2025-10-31
        Meno dazi, più terre rare: tregua Usa-Cina
    
 
        Donald Trump e Xi Jinping (Ansa)
    
Vertice distensivo in Corea del Sud, il tycoon riduce al 47% le imposte sui beni del Dragone in America. L’omologo comunista toglie le restrizioni sull’export di minerali. E si impegna ad acquistare soia. Resta il nodo sui chip. «Accordo di almeno un anno».L’ambasciatore Ettore Sequi è prudente: «Clima sereno perché ai tavoli mancava Taiwan».Lo speciale contiene due articoli.È scoppiata la pace tra Stati Uniti e Cina? Forse sì, forse no. Se vogliamo, potremmo magari parlare di una «tregua armata». Ieri, a Busan, Donald Trump ha avuto un incontro con Xi Jinping. Il faccia a faccia, definito dallo stesso Trump come «veramente grandioso», si è protratto per due ore circa. «Abbiamo un accordo. Ora, ogni anno lo rinegozieremo, ma credo che durerà a lungo. Si tratta di un accordo di un anno e lo prorogheremo dopo un altro anno», ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca dopo il meeting, annunciando che visiterà la Cina in aprile. Ma che cosa prevede l’intesa raggiunta?Pechino ha innanzitutto revocato le proprie restrizioni all’export di terre rare. «Quell’ostacolo è stato rimosso. Non c’è più alcun ostacolo sulle terre rare. Speriamo che sparisca dal nostro vocabolario per un po’», ha affermato Trump, il quale, dal canto suo, ha sospeso per un anno le tasse portuali speciali che colpiscono le navi cinesi che attraccano nei porti statunitensi. Dall’altra parte, secondo la Cnn, sembrerebbe che, almeno per ora, Washington non si sia formalmente impegnata ad allentare in modo sostanziale le proprie restrizioni all’esportazione di materiale altamente tecnologico verso la Cina. «Abbiamo discusso di chip e i cinesi parleranno con Nvidia e altri della possibilità di prendere i chip», ha affermato un po’ evasivamente Trump, precisando di non aver parlato con Xi di Blackwell: il microchip di Nvidia, il cui è export è sotto restrizioni da parte di Washington per ragioni di sicurezza nazionale.In tutto questo, l’inquilino della Casa Bianca ha abbassato i dazi imposti alla Cina per la questione del fentanyl, portando l’aliquota complessiva delle tariffe contro il Dragone dal 57% al 47%. Nel frattempo, il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, ha reso noto che Pechino si è impegnata ad acquistare dodici milioni di tonnellate di soia statunitense nel breve termine e 25 milioni all’anno nell’arco del prossimo triennio. «A Kuala Lumpur abbiamo finalizzato l’accordo su TikTok per ottenere l’approvazione cinese e mi aspetto che ciò avvenga nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e che finalmente vedremo una soluzione», ha anche affermato Bessent, specificando inoltre che l’accordo tra Stati Uniti e Cina verrà firmato «probabilmente già la prossima settimana».Venendo invece alle questioni geopolitiche, Trump ha riferito che, durante il colloquio con Xi, il dossier di Taiwan «non è stato sollevato». I due presidenti non hanno parlato neanche del petrolio russo: un argomento spinoso, soprattutto dopo le recenti sanzioni che Washington ha imposto a Lukoil e Rosneft. Ricordiamo infatti che Pechino è il principale acquirente di petrolio da Mosca. Dall’altra parte, Trump ha raccontato che, nel corso del faccia a faccia, la questione ucraina è stata sollevata «con molta forza». «Lavoreremo entrambi insieme per vedere se possiamo ottenere qualcosa», ha detto, per poi aggiungere: «Siamo d’accordo sul fatto che le parti sono bloccate, combattono, e a volte bisogna lasciarle combattere, immagino. Pazzesco. Ma lui ci aiuterà e lavoreremo insieme sull’Ucraina».Insomma, l’accordo tra Stati Uniti e Cina c’è. Ma, come detto, somiglia più a una tregua che a una pace vera e propria. D’altronde, al netto del parziale disgelo commerciale con Pechino, Trump, durante il suo tour asiatico, ha fatto chiaramente capire di continuare a vedere nel Dragone il rivale sistemico degli Usa. Non a caso, ha rafforzato i legami con Tokyo e Seul (anche) in funzione anticinese. Ha inoltre consolidato l’influenza americana sul Sudest asiatico, per contenderla a Pechino. Tutto questo, mentre, ieri, poco prima del vertice con Xi, il presidente americano ha ordinato al Pentagono «di iniziare a testare le nostre armi nucleari su base paritaria». «Tale processo inizierà immediatamente», ha aggiunto. «A causa dell’enorme potere distruttivo, odiavo farlo, ma non avevo scelta! La Russia è la seconda e la Cina è la terza, ma entro cinque anni ci raggiungerà», ha anche detto. È dal 1992 che gli Stati Uniti non effettuano test nucleari, prima che l’allora presidente George H. W. Bush annunciasse una moratoria al riguardo. Secondo Reuters, quello di Trump è stato un messaggio rivolto tanto a Xi quanto a Vladimir Putin. Pechino ha infatti raddoppiato il suo arsenale negli ultimi cinque anni, mentre Mosca ha recentemente testato un nuovo missile da crociera a propulsione nucleare.Tutto questo chiarisce come, nell’ottica di Trump, la competizione geopolitica con la Cina resti prioritaria. La politica di potenza è ormai tornata in auge. E il presidente americano è deciso a incrementare la capacità di deterrenza degli Stati Uniti nei confronti tanto di Pechino quanto di Mosca. Non a caso, ieri, sia la Cina che la Russia hanno reagito con una certa irritazione all’annuncio del presidente americano sui test nucleari. «Se qualcuno abbandona la moratoria sui test nucleari, la Russia agirà di conseguenza», ha dichiarato il Cremlino, mentre il ministero degli Esteri cinese ha affermato che «la Cina spera che gli Stati Uniti rispettino seriamente gli obblighi del trattato sulla messa al bando totale dei test nucleari e il loro impegno a vietare i test nucleari». Al momento, è la Russia a detenere il principale arsenale nucleare al mondo, mentre quello degli Stati Uniti è leggermente inferiore. La Cina è invece al terzo posto ma sta guadagnando rapidamente terreno. La tregua commerciale di Busan, insomma, è senza dubbio importante. Ma il duello tra Washington e Pechino non si è affatto fermato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tregua-usa-cina-2674252090.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mosca-osserva-leuropa-ottimista-ma-non-e-una-svolta-strutturale" data-post-id="2674252090" data-published-at="1761857974" data-use-pagination="False"> Mosca osserva, l’Europa ottimista. «Ma non è una svolta strutturale» L’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping, tenutosi la notte del 29 ottobre a Busan, ha segnato un primo allentamento nella lunga tensione commerciale tra Stati Uniti e Cina. Una tregua, come l’ha definita lo stesso Trump, «un grande successo». Ma dietro i sorrisi e i comunicati ottimistici, la diplomazia internazionale resta cauta: nessuno, tra i leader occidentali, crede a una svolta definitiva. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, da Ankara con Recep Tayyip Erdogan, ha accolto la notizia con prudenza. «Posso offrire solo una valutazione preliminare», ha detto, auspicando «una disputa commerciale più pacifica». La Germania, potenza esportatrice, è tra le più colpite dalle tensioni tra Washington e Pechino: «Siamo direttamente interessati dalle decisioni cinesi, soprattutto sulle esportazioni di materie prime», ha ricordato. Da Firenze, la presidente della Bce Christine Lagarde ha parlato di «progressi che mitigano i rischi al ribasso della crescita», pur avvertendo che «l’incertezza del commercio globale resta un fattore di vulnerabilità». Da Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha osservato che «un incontro tra Putin e Xi non è attualmente previsto, ma può essere organizzato rapidamente», segno che il Cremlino monitora la dinamica a tre tra Pechino, Washington e Mosca. Il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic ha avvertito che l’intesa «avrà implicazioni dirette per l’Ue», spiegando di essere «in costante contatto con il segretario Usa Howard Lutnick». Obiettivo: «Gestire un partenariato sempre più sfidante con la Cina, soprattutto sulle terre rare». Dalla Commissione, il portavoce Olof Gill ha dichiarato: «Accogliamo con favore ogni sviluppo che rimuova barriere ai flussi commerciali». Domani a Bruxelles sono previsti colloqui tecnici tra delegazioni Ue e cinesi. In Italia, Lorenzo Riccardi, presidente della Camera di commercio italiana in Cina, ha sottolineato come «l’intesa riduca le incertezze geopolitiche e agevoli le esportazioni e gli investimenti». Settori come meccanica strumentale e lusso, ha aggiunto, «potranno beneficiare di un contesto più stabile e prevedibile». Ma è l’ambasciatore Ettore Sequi, già segretario generale della Farnesina, a offrire la lettura più lucida: «Tra Trump e Xi c’è una tregua tattica, non una svolta strutturale». Sull’isola, osserva, «l’elefante fuori dalla stanza è stato Taiwan: non ne hanno parlato, e questo ha aiutato il clima dell’incontro. Ma l’elefante resta lì». Infine, un dettaglio passato quasi inosservato: «Il riferimento di Trump alla ripresa dei test nucleari ha rafforzato la diffidenza cinese sulle intenzioni americane», conclude Sequi, «È un segnale che rende difficile separare il canale commerciale da quello strategico». Da Washington arrivano le parole più dure del leader democratico Chuck Schumer, che demolisce la narrativa trionfale di Trump: «Non c’è nessuna vittoria per l’America. Trump si è inchinato davanti a Xi». Sul fronte del fentanyl, accusa, «non si è assicurato azioni chiare da parte della Cina per fermare il traffico di sostanze chimiche». Ma il colpo più pesante riguarda l’accordo sui chip: «Non è America First, ma China First. Trump consegna a Pechino le chiavi dell’intelligenza artificiale dei prossimi anni». Insomma, la stretta di mano di Busan sembra più un cessate il fuoco temporaneo che un trattato di pace. Una tregua tattica, utile a entrambe le potenze per tirare il fiato e ricordare che, tra Washington e Pechino, ogni concessione ha sempre un prezzo.
Nella prima mattinata del 28 ottobre 2025 la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato hanno eseguito numerose perquisizioni domiciliari in tutta Italia ed effettuato il sequestro preventivo d’urgenza del portale www.voltaiko.com, con contestuale blocco di 95 conti correnti riconducibili all’omonimo gruppo societario.
Si tratta del risultato di una complessa indagine condotta dal Nucleo Operativo Metropolitano della Guardia di Finanza di Bologna e dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica per l’Emilia-Romagna, sotto la direzione del Pubblico Ministero Marco Imperato della Procura della Repubblica di Bologna.
Un’azione coordinata che ha visto impegnate in prima linea anche le Sezioni Operative Sicurezza Cibernetica delle varie Regioni e gli altri reparti territoriali della Fiamme Gialle nelle province di Bologna, Rimini, Modena, Milano, Varese, Arezzo, Frosinone, Teramo, Pescara, Ragusa.
L’operazione ha permesso di ricostruire il modus operandi di un gruppo criminale transnazionale con struttura piramidale tipica del «network marketing multi level» dedito ad un numero indeterminato di truffe, perpetrate a danno anche di persone fragili, secondo il cosiddetto schema Ponzi (modello di truffa che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi investitori, a loro volta vittime del meccanismo di vendita).
La proposta green di investimenti nel settore delle energie rinnovabili non prevedeva l’installazione di impianti fisici presso le proprie abitazioni, bensì il noleggio di pannelli fotovoltaici collocati in Paesi ad alta produttività energetica, in realtà inesistenti, con allettanti rendimenti mensili o trimestrali in energy point. Le somme investite erano tuttavia vincolate per tre anni, consentendo così di allargare enormemente la leva finanziaria.
Si stima che siano circa 6.000 le persone offese sul territorio nazionale che venivano persuase dai numerosi procacciatori ad investire sul portale, generando un volume di investimenti stimato in circa 80 milioni di euro.
La Procura della Repubblica di Bologna ha disposto in via d’urgenza il sequestro preventivo del portale www.voltaiko.com e di tutti i rapporti finanziari riconducibili alle società coinvolte e agli indagati, da ritenersi innocenti fino a sentenza definitiva.
Nel corso delle perquisizioni è stato possibile rinvenire e sottoporre a sequestro criptovalute, dispositivi elettronici, beni di lusso, lingotti d’oro e documentazione di rilevante interesse investigativo.
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