2020-05-08
La Caporetto totale dei manettari. Quasi 500 galeotti vogliono uscire
Il cortocircuito creato da Alfonso Bonafede e Dap allunga la lista dei boss che chiedono di andare a casa. Il ministero: «È ancora parziale».Il governo si impantana persino sull'intervento per rispedire in galera i più pericolosi.Lo speciale contiene due articoliLa ricognizione sui boss che hanno chiesto di uscire perché a rischio Covid è arrivata a quota 456. Ed è parziale. La relazione del post Basentini è stata inviata al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dal vicecapo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Roberto Tartaglia ed è stata aggiornata con gli ultimi cento e passa nomi di detenuti al 41 bis, il regime di carcere duro, o nei circuiti dell'Alta sicurezza. «Deve precisarsi», è scritto nel documento indicato come «riservato», «che il dato relativo al numero delle istanze prendenti presentate non comprende quelle che i detenuti potrebbero avere avanzato per il tramite dei propri difensori di fiducia o per il tramite dei familiari, oppure potrebbero avere trasmesso in busta chiusa all'Autorità giudiziaria, per acquisire le quali saranno necessari sicuramente tempi più lunghi». Dei 456 boss di cui si conoscono le istanze «225 sono detenuti definitivi», come si legge nella relazione e «231 sono detenuti in attesa di primo giudizio, imputati, appellanti e ricorrenti». Ci sarà quindi una terza comunicazione più completa. Per ora, quindi, l'emorragia non sembra facilmente arrestabile, nonostante i proclami del Guardasigilli. E ora a creare ulteriore imbarazzo a via Arenula c'è anche altra documentazione: un carteggio di fuoco tra l'ex capo del Dap Basentini e il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra. Uno scambio di invettive che ha inizio il 22 aprile. Morra scrive a Basentini, che nel frattempo ha rassegnato le dimissioni, per sollecitare, si legge nella lettera l'acquisizione e la trasmissione alla Commissione «con ogni cortese sollecitudine, tutti i riferimenti, e se del caso anche i fascicoli personali, dei detenuti, a procedimenti esitati in decisioni della magistratura di sorveglianza incidenti sul regime detentivo di persone chiamate a scontare la pena per reati di cui all'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario (quelli che indicano la pericolosità sociale, ndr)». Ma non è l'unica richiesta: Morra vorrebbe anche conoscere «se vi siano state determinazioni che abbiano inciso su uno o più detenuti sottoposti alla misura del 41 bis». Il carteggio tra la Commissione antimafia e il Dap va avanti per giorni. I toni sono più che accesi. Il 24 aprile Morra scrive di nuovo. E sollecita l'invio dei dati «di cui dispone il Dipartimento» su alcuni detenuti, tra cui Giuseppe Trubia, Pasquale Cristiano, Giuseppe Marotta, «per i quali è stata disposta una modifica del regime di esecuzione penale». Due giorni dopo l'ex capo del Dap invia i dati richiesti. Ma Morra non è sazio. Il 29 aprile manda una nuova richiesta. Questa volta la Commissione chiede al Dap «di acquisire i documenti relativi alle modifiche del regime penale intramurario per i detenuti condannati per i reati di cui all'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario». E con altrettanta forza chiede notizie delle prime scarcerazioni dei boss. «Alcuni commissari si sono anche vivamente lamentati», scrive Morra, «del fatto che non sia pervenuta risposta alla richiesta di acquisizione dei dati da me avanzata il 22 aprile. Torno, dunque, a chiederle di evadere al più presto quella richiesta di acquisizione». Quello stesso giorno arriva la risposta di Basentini con l'elenco richiesto. Alla lettera vengono allegati anche i provvedimenti emessi dalla magistratura di Sorveglianza che erano disponibili. Ma la Commissione presieduta da Morra non è stata l'unica a lamentare di aver ricevuto notizie in ritardo dal Dap. La circolare denominata ormai «Tana libera tutti» è stata trasmessa alla Procura nazionale antimafia solo un mese dopo. A svelarlo è stato il procuratore Federico Cafiero de Raho: «Il 21 marzo c'è stata la nota dell'amministrazione penitenziaria rivolta agli istituti penitenziari in cui si diceva che era necessario esaminare le condizioni di salute dei singoli detenuti e tramettere ai tribunali di Sorveglianza perché valutassero la compatibilità della detenzione in questo momento di rischio, di questa nota la Direzione nazionale antimafia ha appreso l'esistenza solo il 21 aprile». E, per quanto riguarda i boss in 41 bis, aggiunge de Raho, «non si comprende perché ci fosse questa preoccupazione si tratta di detenuti in isolamento e dunque impossibili da contagiare, bastava un termo scanner». Tra i fuoriusciti c'è Francesco Bonura, il colonnello di Bernardo Provenzano condannato in via definitiva per mafia, che è potuto tornare a casa perché «in carcere il rischio contagio coronavirus è più alto», scrive nel provvedimento di scarcerazione il magistrato del tribunale di Sorveglianza. La toga riporta il quadro clinico dell'anziano boss e sottolinea i presupposti «per il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena», anche «tenuto conto dell'attuale emergenza sanitaria e del correlato rischio di contagio». E nell'elenco di chi comincia a spingere ci sono anche i gruppi romani: gli esponenti del clan Spada, dei Casamonica e dei Fasciani.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-caporetto-totale-dei-manettari-quasi-500-galeotti-vogliono-uscire-2645945781.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="intanto-il-decreto-tampone-e-per-aria-stiamo-ragionando-serve-cautela" data-post-id="2645945781" data-published-at="1588877265" data-use-pagination="False"> Intanto il decreto-tampone è per aria.«Stiamo ragionando, serve cautela» «Adelante Pedro, ma con juicio». Sì, viene proprio in mente Antonio Ferrer, il cancelliere spagnolo di Milano che nei Promessi sposi sprona il cocchiere ad avanzare tra la folla inferocita per la fame, ma senza correre. Allo stesso modo, il ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, mercoledì ha annunciato alla Camera un decreto per chiudere in poche ore la stagione delle scarcerazioni per motivi sanitari dei boss mafiosi, e le polemiche che ha scatenato. Ma è stato un bluff. Perché per quel decreto, così «urgente», ci vorrà molto tempo. E anche molto juicio. Due giorni fa, Bonafede aveva spiegato ai deputati che il nuovo decreto, «in cantiere» e quindi imminente, avrebbe permesso ai Tribunali di sorveglianza «di rivalutare la persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis (il regime di detenzione speciale, riservato ai reclusi di mafia e particolarmente pericolosi, ndr)». Quel decreto, insomma, avrebbe riportato in un batter d'occhi tra le mura di una prigione i boss mafiosi Vincenzo Iannazzo, Francesco Bonura, Pasquale Zagaria e Vincenzo Di Piazza, usciti dall'isolamento del 41 bis, e tutti gli altri 372 pericolosi criminali che nelle ultime settimane - per motivi di salute e per il rischio Covid-19 - erano stati trasferiti da celle ad alta sicurezza agli arresti domiciliari. Bonafede aveva voluto annunciare quel decreto a tutti i costi, l'altro ieri, forse perché così sperava di stemperare la devastante querelle che da giorni lo oppone al magistrato antimafia Nino Di Matteo. Domenica sera, in tv, il pubblico ministero palermitano aveva accusato il ministro di avergli offerto nel 2018 la poltrona di capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, e di avergliela poi improvvisamente negata. Di Matteo aveva accostato la marcia indietro del ministro alle proteste dei mafiosi detenuti, contrariati alla sola ipotesi che il governo delle carceri finisse nelle sue mani. Instillando il dubbio che Bonafede si fosse piegato a una specie di «sgradimento mafioso». Per questo il Guardasigilli, dopo aver varato il 30 aprile un decreto che ha subordinato la scarcerazione di ogni detenuto «pericoloso» al vaglio preventivo della Procura nazionale antimafia, mercoledì aveva aggiunto al medagliere della sua «antimafiosità» il nuovo decreto per riportare in cella i 376 detenuti scarcerati. Per averlo annunciato, Bonafede era stato perfino criticato (con qualche ragione): la notizia dell'imminente giro di vite, infatti, avrebbe potuto suggerire la fuga a molti dei criminali usciti da una cella di sicurezza e chiusi in casa. Ieri, invece, s'è capito che siamo ancora in alto mare. Il sottosegretario pd alla Giustizia, Andrea Giorgis, ha invitato tutti a una serena attesa: «Questo decreto», ha detto, «non ha ancora un contenuto definito perché stiamo ragionando su come far sì che i Tribunali di sorveglianza possano rivedere le decisioni (sulle scarcerazioni, ndr) alla luce del cambiamento dell'andamento dell'epidemia, e su come preservare l'autonomia della magistratura e i capisaldi della Costituzione». Il sottosegretario ha spiegato poi che «serve cautela, perché ogni intervento deve rispettare l'armonia e l'equilibrio del sistema penalistico-processuale». Del resto, era chiaro che il brusco dietro-front postulato da Bonafede non sarebbe stato facile. Sempre ieri un giurista competente come Giovanni Tamburino, già presidente di Tribunali di sorveglianza e capo del Dap, ha escluso che il nuovo decreto Bonafede possa «avere l'effetto diretto di ripristinare il carcere, in quanto ogni decisione dovrà comunque passare il vaglio dell'autorità giudiziaria». Quindi per riportare in cella i 376 criminali occorrerà davvero molto tempo: prima bisognerà completare e varare il decreto-che-non-c'è, e poi si dovranno attendere i tempi dei tribunali. Si spera solo che mafiosi e criminali, nell'attesa, non prendano davvero la via della fuga. Sempre in tema di prigioni, ieri è girata un'altra voce, poi rivelatasi un bluff. La voce sosteneva che Francesco Basentini, l'ex capo del Dap costretto il 30 aprile alle dimissioni proprio per le polemiche seguite alle scarcerazioni dei boss, fosse stato cooptato da Bonafede nella task force per le carceri. Notizia inverosimile: uscito dalla porta, Basentini sarebbe rientrato dalla finestra? Va detto che, nel magico mondo di questo governo, tutto è possibile. Proprio come un decreto urgentissimo che, per il suo varo, richiede tempo. Molto tempo.