2018-06-23
I pirati delle Ong che fanno guerra all'Italia
Il ruolo delle «navi umanitarie» si configura sempre di più come fiancheggiamento degli scafisti.Quella in corso nel Mediterraneo, nelle acque che separano le nostre coste dalla Libia e dalla Tunisia, è una battaglia navale. Si combatte ogni giorno, con le motovedette della Guardia costiera e della Marina italiana che cercano di identificare le navi complici dei nuovi schiavisti e queste che si nascondono, danno indicazioni sbagliate alle capitanerie, spengono i trasponder che segnalano la posizione delle imbarcazioni, solcano i confini marittimi per avvicinarsi sempre di più alle spiagge da cui partono i clandestini. Grazie alle norme europee e alle leggi della navigazione, la battaglia navale è diventata un gioco da ragazzi, in particolare di quei bravi ragazzi che come il tipo qui sopra amano frequentare i centri sociali e sposare le cause perse per sentirsi più buoni.Un tempo era tutto più difficile. I trafficanti d'uomini trasportavano il loro carico sui gommoni, gettando a mare gli immigrati a un centinaio di metri dalla riva. Quando andava male ed erano costretti ad attraccare, gli scafisti si mimetizzavano fra i richiedenti asilo, spacciandosi per profughi onde evitare l'arresto e quasi sempre la facevano franca. Ma adesso, che molti gommoni sono stati affondati e le milizie libiche che controllano la costa impediscono alle barche di partire, paradossalmente la battaglia navale si è fatta più facile. Nonostante le imbarcazioni siano poche, alcune (...)addirittura solo dei palloni pneumatici che mai potrebbero attraversare senza affondare il tratto di mare fra Libia, Tunisia e Italia, ad aiutare i nuovi schiavisti ci pensano le Ong, con le loro navi battenti bandiere straniere e dunque poco controllabili. Ufficialmente si presentano come navigli condotti da associazioni umanitarie, che non hanno altro scopo se non quello di salvare la vita dei bambini e delle loro mamme. In realtà, come ormai appare evidente a chiunque abbia deciso di vederci chiaro, le Ong sono quasi al servizio dei trafficanti, perché si collocano nello specchio di mare che fronteggia le zone dalle quali partono gli immigrati. Di fatto sono un incentivo alla traversata, perché quando i cosiddetti profughi salgono a bordo di bagnarole incapaci di restare a galla sanno che a poche miglia troveranno chi li soccorre. Anzi, spesso gli stessi trafficanti forniscono alle persone pronte a imbarcarsi i numeri di telefono cui rivolgersi per ottenere aiuto. In pratica, il lavoro delle Ong è quasi quello di un taxi. Stazionano nei dintorni in attesa della chiamata che li induca a muoversi per svolgere il loro servizio.È grazie a questo sistema che negli anni scorsi, sulle nostre coste, sono state sbarcate carrettate di richiedenti asilo. Perché lo fanno e soprattutto che cosa ci guadagnano? Come spiega un inquirente che da tempo traccia le rotte dei migranti, certe associazioni nascondono dietro il salvataggio dei naufraghi obiettivi assai meno nobili. «Se qualcuno vuole operare in maniera poco trasparente, che cosa c'è di meglio di una Ong? Le Organizzazioni non governative», spiega dietro garanzia della riservatezza la fonte, «battono bandiera di Paesi stranieri, le navi sono registrate in qualche porto che garantisce la tranquillità e molte fanno rifornimento a Malta, che è nota per essere una specie di paradiso per chi abbia qualche cosa da nascondere». La battaglia navale, che fino a qualche tempo fa si giocava nel Mediterraneo senza che nessuno disturbasse, dall'inizio di giugno però deve fare i conti con un osso duro, che i taxi del mare ha intenzione di affondarli. All'inizio quella di Matteo Salvini sembrava una spacconata. Ma la chiusura dei porti alle imbarcazioni delle Ong si è rivelata tutt'altro che una fanfaronata. Emmanuel Macron e qualche alto papavero europeo hanno strillato, ma più i giorni passano e più le aquile di Bruxelles devono abbassare le penne, perché sul tema dei clandestini l'Italia non ha violato le regole. Prova ne sia il caso della Lifeline, una nave dalla cui tolda è partito l'attacco contro il ministro dell'Interno, accusato dal tipino fino di cui pubblichiamo l'immagine di essere fascista. La nave, battente bandiera olandese ma di cui l'Olanda nega ogni paternità, da settimane andrebbe a zigzag nel Mediterraneo, a pesca di migranti. Una rotta che ha destato più d'un sospetto, anche perché per giorni è stato difficile tracciarla. L'altro ieri poi Lifeline avrebbe voluto sbarcare il carico d'uomini in un porto italiano, ma Salvini ha negato l'accesso, dirottando la nave verso Malta. Così è cominciato il solito palleggio, con l'isolotto che negava di aver ricevuto l'ordine di attracco da parte della nostra Capitaneria. Al che dal Viminale è partita la richiesta di arresto dell'equipaggio di Lifeline e di sequestro della nave.La battaglia navale, insomma, si fa cruenta, perché se prima il gioco era da ragazzi adesso le barche che incentivano il traffico umano rischiano davvero di colare a picco insieme con l'intero equipaggio. Una guerra che si concluderà solo quando uno dei due giocatori sarà colpito e affondato.
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