2019-12-14
La Brexit porta l’Italia verso gli Usa ma il Colle ci vuole inchiodare a Parigi
Siamo i più legati alla Gran Bretagna nella finanza e nella Difesa. Chiudere accordi con Londra e Washington ci renderebbe fondamentali nel Mediterraneo. Incombe però il trattato con Parigi promosso dal Quirinale.Il voto popolare si è espresso. E l'incertezza sulla Brexit si appresta a svanire. Che accadrà alle relazioni interne al Regno Unito e a quelle tra i partecipanti al Commonwealth è tutto da scoprire. Ma una cosa è certa. L'Unione europea in qualche modo dovrà cambiare. Tornando indietro nei decenni gli inglesi, poco convinti dell'Europa unita, cercarono di costruire qualcosa di concorrente, l'Efta. Ne facevano parte Austria, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera. Fu soltanto dopo la morte del generale Charles de Gaulle che Londra decise di unirsi alla Cee. Con la Brexit in un certo senso si torna alle origini. il passatoCon la differenza che l'Ue (sottratta la Gran Bretagna) ha una forza d'impatto economica probabilmente dimezzata rispetto a quella di cui i Paesi membri della comunità disponevano 50 anni fa. Così Francia e Germania cercheranno disperatamente di stringere l'asse e rafforzarsi. Cercheranno di utilizzare le risorse degli altri Paesi satelliti pur di diventare sufficientemente forti. Per farlo dovranno anche schierarsi contro una Cina che va stabilizzandosi e contro un'America che risulta sempre più aggressiva. L'Ue anche se cerca in tutti i modi di trovare una via indipendente nel rapporto con l'Asia e con Pechino non potrà non tenere conto che - una volta scoppiata la pace sui dazi tra Donald Trump e Xi Jinping - dovrà pure preoccuparsi dell'asse del Pacifico. Se anche Pechino rinuncerà a mettere in discussione il predominio del dollaro, l'Ue non potrà mai immaginare che l'euro sia in grado di scalfire il biglietto verde. All'interno di questo importante e storico riassesto ci siamo noi italiani. C'è Roma, che a oggi mantiene i rapporti più stretti con il Regno Unito. Sia in termini di industria finanziaria sia, anzi soprattutto, nel comparto della Difesa. C'è anche un rapporto commerciale profittevole. Ma a fare la differenza è sicuramente la tecnologia e l'intelligence che ne deriva. A settembre i due governi, italiano e britannico, hanno chiuso un importante accordo per lo sviluppo del caccia di sesta generazione, il Tempest che dovrà fare concorrenza al progetto francotedesco (dal quale siamo esclusi). Secondo l'accordo lavoreranno insieme per definire un concetto innovativo e un modello di partnership che preveda la condivisione delle competenze acquisite, la definizione dei requisiti di prodotto e lo sviluppo tecnologico congiunto di sistemi di difesa aerea. La firma della dichiarazione di intenti fa seguito all'impegno del Regno Unito e dei governi italiani verso una stretta collaborazione nell'ambito della difesa aerea, che si somma agli altri progetti come il Typhoon e l'F35. Per l'azienda guidata da Alessandro Profumo è certo un grande successo, perché non solo la lancia in un orizzonte trentennale, ma anche consente a Leonardo la spinta per mettere a regime tutte le risorse interne e per confermarsi la seconda azienda del Regno Unito. Il nuovo caccia permetterà all'intero sistema Italia di spingere in una direzione che da tempo latitava. Per l'Italia si tratta di «valorizzare le capacità che abbiamo a livello ingegneristico, di prodotto e quant'altro», nell'ambito di un programma che, ha ricordato ancora Profumo, entrerà «in fase operativa nel 2035» e ha di fronte a sé un orizzonte «di molti anni». Il Tempest permetterà inoltre di rinsaldare tutte la filiera dell'elettronica per la difesa che significa un asse diretto tra Londra e Roma che servirà da leva anche alle altre attività trasversali. Unico neo non irrilevante. Chi lo finanzierà? Non certo l'Ue che al contrario lo combatterà con tutte le forze. Chi ha suggerito vivamente a Londra di inserire Leonardo nel progetto? Naturalmente Washington, che a questo punto dovrà infilarsi come promotore del progetto per lasciare a terra Parigi e Berlino. Gli Usa hanno tutto l'interesse a promuovere il Tempest perché di indirettamente manterrà salda l'unione tra Londra e Roma in termini di filiera della cybersecurity. Al contrario nella battaglia per la gestione dei fondi per lo spazio non potremo attenderci alcun sostegno dagli Usa. I satelliti non sono una priorità. Al contrario per Trump sarebbe inammissibile perdere un orecchio dentro l'Ue. E in fondo noi siamo quell'orecchio. Così come Milano è la controparte ideale della Borsa di Londra. Che dal prossimo anno sarà una piattaforma extracomunitaria. E potrebbe offrirci, a quel punto, opportunità mai perseguite prima. Certo, siamo anche di fronte al rischio di perdere un mercato di export che vale solo nel settore food più di 3 miliardi. Barriere doganali sarebbero sarebbero un problema e ci costerebbero l'1,4% del nostro Pil.il 2020Nel complesso però le opportunità sembrano più dei rischi. Non è la prima volta che il Paese si pone a cavaliere di due blocchi. Forse è tornato il momento di riprovarci. Sarebbe un beneficio. Facciamo solo attenzione alle mosse del Quirinale. Da febbraio Sergio Mattarella proverà a rilanciare il trattato che prende il nome dal palazzo che lo ospita. Sarebbe una sorta di copia svilente del trattato di Aquisgrana. Avrebbe una sola funzione: legarci mani e piedi alla Francia e sottrarci una volta per tutte dalla sfera americana. Occorre vigilare su queste scelte. Non passano dal Parlamento e ci metterebbero i ceppi per decenni.