
La Corte della Germania ha dichiarato incostituzionale la norma che vietava la pratica «su base commerciale». Come in Italia, sui temi eticamente sensibili sono i giudici a dettare le leggi. In nome dell'autodeterminazione, introducono la dolce morte.Via libera al suicidio assistito in Germania. La Corte costituzionale tedesca ha dichiarato ieri incostituzionale una legge che vietava la controversa pratica «su base commerciale». In particolare, la norma - approvata nel 2015 a larga maggioranza - rendeva lecito il suicidio assistito per «ragioni altruistiche» ma lo proibiva «in termini di business», arrivando a punirlo con un massimo di tre anni di reclusione. La legge aveva suscitato subito una serie di polemiche: fattore, questo, che aveva spinto un gruppo di medici e malati terminali ad appellarsi alla corte. Come riportato ieri dall'Associated Press, il giudice, Andreas Vosskuhle, ha dichiarato nella sentenza che il divieto violasse il diritto dei cittadini di decidere sulla propria morte, limitando la possibilità di chiedere assistenza a terzi. La sentenza è prevedibilmente destinata ad infiammare il dibattito politico tedesco, mentre il parlamento sarà chiamato con ogni probabilità ad approvare una nuova normativa, in linea con quanto stabilito ieri. La stessa legge del 2015 mirava, in un certo senso, a trovare un compromesso tra le varie posizioni politiche in campo. Come sottolineato da Bbc, l'eutanasia resta per il momento invece fuori legge, mentre nessun medico può essere costretto a praticare il suicidio assistito contro la propria coscienza. Del resto, tali questioni si rivelano da sempre particolarmente controverse in Germania per ragioni storiche: soprattutto alla luce della campagna, attuata dal regime nazionalsocialista, volta all'eliminazione di circa 200.000 malati fisici e mentali.Il tema risulta comunque spinoso anche in altri Paesi europei. A settembre, la Corte costituzionale italiana giudicò non punibile chi aiuta al suicidio «una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Nonostante alcuni paletti stringenti, il via libera al suicidio assistito ha dunque avuto luogo. La decisione era avvenuta in riferimento al caso di Marco Cappato, che rischiava fino a dodici anni di carcere per aver accompagnato il tetraplegico dj Fabo a morire in Svizzera. Nella fattispecie, la Consulta era stata chiamata a decidere se, come fissato dall'articolo 580 del codice penale, costituisse reato aiutare una persona malata a spegnersi. La sentenza ha tuttavia suscitato aspre polemiche, con pesanti ripercussioni nel mondo politico e in quello cattolico.A livello più generale, quello a cui si assiste è un processo duplice. Da una parte, ha luogo una crescente «integrazione» tra le Corti costituzionali europee: corti che dialogano sempre più intensamente tra loro e che tendono spesso a uniformarsi a standard e princìpi di carattere sovranazionale. Dall'altra, questi standard e princìpi presentano sovente una matrice filosofico-ideologica abbastanza definita: una matrice che - tendendo ad esaltare una prospettiva radicalmente individualista - finisce frequentemente col tutelare una vera e propria cultura della morte. Una cultura che applica indebitamente le logiche del consumismo alle problematiche di natura sanitaria e, in definitiva, alla vita stessa dei pazienti. In tal senso, Joseph Ratzinger parlava polemicamente di «visione utilitaristica nei confronti della persona».Senza poi trascurare, come tutto questo produca ovvie ripercussioni (dirette o indirette) sulle scelte legislative dei singoli Paesi. Pochi giorni fa, il Parlamento portoghese ha approvato una legge per la legalizzazione dell'eutanasia e del suicidio assistito nei confronti dei malati terminali. La norma ha suscitato non poche polemiche e lo stesso presidente, Marcelo Rebelo de Sousa, ha espresso perplessità: perplessità che potrebbero portarlo a porre il veto sul provvedimento, per rimandare il testo al Parlamento. Tutto questo, mentre lo scorso settembre una corte dei Paesi Bassi ha assolto un medico che aveva messo del sedativo nel caffè di una sua paziente di settantaquattro anni, prima di somministrarle un farmaco letale. I pubblici ministeri avevano accusato il medico di non aver consultato prima la paziente che era affetta dal morbo di Alzheimer: il giudice ha tuttavia ritenuto che fosse sufficiente una dichiarazione da lei scritta quattro anni prima. Non si sarebbe pertanto riscontrato alcun obbligo di verificare «la volontà di morire allo stato attuale». Ricordiamo che, nel 2002, i Paesi Bassi hanno ammesso l'eutanasia, qualora un paziente si trovi in «sofferenza insopportabile e senza fine» e abbia fatto richiesta di morire «con piena convinzione». Senza poi dimenticare il lungo calvario del tetraplegico Vincent Lambert, scomparso lo scorso luglio, che, nel 2015, la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva acconsentito a lasciar morire. Insomma, dalle Corti ai Parlamenti, l'utilitarismo prende sempre più piede in Europa sulle questioni eticamente sensibili.
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