2018-08-23
«La ragazza con la Leica fu un talento, anche nell’inventarsi Robert Capa»
La scrittrice Helena Janeczek, fenomeno letterario dell'anno, racconta nel suo libro la storia della fotografa Gerda Taro, che fu compagna del grande reporter: «Creò lei il suo nome d'arte, aveva capito che avrebbe sfondato».È il fenomeno letterario dell'anno, quello di Helena Janeczek e della sua Ragazza con la Leica, ovvero una giovane reporter di guerra, la ventisettenne Gerda Taro, che morì sul fronte della notizia, durante la guerra civile spagnola, nel 1937. Una storia di donne tutta particolare, a partire da quella dell'autrice. Nata a Monaco di Baviera da famiglia ebrea di origine polacca, scampata al genocidio nazista, la Janeczek giunse in Italia, non ancora ventenne, nel 1983. Da lì una lunga militanza su fronte letterario che l'ha vista raccogliere diversi riconoscimenti a partire dal suo esordio, nel 1997, con Lezioni di tenebra, il racconto di come sua madre era sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz. Ha vinto il premio opera prima sia con il Bagutta, che con il Berto. Dopo altre due opere, la Janeczek è tornata a esplorare le storie dell'ultimo conflitto mondiale con Le rondini di Montecassino (2010) dedicandosi a raccontare aspetti meno noti di questa battaglia. Anche qui numerosi premi ne hanno riconosciuto il talento letterario, frutto di una ricerca storica puntuale e approfondita.Come è nato l'interesse per Gerda Taro?«Casualmente. Ero a Milano per approfondire alcune tematiche legate al mio libro su Montecassino. Nel 2009 vi fu un'interessante mostra dedicata a Robert Capa (forse il massimo reporter di guerra del Novecento). Sapevo che lui vi aveva partecipato e fu lì che mi imbattei in una per me sconosciuta Gerda Taro, compagna nella vita e nel lavoro. Una figura apparentemente secondaria, ma i cui risvolti della breve vita andavano assolutamente approfonditi e valorizzati».Chi era Gerda?«Un talento esplosivo. Qualcuno l'ha definita un metro e mezzo di orgoglio e ambizione. Una figura femminile all'avanguardia per quei tempi. Era figlia della buona borghesia ebraica, di origine polacca, che si era trasferita in Germania a Stoccarda, dove era nata. Andò a Lipsia per proseguire i suoi studi e poi a Berlino. Qui abbracciò la causa degli oppositori al regime hitleriano, tanto è vero che scontò tre settimane di carcere. Da lì a Parigi il passo fu breve. A quel tempo la capitale francese era un crogiolo di nazionalità, soprattutto dissidenti che fuggivano dai regimi dittatoriali, ma anche di chi vi giungeva curioso di vivere in diretta quel particolare momento storico, Ernest Hemingway su tutti».In che modo la Taro entrò nel mondo della fotografia?«Un suo amico, ebreo tedesco come lei in esilio a Parigi dove si laureò in medicina, Willy Chardak, la descrive così nel libro: “Gerda era infaticabile, dopo un mese sembrava nata parigina". In effetti questo vulcano, poco più che ventenne, aveva diverse armi nel suo arsenale. Era poliglotta (conosceva bene inglese e francese) e una grande capacità di adattamento, oltre a una curiosità innata. Iniziò come dattilografa poi, frequentando i vari caffè letterari dove non passava certo inosservata per il suo charme e una comunicativa di talento, incontrò Bob Capa nel settembre del 1934. Allora si chiamava Andrè Friedmann: era un esule ungherese, ebreo pure lui, che, armato di sola Leica, cercava di inventarsi le giornate facendo il fotografo. Ne nacque un sodalizio curioso, sia professionale che umano, anche se il legame tra i due fu sempre … molto elastico, più per scelta di Gerda che di Bob il quale, più volte, le chiese di sposarlo».La premiata ditta Taro - Capa ha un'origine curiosa.«Gerda aveva lo spirito innato dell'imprenditrice. Quando conobbe Andrè Friedmann, intuì che il giovanotto, dietro a quell'aspetto dimesso, lo sguardo da tombeur de femme e i modi timidi per farlo, era un talento naturale, cui mancava la marcia in più per imporsi all'attenzione. Fu così che applicò, con notevole intuizione per l'epoca, un'efficace strategia di marketing».Vale a dire?«Gerda, in realtà, si chiamava Gerta Pohorylle. Lo mutò in Gerda Taro, suonava meglio e poi ricordava Greta Garbo. Fu lei che si inventò il nome Robert Capa, un giovane fotografo americano talentuoso venuto in Europa per raccontarne la cronaca e i suoi protagonisti. Questa mutazione anagrafica viene descritta in maniera divertente tramite la testimonianza di Ruth Cerf, la storica amica di Gerda, con cui studiava a Lipsia e che la seguì poi a Parigi. Quando si sentì proporre il suo nuovo cognome, Andrè, pardon Robert, se ne usci così: “Ma Capa, in ungherese, vuol dire squalo". “Non importa, suona bene", ribatté lei, “ricorda Frank Capra, e poi non si può storpiare in nessuna lingua, rimane impresso". Da allora, nel girare le varie agenzie parigine, la premiata ditta Capa vide aumentare il valore aggiunto delle sue fotografie e, quindi, finalmente raggiungere quella serenità economica che prima mancava. Fu così che Gerda e Robert vennero inviati in Spagna per seguire il conflitto che stava iniziando tra il governo e le truppe del generale Franco».Parliamo della missione spagnola.«Gerda e Robert erano perennemente sul fronte, armati di macchina fotografica e cinepresa. Lui usava una Leica, lei una Rolleiflex anche se, alla fine, fu la Leica il suo equipaggiamento costante. Quel periodo fu l'unico, della loro breve vita assieme, in cui risultarono ufficiosamente sposati, ma solo per il fatto che, così, la Taro poteva muoversi con una certa tranquillità in mezzo alle truppe di soldati poco abituati a vedere una donna, sola, al loro fianco».Tuttavia la stella cometa di Gerda Taro è tramontata troppo presto per trovare una sua autonomia storica e artistica.«Avvenne tutto nel luglio del 1937. Capa era tornato a Parigi in cerca di finanziamenti per una sua missione in Cina. Gerda rimase sul fronte. Non si videro più. Il 26 luglio la Taro aveva documentato la battaglia di Brunete. Trovò un passaggio per tornare a Madrid, viaggiando aggrappata al predellino di un'auto colma di feriti del generale polacco Walter Swierckinsky. A un certo punto il convoglio venne attaccato da caccia tedeschi. Nel trambusto un carro armato della colonna perse il controllo, travolse l'auto dove si trovava Gerda, la quale cadde a terra e venne travolta dal mezzo cingolato. Le squarciò il ventre. Dopo alcune ore giunse a Madrid dove venne operata, senza l'uso di anestetici o morfina. Tuttavia fu tutto inutile, perché spirò poco dopo, a nemmeno 27 anni. Il 1° luglio si svolse il suo funerale, a Parigi. Un corteo di oltre 100.000 persone, accompagnato dalla marcia funebre di Fryderyk Chopin, una commemorazione di Pablo Neruda. Capa seguì il tutto in una sorta di prostrazione semicosciente. Quella donna visse nel suo cuore per sempre, anche se poi ebbe legami con nomi quali Ingrid Bergman o Vivien Leigh (Rossella O'Hara per tutti). L'anno dopo, 1938, Bob pubblicò un libro, in omaggio alla sua amata, Death in making, dove vennero pubblicate le loro foto della guerra in Spagna».Il suo libro ha una struttura narrativa originale, come la storia che racconta.«È necessaria una premessa. Per me scrivere è una specie di immersione, una sorta di discesa in miniera. Un viaggio di scoperta, che rende ragione di tutti i sacrifici e l'impegno che comporta. Qui ero davanti a una scelta. Una sorta di biografia romanzata, la via più facile e classica, oppure portare il lettore a rivivere lo spirito di quegli anni Trenta ricchi di cambiamenti, ostilità, che poi sfoceranno nel dramma del conflitto mondiale, ma visto con gli occhi della gioventù del tempo. Ecco allora i tre personaggi perno del racconto. Persone che veramente Gerda l'hanno vissuta. Willy Chardack, detto Willy il bassotto, medico emigrato negli Usa, con il quale ebbe una relazione sostanzialmente platonica. George Kuritzkes, funzionario della Fao a Roma, con il quale invece la storia fu importante, e Ruth Cerf, l'amica del cuore. Dal racconto, dalle loro testimonianze, in un flash back ambientato nel 1960, emerge la massima valorizzazione della loro amica. Se la memoria pubblica di Gerda per decenni ha vissuto all'ombra di Capa, dai racconti dei tre amici è piuttosto Capa a vivere all'ombra di Gerda».I risultati sembrano dare ragione a questa sfida.«All'inizio sorprese sia me che l'editore. La vittoria del Bagutta. La prima donna, dopo 15 anni, a vincere lo Strega, ora la selezione nella cinquina finalista del Campiello. Non posso che ringraziare i giurati di queste tre prestigiose istituzioni, ma soprattutto i lettori di ogni giorno che si avvicinano a questa storia in libreria».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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