato che «il fenomeno delle imposte dichiarate e non versate», prosegue la relazione», «si riconnette a un altro aspetto peculiare nel funzionamento del sistema fiscale italiano, quello delle rateazioni dei debiti d'imposta, che costituisce ormai un nuovo canale di erogazione del credito, pur in assenza di garanzie e di valutazioni prognostiche sulle future capacità dei debitori, con l'effetto non infrequente di differire nel tempo la presa d'atto di insolvenze ampiamente prevedibili». Come dimostra il contenzioso tributario nel quale l'avvocatura erariale di trova a rincorrere spesso soggetti ormai falliti e, pertanto, insolvibili. E qui va ricordata un'altra denuncia della Corte dei conti sulla quale si è già soffermata La Verità, la mancata realizzazione dell'anagrafe dei grandi evasori. Un'omissione politicamente grave, con aspetti non irrilevanti di danno erariale. Nel contempo crescono le imposte indirette: +1,9% rispetto al 2016, a conferma di una tendenza che dal 2013 ha visto incrementare il gettito del 9,7%. E c'è chi considera l'aumento delle aliquote Iva un'ipotesi possibile per coprire, almeno in parte, le nuove spese. Francesco Forte, già ministro delle Finanze, nel suo Il bilancio nell'economia pubblica, ha ricordato che, secondo Publio Cornelio Tacito, il grande storico romano, la tassa sugli scambi era il pilastro della finanza dell'impero, in sostanza la nostra Iva, un'imposta flessibile che consente di distinguere tra i consumi in relazione alla loro utilità e necessità sociale. Un'imposta che pagano anche gli evasori delle imposte sui redditi. Tutto sta a evitare l'evasione dell'Iva. Salvatore Sfrecola <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-rottamazione-portera-3-5-miliardi-e-ruffini-cosi-blinda-il-suo-futuro-2593679716.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="di-maio-promette-tagli-al-cuneo-fiscale-ma-deve-trovare-almeno-22-miliardi" data-post-id="2593679716" data-published-at="1757656388" data-use-pagination="False"> Di Maio promette tagli al cuneo fiscale ma deve trovare almeno 22 miliardi Licenziato il decreto Dignità al Senato (approvato ieri con 155 voti favorevoli, 125 contrari e un astenuto), il governo si prepara ad affrontare la prossima sfida. Tra le principali novità introdotte dalla riforma ci sono la proroga per il biennio 2019-20 del bonus assunzioni al 50% dei contributi con l'estensione agli under 35 (misura che dovrebbe creare 62.000 nuovi posti in due anni, secondo le stime dell'Inps); l'abbassamento a 24 mesi per la durata del contratto a tempo determinato (anche se è prevista una fase transitoria fino al 31 ottobre) e il ripristino delle causali; l'aumento delle indennità di licenziamento per i contratti a tutele crescenti (da quattro a sei mensilità come minimo); sanzioni e restituzioni dei contributi versati dallo Stato in caso di delocalizzazione; il ripristino dei voucher per agricoltura, turismo ed enti locali; e una stretta sulle slot. In particolare, in questo campo verranno vietate le pubblicità e verranno resi obbligatori i lettori di tessere sanitarie su slot e vtl. Inoltre, è stato rimandato fino al 2019 l'obbligo di fatturazione elettronica per i distributori di carburante ed è stata data una proroga alle maestre diplomate, che rischiavano di essere escluse dall'insegnamento. Ridurre la tassazione sui salari è ora l'imperativo categorico del vicepremier Luigi Di Maio, che anche ieri ha ribadito la volontà di inserire la misura già nella prossima manovra. «Il taglio del cuneo fiscale? Sarà inserito nella legge di bilancio», ha detto a Radio24. «Vogliamo abbassare il costo dei contratti a tempo indeterminato e a breve avrete tutti i conti». Non che il tema rappresenti una novità. Molti governi hanno provato a spingere su questa leva. Come riporta il rapporto Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie dell'Istat, il cuneo fiscale e contributivo per il lavoro dipendente nel 2015 è stato pari al 46%. Il valore sfonda addirittura il 47% se consideriamo i single senza figli. «Il costo del lavoro, che è dato dalla somma delle retribuzioni lorde dei lavoratori e dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro», scrive l'Istat, «dal 2006 al 2015 mostra un andamento crescente segnato dalla riforma delle aliquote fiscali e contributive nel 2007, a cui è seguito un costante incremento del carico contributivo e delle imposte soprattutto per la crescita delle addizionali regionali e comunali». Su un costo del lavoro medio di 32.000 euro, solo 17.270 euro entrano nelle tasche del lavoratore. Tutto il resto se ne va in tasse. La componente maggiore è costituita dai contributi sociali dei datori di lavoro, pari al 25,4%. Il restante 20,6% è invece a carico dei lavoratori, di cui il 14% sotto forma di imposte dirette e il 6,6% di contributi sociali. Con differenze notevoli a livello geografico. Se al Sud e nelle isole il cuneo rappresenta «appena» il 44,1%, nel Nord Ovest si arriva al 47,4%. Se facciamo il paragone con l'estero i numeri diventano ancora impietosi. Secondo il rapporto Taxing wages, l'Italia è al terzo posto tra i Paesi Ocse per il peso del cuneo fiscale, dopo Belgio (53,7%) e Germania (49,7%) e appena prima della Francia (47,6%). Ancora una volta, però, il problema rimane quello delle coperture. Nelle scorse settimane Di Maio ha parlato di 300 milioni per le assunzioni a tempo indeterminato e «una percentuale che stiamo ancora quantificando», ma che potrebbe arrivare «anche al 10% del costo del lavoro a tempo indeterminato». Una cifra che difficilmente potrebbe bastare per finanziare una misura strutturale. Basti pensare che solo il bonus di 80 euro introdotto da Matteo Renzi costava 10 miliardi all'anno. Un provvedimento che intenda coprire l'intera platea dei lavoratori potrebbe gravare sulle casse dello Stato per una cifra nettamente superiore. Provando a fare una stima, il costo totale si aggirerebbe intorno ai 22 miliardi all'anno. È questa infatti la cifra che si ottiene moltiplicando il 10% del cuneo fiscale annuo medio per lavoratore dipendente (1.473 euro) per i 14,9 milioni di lavoratori a tempo indeterminato italiani (calcolo effettuato in in base ai dati Istat). Difficile che il taglio alle cosiddette «pensioni d'oro» possa risolvere il problema. Molto più realistico pensare a un riordino delle agevolazioni fiscali, dalle quali in campagna elettorale il M5s aveva previsto di ricavare 40 miliardi di euro. Una misura che rischia di risultare impopolare e che per essere attuata necessita di tempo. Proprio l'elemento che Di Maio sembra non volere (o potersi) permettere. Antonio Grizzuti <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-rottamazione-portera-3-5-miliardi-e-ruffini-cosi-blinda-il-suo-futuro-2593679716.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="il-m5s-insiste-per-addebitarci-il-salvataggio-alitalia" data-post-id="2593679716" data-published-at="1757656388" data-use-pagination="False"> Il M5s insiste per addebitarci il salvataggio Alitalia Un'Alitalia tutta italiana? Stando alle dichiarazioni del sottosegretario ai Trasporti, Armando Siri, in autunno sarà presentato il nuovo piano industriale. Lo schema, secondo le anticipazioni pubblicate dalla Stampa, sarebbe questo: capitale interamente pubblico spalmato su Ferrovie dello Stato, Poste e Cassa depositi e prestiti (Cdp). Ovvero, la nazionalizzazione al 100% dell'ex compagnia aerea di bandiera. Pochi giorni fa, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli aveva parlato di un rilancio diverso, con il 51% italiano e con un partner industriale forte «che faccia volare» la compagnia aerea nazionale. Adesso si pensa a farla volare ancora una volta con i soldi di noi contribuenti, spalmando per l'ennesima volta i debiti di Alitalia sulle nostre tasche? La Verità ha ricordato di recente come la compagnia sia costata in 42 anni 17,4 miliardi di euro. Di cui circa 10 in contributi indiretti e ammortizzatori e gli altri 7 in denaro contante versato dallo Stato. Solo pensare di mettere mano ancora una volta a fondi pubblici è una mostruosità, che deve aver fatto sobbalzare lo stesso ministro dello Sviluppo economico e del lavoro, Luigi Di Maio, se ieri in Senato si è affrettato a precisare che per Alitalia «la nazionalizzazione old style non è fattibile», e che la compagnia «deve restare un vettore dello Stato italiano, legato a realtà produttive italiane». Il vicepremier, spiegando che la sua intenzione sarebbe di «ridiscutere le norme europee» in merito alle nazionalizzazioni, ha poi ribadito che «in questo momento affrontiamo la questione con le scadenze che ci sono». Ma i rumors stanno diventando assordanti: se le indiscrezioni trovassero conferma nel nuovo piano, che sarà presentato tra settembre e ottobre, un'Alitalia tutta pubblica potrebbe essere una catastrofe, non una salvezza. Nel Contratto tra M5s e Lega, sottoscritto da Di Maio e da Matteo Salvini lo scorso 18 maggio, si legge: «Con riferimento ad Alitalia siamo convinti che questa non vada semplicemente salvata in un'ottica di mera sopravvivenza economica bensì rilanciata, nell'ambito di un piano strategico nazionale dei trasporti che non può prescindere dalla presenza di un vettore nazionale competitivo». Fino a poco tempo fa Di Maio sembrava in cerca di investitori stranieri per rilanciare la compagnia: «Mi spenderò in prima persona con tutti i player internazionali per trovare un futuro all'azienda», aveva assicurato. Se 5 stelle e Lega ora pensano a nazionalizzarla, coinvolgendo aziende pubbliche, che strategia del cambiamento potrà mai essere? In questo scenario non sarebbero più prese in considerazione le offerte presentate da Lufthansa, Easyjet e Wizz air, e non ci sarebbero tagli al personale. Il piano del governo punterebbe a salvaguardare tutti i posti di lavoro. Già ad aprile 1.300 lavoratori amministrativi di Alitalia si erano visti prolungare di un anno la cassaintegrazione. Il prossimo ottobre dovrebbe esaurirsi la riserva di fondi stanziati dal Parlamento per la compagnia aerea, il famoso prestito ponte di 900 milioni di euro (600 nel maggio 2017, altri 300 nell'ottobre dello stesso anno). Soldi non a fondo perduto, che devono essere restituiti. E la commissaria europea alla Concorrenza, Margrethe Vestager, aveva avvertito: «La Commissione ha il dovere di assicurarsi che i prestiti concessi alle compagnie da parte degli Stati membri siano in linea con le regole Ue sugli aiuti di Stato. Indagheremo se sia così per Alitalia». A fine luglio Toninelli assicurava che «sono in corso da parte di questo governo le interlocuzioni necessarie con tutti i player internazionali per assicurare un futuro a questa azienda, per tutelare al meglio le esigenze dei lavoratori e del gruppo». Adesso un'Alitalia tutta italiana e senza fondi pretenderebbe altri soldi dallo Stato o chiuderebbe i battenti? Patrizia Floder Reitter
Charlie Kirk (Getty Images)
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