2023-01-11
        «Repubblica» lancia la grande firma e si ritrova a fare il mazzo alla Nato
    
 
        Jeffrey Sachs (Getty Images)
    
Il prestigioso economista Jeffrey Sachs debutta sul quotidiano e critica Alleanza atlantica, Usa e guerra a Mosca, auspicando negoziati. Sono posizioni opposte alla linea del giornale, che si rifugia in un titolo sull’Amazzonia.Livello altissimo, per carità. Mettete in un solo articolo la deforestazione in Amazzonia, il bene comune (mondiale), il mondo multipolare, i rischi di catastrofe ambientale e la «neutralità climatica», le diseguaglianze (crescenti, ovvio), la fame nel mondo, «l’imperialismo europeo», la giustizia sociale, la rivoluzione tecnologica, la robotica e l’intelligenza artificiale. Vi viene un po’ lungo e fumoso? Non c’è da preoccuparsi. Mica tutti sono come l’economista americano Jeffrey Sachs, che ieri ha messo tutto questo ben di Dio del pensiero liberal, globale e multilaterale in una pagina per il quotidiano La Repubblica e gli è pure avanzato dello spazio. Già, perché la vera notizia di questo suo esordio da collaboratore del giornale della famiglia Agnelli Elkann è che Sachs ha infilato nel suo pezzo un’incredibile tirata contro il Dipartimento di Stato Usa, contro la Nato, contro la guerra in Ucraina e ha pure invitato a migliori scambi con la Cina. Il risultato è che uno dei quotidiani che più si è infilato l’elmetto dopo l’invasione del 24 febbraio scorso ha cucinato l’indigesto polpettone dell’economista illuminato facendo sparire dalla titolazione qualunque riferimento alle sparate in stile Manifesto. E ha titolato così: «La vera sfida è sull’Amazzonia». La vera sfida è come gestire un collaboratore d’eccezione che fa uno scherzo del genere. Per il direttore Maurizio Molinari, poi, sincero atlantista, è proprio una cattiveria. Sachs aveva cominciato con una sua lettura dei fatti brasiliani e l’auspicio che Lula dia «una nuova speranza, dopo quattro anni di governo disastroso». E pienamente in linea con il suo nuovo giornale aveva usato la categoria dei «politici demagoghi» per attaccare Donald Trump e Jair Bolsonaro: «Entrambi hanno usato i social media per aizzare la folla, che in entrambi i casi è stata sedata in giornata». Sedati gli oppositori, l’economista di Harvard e Columbia ne approfitta subito per suggerire che «non viviamo più in un mondo guidato dagli Stati Uniti, e neppure diviso tra gli Stati Uniti e la rivale Cina. Siamo già entrati in un mondo multipolare». Va bene, noi che viviamo in Italia e in un’Unione europea poco multipolare siamo decisamente sollevati di fronte al nuovo scenario. Ben prima che il lettore possa chiedersi dove ha già letto questi concetti, però, Sachs molla il Brasile e l’India e si regala un’autentica scorribanda sulla guerra in Ucraina. Comincia con i compatrioti: «Qui in Occidente siamo bombardati quotidianamente da narrazioni ufficiali ridicole, per lo più provenienti da Washington: la Russia è il male puro, la Cina è la più grande minaccia per il mondo e solo la Nato può salvarci». «Queste dabbenaggini», continua, «imbastite all’infinito dal Dipartimento di Stato americano, sono di grande ostacolo alla soluzione dei problemi globali». Sachs osserva che siamo intrappolati «in guerre che non avrebbero mai dovuto verificarsi e che devono essere fermate con i negoziati, piuttosto che con l’escalation». Per inciso, questo giornale ha scritto più volte che la guerra in Ucraina andrebbe risolta con dei negoziati di pace dove ognuno, per definizione, rinuncia a qualcosa. Le critiche dell’economista chiamato nel 2021 da papa Bergoglio a sedere nella Pontificia Accademia delle scienze sociali sono anche per la Nato, che sulle colonne di Repubblica è solitamente il Bene assoluto. Sachs la manderebbe volentieri in soffitta: «Le alleanze militari come la Nato non danno risposta alle vere sfide che dobbiamo affrontare (…) Sono un pericoloso anacronismo, non una vera fonte di sicurezza nazionale o regionale». E impietosamente ricorda le decisioni di estendere la Nato alla Georgia e all’Ucraina come mosse che avrebbero portato allo scontro con la Russia. Tutte queste critiche alla guerra in Ucraina, alla Nato e al Dipartimento di Stato Usa, almeno in Italia, ce le si aspetterebbe di vederle solo su un foglio comunista o, magari un po’ più velate, su Avvenire, il giornale dei vescovi. Invece ieri sono comparse a pagina quattro di un giornale che fino a ieri ha custodito l’ortodossia interventista e la narrazione di Vladimir Putin come Male assoluto. Per mesi, sul quotidiano diretto da Molinari, sono comparsi articoli riccamente illustrati con la descrizione quasi compiaciuta degli armamenti usati in Ucraina. Per mesi, qualunque politico od opinionista si fosse distaccato dalla linea della Nato è stato coperto dal silenzio, o attaccato come un nemico dell’Occidente. Adesso arriva il compagno economista Sachs e in un colpo solo apre una nuova pagina. Forse. Una pagina anche piena di critiche al paradigma americano, laddove Sachs invita anche tutti quanti a dialogare con la Cina, che «è un’antica civiltà di 1,4 miliardi di persone, che punta a sua volta ad alti standard di vita e all’eccellenza tecnologica». Sull’eccellenza democratica, per questa volta, neppure una parola. E a proposito di Cina, Sachs sembra saperla lunga: «Il virus all’origine del Covid 19 potrebbe essere stato frutto di biotecnologie avanzate (ancora non lo sappiamo)». Biotecnologie di chi? Di Bolsonaro, Trump o del Dipartimento di Stato Usa? Alla fine, con tutte le parole in libertà che Sachs ha consegnato a Repubblica, finalmente si è capito a che serve la foresta amazzonica: a coprirle tutte quante.
        Donald Trump e Xi Jinping (Ansa)
    
        
    (Ansa)
    
«Alla magistratura contabile voglio dire che sono rimasta francamente un po’ incuriosita di fronte ad alcuni rilievi, come quello nel quale ci si chiedeva per quale ragione avessimo condiviso una parte della documentazione via link, perché verrebbe voglia di rispondere “perché c’è internet”. Dopodiché il governo aspetta i rilievi, risponderà ai rilievi, sia chiaro che l’obiettivo è fare il ponte sullo Stretto di Messina, che è un’opera strategica, sarà un’opera ingegneristica unica al mondo». «Noi siamo eredi di una civiltà che con i suoi ponti ha meravigliato il mondo per millenni – ha aggiunto Meloni – e io non mi rassegno all’idea che non si possa più fare oggi perché siamo soffocati dalla burocrazia e dai cavilli».
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