2024-05-18
L'auto elettrica inquina come le altre
L’Arpa, ente lombardo per l’ecologia, attesta che i veri danni non li fanno i motori bensì i particolati emessi per l’usura di freni, gomme e asfalto. Che le vetture a batteria, dal peso elevato, consumano a ritmi maggiori.La transizione green vacilla sotto il peso delle notizie che arrivano da Milano. Il paradosso è che le novità riguardano la città che con piste ciclabili, area C e area B, oltre a restrizioni varie, si è data più da fare per inseguire il miraggio delle vetture a emissioni zero. Infatti, secondo uno studio dell’Arpa, ossia dell’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, a inquinare di più non è il motore a combustione, ma le particelle che si propagano nell’aria a causa dell’usura dei freni, degli pneumatici e dell’asfalto. Insomma, dopo anni di processi alle auto diesel o a benzina, si scopre che i danni per l’ambiente non sono causati dal tipo di alimentazione del veicolo, ma da altro. Sento già l’obiezione che potrebbe essere mossa dagli ambientalisti duri e puri: che l’inquinamento provenga dal tubo di scappamento o dalle gomme o da altro poco importa. Ciò che conta è che sul banco degli imputati restino le quattro ruote. Se il capoluogo lombardo è una delle città italiane (ma potremmo dire europee) con un’atmosfera mefitica lo si deve sempre al traffico. E dunque, come subito dopo aver letto la ricerca degli esperti regionali hanno cominciato a dire gli ecologisti di casa nostra, occorre ridurre il numero delle vetture in circolazione, ricorrendo non solo ad aumenti delle tariffe per poter accedere alla zona a traffico limitato milanese, ma anche a divieti di circolazione. L’auto, quindi, per loro resta il nemico da combattere, a prescindere.Tuttavia, la novità emersa nel rapporto, invece che essere motivo di ulteriore accanimento contro chi guida un veicolo, dovrebbe essere spunto per una riflessione meno ideologica e più pratica. Infatti, da tempo nella città lombarda le vetture non sono tutte trattate allo stesso modo. Mentre quelle più vecchie sono costrette a restare al confine della metropoli, in quanto ritenute colpevoli della cattiva qualità dell’aria, e altre possono accedere al centro solo previo pagamento di un ticket, quelle elettriche sono libere di scorrazzare senza versare neppure un centesimo nelle casse comunali. Peccato che, leggendo i dati dell’Arpa, si giunga a una semplice conclusione: se le emissioni più inquinanti sono quelle dovute all’usura dei freni, degli pneumatici e dell’asfalto, le auto a batteria rischiano di aggravare la situazione più di un normale veicolo con motore a combustione. Infatti, proprio a causa del pacco di alimentazione che si portano dietro, anche le utilitarie pesano abbondantemente più di una tonnellata, cioè superano una qualsiasi concorrente con il motore termico. Per garantire l’energia prodotta da un chilo di gasolio servono 30 chili di batteria, spiegano gli esperti. Dunque, ci sono supercar che sfiorano le tre tonnellate. E se pensate a una Tesla Model S, su due tonnellate circa un terzo è dovuto al pacco batterie. Vi state chiedendo dove voglia arrivare: lo spiego in poche parole. Se una vettura pesa di più, consuma più facilmente i suoi pneumatici e così pure i suoi freni, come ovviamente l’asfalto. Tempo fa un collega di Panorama spiegò in un suo articolo proprio quello che i tecnici dell’Arpa hanno documentato, ovvero che l’inquinamento più che dalla combustione arriva da ciò che grava intorno al motore e da qui arrivò alla conclusione che non era vero l’assunto che dà la patente green ai veicoli elettrici. Lì per lì mi sembrò quasi una forzatura, ma di fronte allo studio dell’agenzia regionale sono costretto a ricredermi. Anche perché dopo dodici anni di politiche ambientaliste forzate, a Milano l’aria che si respira è peggiorata invece di migliorare, fornendo dunque una dimostrazione pratica dell’inutilità delle politiche rossoverdi.In attesa che gli ayatollah della religione green, dei quali fa parte anche il sindaco Beppe Sala, si riprendano dalle notizie che smentiscono le loro scelte, segnalo altre due novità. La prima è la decisione del governatore della Florida, che ha firmato una legge che rende la crisi climatica non più una delle principali priorità dello Stato, annunciando, come ha dichiarato sul suo profilo ufficiale, d’aver archiviato «l’agenda dei fanatici verdi radicali». Dalla Germania, invece, sono giunte le dichiarazioni del numero uno di Siemens Energy, colosso specializzato in turbine. Secondo Christian Bruch, la transizione energetica senza la Cina non funziona, perché non si possono costruire pale eoliche senza la tecnologia di Pechino. In pratica, il ceo di una delle più grandi aziende tedesche conferma che il Green deal non ci libera dalla dipendenza dai Paesi autoritari. Prima eravamo nelle mani di Putin, con la transizione energetica saremo in quelle di Xi Jinping, il quale, quando vorrà, deciderà di spegnere le nostre centrali. Scegliete voi quale sia la soluzione migliore. A parer mio, l’unica soluzione è buttare a mare i talebani rossoverdi e le loro frottole ideologiche.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)