2018-07-27
«La Merkel è una morta vivente e l’asse franco tedesco un’illusione»
L'economista Christian Harbulot: «Francia e Germania hanno destini diversi. Il cancelliere non riesce a tenere unito il Paese e Macron la usa per sopravvivere. E se l'America finanziasse l'invasione di migranti per destabilizzarci?»Fondatore dell'École de guerre économique, Christian Harbulot può definirsi come un eretico della scienza economica. Dopo una giovinezza caratterizzata dalla militanza nelle frange estreme della sinistra parigina, si dedica allo studio dell'economia redigendo pubblicazioni come Tecniche Offensive e Guerra Economica, che gli varranno il posto di consigliere del presidente del gruppo intelligence economica e strategica delle aziende al commissariato generale di Plan, Henri Martre. La Germania, dal dopoguerra a oggi, si è aggiudicata il ruolo di prima economia europea. In Francia ma anche in Italia si guarda spesso alla Germania con diffidenza. Come interpretare la sua strabiliante evoluzione economica da 50 anni a questa parte?«Se guardiamo alla Germania del dopoguerra, è difficile spiegarsi la sua esplosione degli anni successivi. La risposta va ben oltre il proverbiale senso del lavoro dei tedeschi. Trovo sempre sorprendente per un Paese come la Francia, che ha avuto numerosi intrecci storici con la Germania, che nessuna seria analisi sia stata fatta ad esempio sul perché certi vecchi ufficiali di Weimar, dopo numerosi anni di detenzione, siano divenuti degli imprenditori. E non si tratta di qualche decina, ma di un fenomeno massivo che meriterebbe di essere analizzato al microscopio, poiché ci porta a capire come un Paese sconfitto e apparentemente privo di risorse come la Germania del dopoguerra sia stato capace di un tale balzo in avanti. Le scienze economiche tradizionali non ci forniscono che risposte parziali. Come il Giappone dopo la guerra e come anche la Corea del Sud, la Germania sconfitta ha saputo beneficiare di un certo numero di aiuti per la ricostruzione, divenendo poi la buon'allieva della strategia economica americana in Europa. La presenza industriale tedesca sul territorio americano non è solo il risultato di una strategia aziendale vincente. Nel corso della guerra fredda vennero stipulati degli accordi fra la Repubblica federale tedesca e un certo numero di governi americani».Ha parlato della Germania come della «buon'allieva» degli Usa, senza i quali la ripartenza economica non sarebbe stata possibile. Tuttavia oggi le cose sembrano cambiate, e la Germania sembra uscire da questo ruolo, come dimostrano i dazi doganali su acciaio e alluminio recentemente imposti da Trump, fra gli altri, anche all'Europa (cancellati ieri grazie all'accordo fra Donald Trump e Jean-Claude Juncker. Le tariffe resteranno solo sulle auto, ndr) .«Gli Stati Uniti si trovano oggi in una situazione particolarmente delicata. Hanno come concorrente la Cina comunista che ha sviluppato una forma di economia di mercato ultra competitiva e concorrenziale. Di fronte a questa minaccia, l'economia americana, che si è largamente finanziarizzata e allontanata dai territori, si ritrova davanti un problema maggiore, ovvero come contenere l'economia cinese espansionistica. Trovandoci in una logica di potenza, si capisce come gli Stati Uniti, che devono già far fronte all'emergenza della potenza economica cinese, non abbiano assolutamente voglia di avere alle spalle l'emergenza di una potenza cosiddetta “amica" che si chiamerebbe Unione europea, di cui non possono identificare l'evoluzione e la cui autonomia strategica dipenderebbe dal suo avvicinarsi ad altri Paesi che preoccupano gli Stati Uniti, come la Russia. È del tutto evidente che gli Stati Uniti non ne vogliono sapere di una potenza europea indipendente. Come lei ha ricordato, la Germania è la prima potenza economica europea, ma la Germania non è soltanto questo. Contrariamente alla Francia, essa ricostruisce lentamente ma progressivamente la sua potenza, e lo fa su un terreno diplomatico, stipulando degli accordi bilaterali importanti con la Russia, ma anche su un terreno militare. Vi è poi in Germania, come del resto in molti altri Paesi europei, l'immenso problema del fenomeno migratorio, che andrebbe ugualmente studiato in una prospettiva socio economica. La potenza di un Paese è tutta una questione di autonomia strategica. Non esiste potenza senza autonomia strategica». La Francia ha un'autonomia strategica?«No. Dopo la sconfitta subita nel 1940, le élites francesi sono diventate profondamente pro atlantiste, ritenendo che la loro sicurezza fosse garantita solo ed esclusivamente dagli Stati Uniti. La Francia risente ancora dell'esito della seconda guerra mondiale».Charles de Gaulle aveva criticato l'asservimento atlantista della Francia.«De Gaulle ha effettivamente fatto un tentativo, ma è un capitolo della storia ben presto superato. Oggi la Francia non si trova in una situazione di autonomia strategica, ma il problema è che gli Stati Uniti hanno davvero la priorità di contenere la Cina: o lo fanno sul piano militare o su quello economico. Per il momento, fortunatamente, non si tratta del primo caso. Il trattato transpacifico e il trattato transatlantico non sono bastati a contenere l'espansionismo cinese. Ecco allora che gli Stati Uniti mettono in atto una strategia diversa che consiste nella riattivazione di un sistema protezionistico per tentare d'indebolire la Cina. In questa storia l'Europa non esiste! L'Europa è una forza suppletiva alla quale gli Stati Uniti domandano obbedienza. Gli Stati Uniti hanno compreso che la più grande minaccia per loro consiste in un'Europa di Stati nazioni indipendenti e convergenti, e non in un'Europa federale di cui avrebbero il pieno controllo militare e diplomatico. Oggi ci troviamo in un'Europa di Stati nazioni tuttavia priva di una reale indipendenza strategica. Coloro che parlano della coppia franco tedesca parlano di un'illusione. È chiaro che la Germania ha un avvenire del tutto diverso da quello della Francia, che piaccia o no a Emmanuel Macron. La situazione della Germania è estremamente complessa, poiché mentre cerca di continuare a essere la buon'allieva degli Stati Uniti cerca di ricostruire l'Europa e di emanciparsi come potenza. E di fronte a sé cos'ha? Una Francia relativamente indebolita sul piano economico, che ha sì un certo peso geostrategico assicurato dal potenziale nucleare, ma che d'altra parte comincia a essere sempre più isolata dagli altri Paesi europei, i quali hanno ben compreso che lo scenario delle elezioni di Macron consisteva in Macron che diventa il buon allievo degli Stati Uniti, per frenare la spinta della ricostruzione tedesca. Sfortunatamente per Macron, gli Stati Uniti hanno altre gatte da pelare che accordare questo primato alla Francia. Il problema di Macron oggi è che non ha un piano B. Il suo piano B è cercare di aggrapparsi il più possibile a un morto vivente che si chiama Merkel, la quale non riesce più a tenere insieme un'unità politica in Germania».Ha detto che la questione dei migranti ha una rilevanza geoeconomica. Può essere più specifico?«Tutta la questione dell'immigrazione ruota intorno a una semplice domanda: chi arma le navi delle Ong e chi le finanzia? Se scoprissimo che sono proprio gli Stati Uniti d'America che indirettamente armano queste navi e le finanziano, si tratterebbe di un problema di rilevanza maggiore fra Europa e Stati Uniti. Un problema di natura tutt'altro che umanitaria…».Crede davvero che sia così? Dietro al disastro migratorio che affligge l'Europa ci sarebbero gli Stati Uniti? A che scopo?«Gli Stati Uniti sono abbastanza furbi da non esporsi apertamente. Nessuna inchiestuccia giornalistica o privata potrebbe dimostrare quello che dico, ma solo un'operazione dei servizi segreti di Stato. A mia conoscenza nessun Paese europeo ha, a oggi, il coraggio di avanzare su questo terreno. Io pongo qui solo un'ipotesi. L'ipotesi che la grande questione dei flussi migratori si spieghi attraverso la volontà di destabilizzare l'Europa e in particolare gli Stati nazione europei. Non voglio fare il complottista, la mia è un'ipotesi che andrebbe studiata in modo professionale, ma in nessun caso la si può escludere, per una ragione molto semplice: alla fine del diciannovesimo secolo gli Stati Uniti, con la dottrina Monroe, si presentano come il Paese che promuove il diritto dei popoli a disporre di sé stessi, pur essendo, loro per primi, una potenza colonizzatrice esattamente come gli imperi coloniali europei. È tempo di ricordare questo aspetto e di dirlo ad alta voce: quella degli Stati Uniti fu prima di tutto una colonizzazione interna, per poi divenire una colonizzazione esterna. Ora, nelle scienze politiche che mi hanno insegnato a Sciencepo Paris non c'era nemmeno un corso dedicato a questo tema. Il grande cinismo atlantista si è evoluto nel tempo. Una volta consisteva nell'esportazione della democrazia, politica che dopo l'11 settembre è andata in frantumi. A questo piano che crolla se ne sostituisce un altro che consiste a dire che è necessario che le nazioni europee accettino le correnti migratorie con il pretesto che l'Africa non ha le capacità di sopperire ai bisogni del suo popolo. E così, fino a oggi, gli Stati Uniti escono strategicamente vincenti su ben due fronti: da una parte perché Angela Merkel ha spalancato fino a ieri l'altro i confini della Germania ai migranti, con le conseguenze che oggi vediamo. Dall'altra parte il cinismo degli Stati Uniti diventa eclatante nel momento in cui vediamo l'ambasciatore americano in Germania felicitarsi della riemergenza di una dinamica nazionalista in Europa, dinamica che volta le spalle all'autonomia strategica di una potenza europea. Tale cinismo atlantista è a mio avviso preoccupante e ancor più preoccupante è il fatto che non esista un dibattito europeo su questo tema. A oggi, nessun Paese europeo pone il dibattito in questi termini».
Jose Mourinho (Getty Images)