2018-05-23
La difesa di Montante è fatta di 142 «non so»
Nell'interrogatorio di garanzia, l'ex capo di Sicindustria arrestato per corruzione nega le accuse e parla di un complotto ordito ai suoi danni da mafia e massoneria. «I dossier sui politici non erano dossier. E comunque non sapevo che fossero a casa mia».Oggi, intanto, l'assemblea di Confindustria più difficile per il presidente Vincenzo Boccia. Industriali critici verso la linea pro M5s. E l'ad Franco Moscetti abbandona Il Sole 24 Ore.Lo speciale contiene due articoli.I «non so» del cavaliere Calogero Antonio Montante, detto Antonello, ex leader di Confindustria Sicilia e del movimento antimafia, sono in tutto 142 e caratterizzano la trascrizione del suo interrogatorio di garanzia davanti al gip del tribunale di Caltanissetta. Dopo l'arresto con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, Montante ha cercato, a tratti anche funambolicamente, di dare una spiegazione alle contestazioni della Procura e ha ipotizzato un complottone alle sue spalle, organizzato da chi voleva vendicarsi con la complicità di massoni e di mafiosi. Perché il vessillo dell'antimafia Montante non l'ha ancora messo da parte: si dice convinto che chi ha innescato questo meccanismo vada ricercato non solo in Cosa nostra, contro la quale sostiene di lottare da una vita, ma anche in «qualche lobby molto più forte». E cioè «in un'organizzazione di mafia e massoneria». Ossia in quella gente «che abbiamo allontanato», dice Montante ai giudici, «perché abbiamo la Confindustria che è una lobby chiara e trasparente».Poi ricorda a tutti che la sua abitazione era un porto di mare: «A casa mia venivano tutti», dice. Ovviamente precisa che gli avventori erano solo appartenenti alle istituzioni, «non gentaglia». E ribaltando l'accusa di aver collezionato dossier, sostiene di essere stato lui a fornire informazioni. Ecco il perché di quel via vai nella villa: «Venivano magistrati da soli, procuratori da soli, carabinieri da soli», dice Montante, «perché quando si arrestava, mi permetta, la Confindustria era un tesoro per tutti». Alla fine cerca di appuntarsi anche una medaglia sul petto: «Finiti i favoreggiamenti, che si concludeva l'indagine con le condanne, io ero il numero uno quando mi chiamava il procuratore generale».È una storia al contrario quella che racconta Montante: quella che per la Procura è la stanza bunker in cui sono stati trovati i dossier, la chiama «la stanza della legalità», ed era, sostiene, «sempre aperta». Quando lo incalzano sulle «strane coincidenze» di quei fascicoli trovati nelle stanze, lui li sminuisce definendoli «una raccolta di articoli di giornale». Poi prova ad attribuire ad altri la paternità di qui fascicoli, balbettando che si trovassero lì «a sua insaputa». Nonostante fossero nella sua abitazione, nella quale smentisce di aver effettuato le bonifiche che, invece, emergono dagli atti dell'accusa. E anche se ammette di «non camminare su una nuvoletta» e di essersi accorto di «quell'antennino» che gli investigatori avevano piazzato all'altezza del bagno delle figlie. Sapeva quindi delle cimici. E per l'accusa questa è una contraddizione.La foglia di fico è la sbandierata svolta legalitaria di Confindustria e con quella Montante spera di salvarsi: la collaborazione avviata dagli imprenditori con la magistratura «ha portato», sostiene l'ex leader antimafia, «più di 100 persone a denunciare per fare arrestare».I magistrati a quel punto cercano di approfondire i rapporti con investigatori, vertici dei servizi segreti e politici dai quali, secondo l'accusa, raccoglieva informazioni per i suoi dossier. Ma lui nega: «Si tratta soltanto rapporti istituzionali legati all'impegno antimafia e al percorso di legalità avviato da Confindustria».Le accuse dei suoi collaboratori un tempo più stretti, Marco Venturi e Alfonso Cicero, nella versione di Montante si trasformano in rappresaglie personali: «Mi denunciano perché non ho fatto fare il presidente regionale a Venturi e così Cicero non ha fatto il direttore di Confindustria Sicilia».Il sostegno ai politici, invece, cerca di metterlo completamente da parte. E i magistrati, probabilmente per evitare la discovery degli elementi di cui sono in possesso, evitano di chiedergli informazioni sul presunto video di Rosario Crocetta. Evitano anche ogni riferimento all'altro video che compare negli atti: quello sull'ex pubblico ministero poi diventato assessore di Crocetta, Nicolò Marino. Cicero, stando agli atti dell'inchiesta, aveva ricevuto una confidenza da Giuseppe Catanzaro (indagato anche lui in un secondo filone della stessa inchiesta, ieri si è autosospeso dalla carica di presidente di Confindustria Sicilia): «Montante deteneva un dossier e un video contenente immagini relative alla vita privata del dottor Marino e si stava adoperando per diffonderli mediaticamente al fine di delegittimarlo».Una domanda sullo spionaggio messo in campo su Marino però gliela fanno, e riguarda le informazioni che, secondo l'accusa, Montante stava raccogliendo su una Ferrari che, stando alle intercettazioni (tutte con Giuseppe Catanzaro), l'assessore avrebbe usato in quel periodo. Perché Montante era così interessato a quell'auto, tanto da cercarne anche la targa? La risposta è: «Non me lo ricordo». E tra i tanti vuoti di memoria ci sono quelli sulle relazioni politiche. Quando il gip glielo contesta, ammette il sostegno al sindaco Leoluca Orlando al quale, sostiene l'indagato, «avrebbe dato una volta soldi per finanziarlo», e al leader del M5s in Regione, Giancarlo Cancelleri, che, secondo Montante, gli chiese «un sostegno per un imprenditore che stava per fallire, ma per il quale non è stato possibile intervenire ipotizzando una vessazione della banca».Cancelleri affida subito alle agenzie di stampa l'annuncio di una querela: «Dice il falso e per questo lo querelerò per diffamazione, anche se credo che questo sarà l'ultimo dei suoi problemi di fronte a quelli giudiziari che sta affrontando».Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-difesa-di-montante-e-fatta-di-142-non-so-2571322873.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oggi-lassemblea-di-confindustria-piu-difficile-per-vincenzo-boccia" data-post-id="2571322873" data-published-at="1757929670" data-use-pagination="False"> Oggi l’assemblea di Confindustria più difficile per Vincenzo Boccia «L'azionista di riferimento ritiene di aver fatto la propria parte investendo risorse cospicue e richiamando tutti alle proprie responsabilità. E lo stesso sono richiamati a fare, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, sia il cda sia il management operativo». Si tratta del messaggio diffuso lo scorso aprile all'assemblea del Sole 24 Ore dal rappresentante legale di Confindustria, azionista del gruppo editoriale con una quota del 61,5%. Al contrario gli uomini di Assolombarda, sempre nella medesima occasione, hanno fatto sapere che «la focalizzazione del management sul business aziendale è la condizione per il raggiungimento del piano industriale che è stato modificato più volte nel corso di un anno con ricavi sempre al ribasso. Inoltre», ha lamentato il rappresentate degli industriali milanesi, chiedendo un confronto, «la valorizzazione del titolo dall'aumento di capitale ha subito un notevole deprezzamento che va oltre l'esiguità del flottante» e ha puntato infine l'indice «sulla situazione finanziaria che a febbraio 2018 è peggiorata». Due posizioni opposte e contrastanti che rispecchiano gli equilibri dell'assemblea odierna di Confindustria. Vincenzo Boccia è giunto al momento più difficile del suo mandato e c'è da scommettere che da oggi sempre meno colleghi terranno per sé le critiche. Innanzitutto c'è il tema Nord. Ieri Il Giornale riportava le dichiarazioni di Marco Bonometti, presidente della Lombardia, che ha avviato la sessione privata con una serie di sberle: «Mi auguro che nell'agenda politica del nuovo governo riappaia la parola industria». Per poi aggiungere che «l'impresa, e il settore manifatturiero in particolare, è il vero motore per la crescita del Paese» e come tale deve stare al centro della politica. Non tanto un segnale diretto ai 5 stelle o alla Lega ma alle parole di Boccia che dopo essersi sdraiato sulle posizioni di Matteo Renzi e del suo referendum ha provato da subito ad abbracciare le idee del movimento di Luigi Di Maio. Al presidente sarà anche sottoposta la questione Calogero Antonio Montante e la bomba esplosa dopo il suo arresto. Non bisogna dimenticare nemmeno che a finire nell'inchiesta ci sono funzionari dell'associazione con ruoli di spicco nella sicurezza. Ma, come abbiamo ricordato all'inizio dell'articolo, la grana più grossa per Boccia resta il quotidiano salmonato. Non a caso ieri in risposta alle dichiarazioni di aprile ha detto che lascerà il suo ruolo di amministratore del Sole Franco Moscetti. La notizia sarà confermata oggi una volta finalizzati i dettagli per l'uscita, ma la tegola è destinata a fare rumore. Confindustria, era stato il preludio del rappresentante dell'associazione guidata da Vincenzo Boccia lo scorso aprile, «ha sostenuto lo sforzo del management per restituire alla società un apprezzabile equilibrio economico. Lo conferma la partecipazione all'aumento di capitale e l'impulso fornito all'innovazione della governance. Lo scopo deve rimanere la focalizzazione del management sul business e la definizione degli obiettivi del piano. Sono confortanti i risultati raggiunti nella riduzione dei costi ma registriamo il permanere di difficoltà nello sviluppo del business sul fronte della redditività e della contrazione dei ricavi e la scelta di aggiornare il piano industriale, il terzo in poco più di un anno. Questi segnali», aveva aggiunto il rappresentante, «richiedono di assumere azioni concrete sul fronte dello sviluppo del business e di ampliare le azioni sulla redditività». Adesso è tutto da rifare. Con un nuovo amministratore delegato, e per Boccia in ogni caso non è un bel biglietto da visita. Claudio Antonelli
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)