2025-10-14
Gismondo senza filtri in commissione Covid. «Le intubazioni furono causa di molti morti»
Maria Rita Gismondo (Imagoeconomica)
Smontata l’intera gestione pandemica: «Speranza nel panico Avremmo potuto evitare tanti decessi e casi. Fu tutto sbagliato».Quello di Maria Rita Gismondo, audita ieri dalla Commissione Covid in Senato, è stato il primo, vero debriefing serio della gestione pandemica mai effettuato davanti alle istituzioni. Un’analisi impietosa, quella di Gismondo, che punta su due dati chiave, fermo restando che l’assenza del piano pandemico sia stata «la madre di tutti gli errori»: il primo è che «i dati che ci sono stati forniti di morti per Covid sono assolutamente discutibili. In quel periodo, in tutti gli ospedali qualsiasi decesso, anche con una debole positività del tampone e assenza di sintomi da Covid, veniva classificato come morto per Covid». Dunque, i numeri che oggi troviamo scritti ovunque, dalle più autorevoli riviste scientifiche ai maggiori siti di statistica, scendendo giù giù fino a Wikipedia, che comunque corrobora a livello popolare la narrazione di quegli anni, sono falsi. Secondo: le 70 autopsie fatte «un po’ di nascosto» dall’ospedale Sacco in collaborazione con l’ospedale di Bergamo, racconta Gismondo, hanno rivelato che i pazienti deceduti erano «un ammasso di coaguli». E quindi? «Quindi stavamo assolutamente sbagliando intubandoli in certe fasi della patologia e non curando quella che era la forte caduta infiammatoria». Qual è stato l’effetto dell’incubazione? «I miei colleghi mi hanno riferito che si assisteva in molti casi al collasso del paziente perché non si recuperava l’attività di ossigenazione: i polmoni non riuscivano a respirare». Sono state dunque vittime di malasanità, più che di Covid, le decine di migliaia di pazienti ospedalizzati che hanno subito il rito dell’intubazione, applicato ciecamente in gran parte degli ospedali italiani - come tutti i protocolli spalmati sulle masse anziché sui singoli individui - provocandone involontariamente il decesso. «Ricordiamo», ha spiegato Gismondo, «che è vero che le autopsie non erano vietate, ma era fortemente raccomandato di non eseguirle; per farle era necessario chiedere un’autorizzazione giudiziaria, cosa che accadeva sempre quando il malato era già incenerito. E quindi era impossibile indagare». Delle autopsie si è discusso sempre a mezza bocca: «Un principio infettivologico immutato da anni è che quando c’è una patologia sconosciuta bisogna assolutamente, in tutti i decessi, effettuare delle autopsie per cercare di capire qual è la patogenesi. Questo non è stato possibile, abbiamo compreso qualcosa di più quando, ripeto, quasi di nascosto, abbiamo effettuato queste 70 autopsie, i cui risultati sono stati strabilianti». Gismondo non è un medico qualsiasi: all’epoca è direttore della cattedra di microbiologia clinica all’università di Milano e direttore dell’unità sulle bioemergenze all’ospedale milanese Sacco (centro di riferimento ed eccellenza nazionale per le emergenze epidemiologiche e infettive, insieme con lo Spallanzani di Roma), poi capo dipartimento della medicina di laboratorio delle Ats Fatebenefratelli, Sacco, Buzzi e Macedonio Melloni, oggi è consulente del ministro della salute Orazio Schillaci e membro della commissione scientifico sanitaria. Non è insomma una che passava di lì per caso, come ha rudemente alluso l’avvocato Alfonso Colucci (deputato grillino e alter ego in Commissione Covid dell’ex premier Giuseppe Conte) chiedendole «quale fondamento scientifico condiviso hanno le sue teorie» e «quale documentazione può produrre che abbia un minimo di pregio». È per questo che non le è stato difficile fare quel debriefing tecnico di cui la comunità scientifica non piegata ai diktat di Speranza & Co. continua a sentire la mancanza. Si parte dai decreti ministeriali passando per le circolari che riservavano i tamponi soltanto ai sintomatici («quanti casi avremmo potuto evitare!»), i referti dei positivi che arrivavano sempre con giorni e giorni di ritardo, i voli bloccati soltanto se provenienti direttamente dalla Cina, le mascherine inutili e comunque regalate ai cinesi: «Non dimentichiamo che il 2 marzo 2021 il decreto numero 9 parla della possibilità di utilizzo di mascherine senza marchio Ce, quando già non c’è alcun lavoro scientifico che supporti che le mascherine chirurgiche evitino il passaggio di virus». Sono stati tutti provvedimenti adottati «nel panico», che Gismondo ha riscontrato soprattutto parlando con l’allora ministro della salute Roberto Speranza: «Ho avuto modo di incontrarlo nel 2020, gli ho parlato di un paio di cose tecniche e l’ho trovato, scusatemi, nel panico perché mi diceva “sì, ma rivolgetevi ai tecnici” dato che non aveva conoscenza e soprattutto non aveva il piano pandemico cui appoggiarsi».Le osservazioni e le critiche, però, hanno avuto un prezzo, racconta Gismondo ai senatori di Fratelli d’Italia Lucio Malan e Antonella Zedda: l’isolamento professionale, «un isolamento quasi mafioso; sono siciliana, la mia famiglia ha combattuto la mafia e so di cosa parlo», spiega. «Le mie contestazioni sui provvedimenti adottati, a cominciare da quello di consigliare Tachipirina e vigile attesa, fino al lockdown - è stata la prima volta che si sono isolati i sani e non soltanto i malati - mi sono costate molto. Non solo gli attacchi sulla stampa da parte di alcuni colleghi, ma anche una diffida che mi è arrivata dal Patto trasversale della scienza. Sono stata inoltre sottoposta a una commissione disciplinare dell’Ordine dei medici per le mie critiche ai vaccini a Rna. Non erano stati sperimentati sui bambini, non servivano ai giovani, le ricerche ci dicono che non è vero che l’Rna si distrugge subito. Ciò significa che non sappiamo in quale percentuale l’Rna può andare all’interno della cellula e indurre delle mutazioni, e secondo me non si doveva procedere se non c’erano le massime condizioni di sicurezza». Purtroppo per i cittadini italiani, invece, sono andati avanti lo stesso, whatever it takes.
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