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2019-07-12
La Meloni demolisce Parenzo in tv: «Scrive balle su di me nel suo libro»
Ansa
Ci sono generali che riescono ad attraversare conflitti mondiali senza sparare un colpo, centravanti capaci di uscire dal campo con i pantaloncini candidi anche se si è giocato nel fango, fedifraghi incalliti che dopo anni di svaghi riescono a mollare la moglie alla prima infedeltà subita. Sono i Grandi Professionisti, quelli che neppure barcollano laddove gli altri non solo cadono, ma spesso rovinano a terra senza un futuro.
Ecco, il Grande Professionista del giorno è David Parenzo, padovano, 45 anni, pronipote di un eroe garibaldino. Tre generazioni di grandi avvocati in famiglia e poi arriva lui che invece ha capito tutto e coglie lo spirito del tempo: non essere esperto di nulla, ma chiacchierare di tutto. Molla i faticosi studi di codici e pandette, si dedica al giornalismo, che esercita in puro stile britannico al Foglio di Giuliano Ferrara e a Liberazione di Sandro Curzi, quotidiani che volano talmente alto che se l'Italia invade l'Austria lo sappiamo il giorno dopo. Però anche lì è una fatica, chiusure che possono arrivare quasi all'ora dell'aperitivo, riunioni verbose e fumose, visibilità non proprio commisurata all'ego ipertrofico che i giornalisti spesso si trascinano dietro. E allora Parenzo arriva alla tv, su La7, e si irradia su Radio24 con la Zanzara di Giuseppe Cruciani, dove fa l'opinionista e il tutore del politicamente corretto, il commentatore, il polemista, l'umorista, il tizio arguto che sdottoreggia sulla qualunque. L'importante, per un Grande Professionista del genere, è arrivare all'età della pensione con un registro perfettamente immacolato, almeno alla voce: «scoop» o anche solo «notizie trovate». Ma che cosa succede quando un Parenzo taglia la strada a una come Giorgia Meloni, che sta a lui come un manganello al cerchio dell'hula hoop, o se vogliamo essere più carini, come un torrone a un'Ile flottante? Succede un disastro senz'appello.
L'altro giorno, l'ex leader della minoranza protetta di post fascisti della Garbatella è stata invitata da Luca Telese e dal Grande Professionista a In Onda, su La7. Non sappiamo dirvi perché, ma mentre Parenzo sgranava il consueto rosario di banalità «de sinistra», recitato però con la simpatia di un ragù di triglie non adeguatamente spinato, si vedeva la capa di Fratelli d'Italia con una strana espressione tipo sorcio in bocca. Se guardate il filmato sul web, noterete che è come in certi western in cui uno spaccone entra nel saloon con il suo pistolone e si avventa sul bancone con l'aria del nuovo sceriffo, ma non si accorge che tutto intorno hanno già armato i fucili e attendono solo il momento di mettere fine allo spettacolino. Ecco, la Meloni s'era proprio preparata da casa perché il Parenzo è anche scrittore di libri e ne ha appena pubblicato uno eurogiulivo, che l'ha pure chiamato così: I falsari. Cavolo, chissà chi avrà smascherato il Grande Professionista. Il sottotitolo invece è questo: «Come l'Unione europea è diventata il nemico perfetto per la politica italiana» (Marsilio editore). E vabbè, ma I falsari è un titolo un po' ambiziosetto, perché ricorda un capolavoro assoluto, pubblicato nel 1986 (ma ancora assai attuale) da Giampaolo Pansa: Carte false, in cui si analizzavano in modo impietoso i peccati del giornalismo italiano, spesso straccione, cortigiano, talvolta fieramente inaccurato. L'incipit era fulminante: «Carte false. Fare carte false. Spacciare carte false. Sempre di più, il giornalismo italiano mi appare così: un mestiere che non può, o non vuole, distinguere il falso dal vero, un mestiere che maneggia troppe carte truccate, un mestiere che tradisce se stesso». Nel 1986, la Meloni aveva solo 9 anni, ma prima di andare in trasmissione da Parenzo si è letta il suo libro e ha trovato che un post sull'immigrazione era stato manipolato pesantemente. E al momento giusto, cioè in diretta, lo ha lasciato in mutande.
A pagina 107 di I falsari, succede che la leader di Fdi si sia imbattuta in un proprio virgolettato in cui si minaccia un mezzo ricatto all'Unione: «Se gli immigrati che arrivano in Italia non saranno distribuiti in Europa, allora taglieremo i fondi alla Ue». A noi non sembra poi tanto una brutta cosa, perché alla fine è giusto che ognuno raccolga ciò che ha seminato, ma non facciamo i politici e quindi fingiamo che sia una castroneria. Sicuramente non è una cosa da dire se vuoi sederti in certi circoli. Solo che la Meloni non l'ha mai detta e si accorge che quella frase l'ha detta il Pd, il quale, esattamente come Benito Mussolini, ogni tanto «ha fatto anche cose giuste». Così, quando Parenzo comincia a straparlare di immigrati, Meloni monta il fucile di precisione da killer è gli dà del «falsario», raccontando come ha manipolato il suo post. E qui, mentre Telese continua fare il giornalista e vuole sapere dalla Meloni con precisione qual è la falsità contenuta nel libro, Parenzo dà su la voce a tutti e tenta di evitare la figuraccia. Così si mette a ripetere in modo autistico due simil-concetti: «Non voglio fare pubblicità al mio libro qui nella nostra trasmissione» (un elegantone, non c'è che dire) e «Mi quereli, ne parliamo in tribunale» (e qui la schiatta di avvocati prevale sulla lunga gavetta da cronista). Ora, si vedranno sicuramente in tribunale, con i tempi della giustizia italiana, ma la figura di cavolo di un giornalista che prima scrive una falsità e poi tenta di chiudere la bocca a chi lo ha scoperto resta su internet a imperitura memoria. E ci ricorda che il Grande Professionista, presto o tardi, incontra sempre uno che è più professionista di lui.
I Fratelli d’Italia crescono con i fuoriusciti di Fi e puntano al voto a marzo
«È sempre più blu» ma soprattutto sempre più attrattivo il partito di Giorgia Meloni, un partito verso il grande movimento dei conservatori e sovranisti, che piace ai delusi di Forza Italia, ai leghisti scettici, ai nostalgici di An e ai moderati del centrodestra e che ieri, a Catania ha visto incrementare la sua «campagna acquisti» con importanti adesioni. Salvo Pogliese, sindaco di Catania ed ex europarlamentare, con tutta la sua realtà, una realtà fatta di centinaia di amministratori; ma anche Guido Castelli, che è stato fino a due settimane fa è stato sindaco di Ascoli Piceno, figura di spicco dell'Anci; poi Fabio Callori, consigliere regionale dell'Emilia Romagna, e l'ex parlamentare nazionale, Basilio Catanoso hanno aderito a Fratelli d'Italia.
Pogliese e Catanoso, sono fuoriusciti, non senza polemiche, da Forza Italia per contrasti già nelle candidature alle scorse europee ma anche per la linea del presidente dell'Assemblea regionale siciliana e responsabile di Fi in Sicilia, Gianfranco Miccichè. «Che siamo la seconda forza del centrodestra mi pare ormai un dato acclarato, non una cosa che facciamo contro qualcuno ma sicuramente la credibilità, la costanza, la coerenza, l'attenzione al territorio, il rispetto della meritocrazia di chi crea consenso sono dei tratti distintivi di Fratelli d'Italia, che hanno avvicinato tante brave persone che vogliono tornare a credere in una causa e tornare ad avere una casa. Per noi oggi questa è una manifestazione estremamente simbolica per le personalità di assoluto rilievo che scelgono di aderire a Fratelli d'Italia», ha detto entusiasta la Meloni.
Un bel successo per la leader incassato all'ombra dell'Etna con i politici siciliani che alla Lega del vicepremier Matteo Salvini hanno preferito il partito della ex militante, come loro, di Alleanza nazionale. Peraltro proprio martedì scorso, il ministro dell'Interno è stato a Caltagirone per l'inaugurazione del nuovo commissariato e poi al Cara di Mineo per l'annunciata chiusura della struttura di accoglienza migranti, ma è saltato l'incontro previsto con il sindaco catanese. E non è servito a convincere Pogliese neanche l'impegno profuso dal sottosegretario leghista Stefano Candiani per salvare la sua Catania con 475 milioni di euro a fondo perduto, in arrivo a partire dalla fine del 2019, attraverso il Decreto crescita.
Inoltre l'ingresso di Pogliese in Fdi (e diventano 6 i sindaci del partito della Meloni) coincide con un altro avvenimento che per forza di cose è destinato a mutare l'organigramma regionale del partito di Meloni. La manifestazione siciliana di ieri, ancora sulle note di È sempre più blu di Rino Gaetano che nell'ultimo anno è stato la colonna sonora delle iniziative organizzate da Fdi in giro per il Paese, è stata un'altra tappa importante del progetto conservatore e sovranista lanciato dalla Meloni che in meno di un anno ha visto crescere e allargare i confini di Fratelli d'Italia che nelle scorse europee si è attestato al 7% e che, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe «bastare» alla Lega per una nuova alleanza di centrodestra. «La finestra per andare a votare a marzo non è ancora chiusa e quindi vediamo… Certo è che io non ho fatto mistero di sperare nella possibilità che l'Italia torni al voto e che si possa dare con una maggioranza che ormai secondo tutti i sondaggisti sarebbe schiacciante, Fdi-Lega, una maggioranza capace di durare 5 anni, di avere i numeri per fare le riforme coraggiose di cui l'Italia ha bisogno, invece di stare a litigare su tutto e il contrario di tutto», ha auspicato Meloni.
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La leader di Fdi, in diretta tv, sbugiarda il tutore del politicamente corretto che, nel suo «I falsari» (titolo involontariamente autobiografico), ha manipolato un post sull'immigrazione attribuendole una frase del Pd.Giorgia Meloni incassa l'adesione del sindaco di Catania e dei suoi: «Nuova alleanza di centrodestra con la Lega e 5 anni di riforme».Lo speciale contiene due articoli.Ci sono generali che riescono ad attraversare conflitti mondiali senza sparare un colpo, centravanti capaci di uscire dal campo con i pantaloncini candidi anche se si è giocato nel fango, fedifraghi incalliti che dopo anni di svaghi riescono a mollare la moglie alla prima infedeltà subita. Sono i Grandi Professionisti, quelli che neppure barcollano laddove gli altri non solo cadono, ma spesso rovinano a terra senza un futuro. Ecco, il Grande Professionista del giorno è David Parenzo, padovano, 45 anni, pronipote di un eroe garibaldino. Tre generazioni di grandi avvocati in famiglia e poi arriva lui che invece ha capito tutto e coglie lo spirito del tempo: non essere esperto di nulla, ma chiacchierare di tutto. Molla i faticosi studi di codici e pandette, si dedica al giornalismo, che esercita in puro stile britannico al Foglio di Giuliano Ferrara e a Liberazione di Sandro Curzi, quotidiani che volano talmente alto che se l'Italia invade l'Austria lo sappiamo il giorno dopo. Però anche lì è una fatica, chiusure che possono arrivare quasi all'ora dell'aperitivo, riunioni verbose e fumose, visibilità non proprio commisurata all'ego ipertrofico che i giornalisti spesso si trascinano dietro. E allora Parenzo arriva alla tv, su La7, e si irradia su Radio24 con la Zanzara di Giuseppe Cruciani, dove fa l'opinionista e il tutore del politicamente corretto, il commentatore, il polemista, l'umorista, il tizio arguto che sdottoreggia sulla qualunque. L'importante, per un Grande Professionista del genere, è arrivare all'età della pensione con un registro perfettamente immacolato, almeno alla voce: «scoop» o anche solo «notizie trovate». Ma che cosa succede quando un Parenzo taglia la strada a una come Giorgia Meloni, che sta a lui come un manganello al cerchio dell'hula hoop, o se vogliamo essere più carini, come un torrone a un'Ile flottante? Succede un disastro senz'appello. L'altro giorno, l'ex leader della minoranza protetta di post fascisti della Garbatella è stata invitata da Luca Telese e dal Grande Professionista a In Onda, su La7. Non sappiamo dirvi perché, ma mentre Parenzo sgranava il consueto rosario di banalità «de sinistra», recitato però con la simpatia di un ragù di triglie non adeguatamente spinato, si vedeva la capa di Fratelli d'Italia con una strana espressione tipo sorcio in bocca. Se guardate il filmato sul web, noterete che è come in certi western in cui uno spaccone entra nel saloon con il suo pistolone e si avventa sul bancone con l'aria del nuovo sceriffo, ma non si accorge che tutto intorno hanno già armato i fucili e attendono solo il momento di mettere fine allo spettacolino. Ecco, la Meloni s'era proprio preparata da casa perché il Parenzo è anche scrittore di libri e ne ha appena pubblicato uno eurogiulivo, che l'ha pure chiamato così: I falsari. Cavolo, chissà chi avrà smascherato il Grande Professionista. Il sottotitolo invece è questo: «Come l'Unione europea è diventata il nemico perfetto per la politica italiana» (Marsilio editore). E vabbè, ma I falsari è un titolo un po' ambiziosetto, perché ricorda un capolavoro assoluto, pubblicato nel 1986 (ma ancora assai attuale) da Giampaolo Pansa: Carte false, in cui si analizzavano in modo impietoso i peccati del giornalismo italiano, spesso straccione, cortigiano, talvolta fieramente inaccurato. L'incipit era fulminante: «Carte false. Fare carte false. Spacciare carte false. Sempre di più, il giornalismo italiano mi appare così: un mestiere che non può, o non vuole, distinguere il falso dal vero, un mestiere che maneggia troppe carte truccate, un mestiere che tradisce se stesso». Nel 1986, la Meloni aveva solo 9 anni, ma prima di andare in trasmissione da Parenzo si è letta il suo libro e ha trovato che un post sull'immigrazione era stato manipolato pesantemente. E al momento giusto, cioè in diretta, lo ha lasciato in mutande. A pagina 107 di I falsari, succede che la leader di Fdi si sia imbattuta in un proprio virgolettato in cui si minaccia un mezzo ricatto all'Unione: «Se gli immigrati che arrivano in Italia non saranno distribuiti in Europa, allora taglieremo i fondi alla Ue». A noi non sembra poi tanto una brutta cosa, perché alla fine è giusto che ognuno raccolga ciò che ha seminato, ma non facciamo i politici e quindi fingiamo che sia una castroneria. Sicuramente non è una cosa da dire se vuoi sederti in certi circoli. Solo che la Meloni non l'ha mai detta e si accorge che quella frase l'ha detta il Pd, il quale, esattamente come Benito Mussolini, ogni tanto «ha fatto anche cose giuste». Così, quando Parenzo comincia a straparlare di immigrati, Meloni monta il fucile di precisione da killer è gli dà del «falsario», raccontando come ha manipolato il suo post. E qui, mentre Telese continua fare il giornalista e vuole sapere dalla Meloni con precisione qual è la falsità contenuta nel libro, Parenzo dà su la voce a tutti e tenta di evitare la figuraccia. Così si mette a ripetere in modo autistico due simil-concetti: «Non voglio fare pubblicità al mio libro qui nella nostra trasmissione» (un elegantone, non c'è che dire) e «Mi quereli, ne parliamo in tribunale» (e qui la schiatta di avvocati prevale sulla lunga gavetta da cronista). Ora, si vedranno sicuramente in tribunale, con i tempi della giustizia italiana, ma la figura di cavolo di un giornalista che prima scrive una falsità e poi tenta di chiudere la bocca a chi lo ha scoperto resta su internet a imperitura memoria. E ci ricorda che il Grande Professionista, presto o tardi, incontra sempre uno che è più professionista di lui. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-meloni-demolisce-parenzo-in-tv-scrive-balle-su-di-me-nel-suo-libro-2639168380.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-fratelli-ditalia-crescono-con-i-fuoriusciti-di-fi-e-puntano-al-voto-a-marzo" data-post-id="2639168380" data-published-at="1765451513" data-use-pagination="False"> I Fratelli d’Italia crescono con i fuoriusciti di Fi e puntano al voto a marzo «È sempre più blu» ma soprattutto sempre più attrattivo il partito di Giorgia Meloni, un partito verso il grande movimento dei conservatori e sovranisti, che piace ai delusi di Forza Italia, ai leghisti scettici, ai nostalgici di An e ai moderati del centrodestra e che ieri, a Catania ha visto incrementare la sua «campagna acquisti» con importanti adesioni. Salvo Pogliese, sindaco di Catania ed ex europarlamentare, con tutta la sua realtà, una realtà fatta di centinaia di amministratori; ma anche Guido Castelli, che è stato fino a due settimane fa è stato sindaco di Ascoli Piceno, figura di spicco dell'Anci; poi Fabio Callori, consigliere regionale dell'Emilia Romagna, e l'ex parlamentare nazionale, Basilio Catanoso hanno aderito a Fratelli d'Italia. Pogliese e Catanoso, sono fuoriusciti, non senza polemiche, da Forza Italia per contrasti già nelle candidature alle scorse europee ma anche per la linea del presidente dell'Assemblea regionale siciliana e responsabile di Fi in Sicilia, Gianfranco Miccichè. «Che siamo la seconda forza del centrodestra mi pare ormai un dato acclarato, non una cosa che facciamo contro qualcuno ma sicuramente la credibilità, la costanza, la coerenza, l'attenzione al territorio, il rispetto della meritocrazia di chi crea consenso sono dei tratti distintivi di Fratelli d'Italia, che hanno avvicinato tante brave persone che vogliono tornare a credere in una causa e tornare ad avere una casa. Per noi oggi questa è una manifestazione estremamente simbolica per le personalità di assoluto rilievo che scelgono di aderire a Fratelli d'Italia», ha detto entusiasta la Meloni. Un bel successo per la leader incassato all'ombra dell'Etna con i politici siciliani che alla Lega del vicepremier Matteo Salvini hanno preferito il partito della ex militante, come loro, di Alleanza nazionale. Peraltro proprio martedì scorso, il ministro dell'Interno è stato a Caltagirone per l'inaugurazione del nuovo commissariato e poi al Cara di Mineo per l'annunciata chiusura della struttura di accoglienza migranti, ma è saltato l'incontro previsto con il sindaco catanese. E non è servito a convincere Pogliese neanche l'impegno profuso dal sottosegretario leghista Stefano Candiani per salvare la sua Catania con 475 milioni di euro a fondo perduto, in arrivo a partire dalla fine del 2019, attraverso il Decreto crescita. Inoltre l'ingresso di Pogliese in Fdi (e diventano 6 i sindaci del partito della Meloni) coincide con un altro avvenimento che per forza di cose è destinato a mutare l'organigramma regionale del partito di Meloni. La manifestazione siciliana di ieri, ancora sulle note di È sempre più blu di Rino Gaetano che nell'ultimo anno è stato la colonna sonora delle iniziative organizzate da Fdi in giro per il Paese, è stata un'altra tappa importante del progetto conservatore e sovranista lanciato dalla Meloni che in meno di un anno ha visto crescere e allargare i confini di Fratelli d'Italia che nelle scorse europee si è attestato al 7% e che, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe «bastare» alla Lega per una nuova alleanza di centrodestra. «La finestra per andare a votare a marzo non è ancora chiusa e quindi vediamo… Certo è che io non ho fatto mistero di sperare nella possibilità che l'Italia torni al voto e che si possa dare con una maggioranza che ormai secondo tutti i sondaggisti sarebbe schiacciante, Fdi-Lega, una maggioranza capace di durare 5 anni, di avere i numeri per fare le riforme coraggiose di cui l'Italia ha bisogno, invece di stare a litigare su tutto e il contrario di tutto», ha auspicato Meloni.
A dirlo è l’Unctad (United nations conference on trade and development), l’organismo dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo, secondo cui le misure tariffarie e le politiche industriali stanno cambiando la geografia degli scambi più di quanto ne stiano riducendo l’ammontare complessivo.
Il 2024 ha rappresentato, infatti, un punto di svolta dopo la debolezza del 2023. L’organizzazione della Nazioni Unite ha registrato per il 2024 un valore record di circa 33 trilioni di dollari di scambi globali di beni e servizi, con una crescita intorno al 3,7% (circa +1,2 trilioni). La componente servizi ha guidato l’espansione: +9% nell’anno, con un contributo di circa 700 miliardi, pari a quasi il 60% della crescita totale; i beni sono saliti di circa il 2% (+500 miliardi).
Il 2025, inoltre, consolida il quadro. Nell’aggiornamento di dicembre, Unctad stima che il commercio mondiale supererà per la prima volta i 35 trilioni di dollari, con un aumento di circa 2,2 trilioni, ossia circa il 7% in più rispetto al 2024. Di questa crescita, circa 1,5 trilioni verrebbero dai beni e circa 750 miliardi dai servizi, attesi in aumento vicino al 9%. Per il quarto trimestre 2025, la crescita rimane positiva ma più moderata: circa lo 0,5% in più per i beni e il 2% per i servizi. Nel 2026, invece, la stima è di un rallentamento causato da tensioni geopolitiche, conflitti e costi crescenti (tra cui i dazi).
Ma come i dazi hanno allora influenzato i commerci mondiali? Unctad osserva che la frammentazione geopolitica sta rimodellando i flussi e che friendshoring (delocalizzazione verso Paesi considerati amici) e nearshoring (spostamento verso Stati vicini a quello di origine) stanno rafforzandosi.
In parallelo, la crescita dei servizi rende il sistema meno vulnerabile alle tariffe sui beni. I servizi digitali, professionali e legati alle catene manifatturiere avanzate sono più scalabili, spesso regolati da standard e da norme di mercato più che da dazi doganali, e trovano domanda in fasi del ciclo economico diverse rispetto alle merci tradizionali. L’aumento più rapido dei servizi nel 2024 e nel 2025 è coerente con questa trasformazione del mix commerciale.
Unctad segnala anche un passaggio dalla crescita «di prezzo» a una crescita più «di volume» verso fine 2025: dopo due trimestri sostenuti anche da prezzi più alti, le quotazioni dei beni scambiati dovrebbero calare, e l’espansione sarà trainata maggiormente dalle quantità effettivamente commerciate.
Un ulteriore elemento di tenuta è il protagonismo delle economie in via di sviluppo. Unctad evidenzia che nel 2024 le economie emergenti hanno sostenuto gran parte della dinamica e che gli scambi Sud-Sud hanno continuato a crescere. Nel 2025 questa tendenza si è rafforzata: Asia orientale e Africa risultano tra le principali aree commerciali, mentre gli scambi tra Paesi in via di sviluppo hanno mostrato un’espansione più rapida della media globale.
I dati Unctad, insomma, non raccontano la fine della globalizzazione, ma la sua ricalibrazione. La crescita degli scambi convive con dazi più alti perché il commercio si sta spostando a Oriente, incorporando una quota crescente di servizi.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
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Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.